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Art. 490 - Soppressione, distruzione e occultamento di atti veri

1. Chiunque, in tutto o in parte, distrugge, sopprime od occulta un atto pubblico vero o, al fine di recare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, distrugge, sopprime od occulta un testamento olografo, una cambiale o un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore veri, soggiace rispettivamente alle pene stabilite negli articoli 476, 477 e 482, secondo le distinzioni in essi contenute (1).

[2. Si applica la disposizione del capoverso dell’articolo precedente(2).

(1) Comma così sostituito dall’art. 2, comma 1, lett. c), n. 1), DLGS 7/2016.

(2) Comma abrogato dall’art.  2, comma 1, lett. c), n. 2), DLGS 7/2016.

Rassegna di giurisprudenza

Il delitto di falso per soppressione non richiede il dolo specifico, ossia l’intenzione di frustrare o eliminare, in tutto o in parte, l’efficacia probatoria dell’atto, o il fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno (richiesto, invece, quando si tratti di scritture private); è invece sufficiente, sotto il profilo psicologico, la consapevolezza che, in conseguenza della condotta illecita, l’atto soppresso, distrutto od occultato non sarà in condizione di adempiere alla funzione di prova che gli è propria, ovvero la consapevolezza di creare, con la propria condotta, una situazione di pericolo per il normale svolgimento del traffico giuridico (Sez. 5, 18842/2014).

È pur sempre necessario tuttavia, in conformità alla natura dolosa, sia pur generica, dell’elemento soggettivo del reato, che l’agente si rappresenti e voglia la soppressione, la distruzione o anche solo l’occultamento dell’atto, come del resto conferma la terminologia utilizzata dalla norma incriminatrice che descrive attività connotate da un apprezzabile coefficiente intenzionale; è quindi evidente che il delitto de quo non è configurabile in comportamenti tenuti colposamente, per negligenza, imprudenza o imperizia, quand’anche caratterizzati dal grado estremo di gravità (Sez. 5, 29491/2018).

L’art. 490 sanziona la soppressione anche parziale degli atti pubblici, come tali intendendosi, ai sensi dell’art. 492, gli atti originali e le copie autentiche di essi, quando a norma di legge tengano luogo degli originali mancanti. Va pertanto esclusa la punibilità come delitto contro la fede pubblica della soppressione delle copie autentiche quando non tengano luogo degli originali mancanti (Sez. 5, 6685/1998).

La disposizione dell’art 490 ha la finalità di tutelare, contro la distruzione, la soppressione o l’occultamento, i documenti, provvisti di una valenza probatoria, in quanto unici e non costituenti mere copie; rispetto a questi documenti, la distruzione, la soppressione o l’occultamento potrà configurare altro titolo di reato (danneggiamento, furto, etc.), posto che le copie e gli attestati non hanno un loro valore autonomo di prova, essendo possibile il rilascio di altre copie o di altri attestati (Sez. 5, 6060/1978).

Può integrare l’elemento materiale del reato di occultamento di atto pubblico, di cui all’art. 490, la condotta del pubblico ufficiale che ometta di protocollare un documento, così da renderlo inesistente per il destinatario, anche ove ciò determini un’inutilizzabilità solo temporanea dell’atto (Sez. 6, 18999/2016).

Integra gli estremi del delitto di cui all’art. 490 la condotta del pubblico ufficiale che custodisca un atto giuridicamente rilevante in modo da renderlo, sia pure temporaneamente, irreperibile. Nella nozione di atti pubblici rientrano non solo quelli produttivi di effetti rispetto a situazioni giuridiche soggettive di rilevanza pubblicistica, ma anche quelli che si caratterizzano per la sola documentazione di attività o di dichiarazioni avvenute in presenza del pubblico ufficiale o da lui percepite. Sono pertanto compresi in quella nozione anche gli atti nei quali si concretizza la corrispondenza tra uffici autonomi o strutturati gerarchicamente (cosiddetti atti interni) perché anche questi possono assumere rilevanza giuridica nella documentazione di fatti inerenti all’attività funzionale del pubblico ufficiale.

Alla stregua di tale orientamento, il registro di passaggio esistente nel pubblico ufficio non può rientrare nella definizione di scrittura privata, essendo atto ad uso interno del pubblico ufficio, finalizzato all’esercizio di una pubblica funzione, che attiene all’esigenza di documentare l’attività del personale addetto a ricevere gli atti giudiziari; pertanto rientra nell’ambito normativo dell’art.490 la condotta del pubblico ufficiale che abbia occultato ovvero distrutto il predetto documento (Sez. 5, 16208/2017).

Non occorre, per l’integrazione del delitto di cui all’art. 490, che l’occultamento riguardi un atto vero. È di tutta evidenza come l’espressione «atti veri», contenuta nella rubrica del menzionato articolo, faccia riferimento al requisito dell’autenticità e non a quello delle veridicità (Sez. 5, 21841/2014).

Il delitto di falso per soppressione non richiede il dolo specifico, ossia l’intenzione di frustrare o eliminare, in tutto o in parte, l’efficacia probatoria dell’atto, essendo invece sufficiente il dolo generico costituito dalla consapevolezza che, in conseguenza della condotta illecita, l’atto soppresso, distrutto od occultato non sarà in condizione di adempiere alla funzione di prova che gli è propria (Sez. 5, 2658/1993).