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Art. 571 - Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

1. Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi.

2. Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni.

Rassegna di giurisprudenza

È configurabile il delitto di cui all’art. 571 in ambito di lavoro subordinato, quando atti volontari idonei a produrre uno stato di abituale sofferenza fisica o morale nei dipendenti siano posti in essere dall’agente perseguendo la finalità della punizione per episodi censurabili (Sez. 6, 10090/2001).

Non è dubbio che il datore di lavoro sia titolare del potere di correzione e di disciplina intesi come poteri di indicare le modalità adeguate di esecuzione della prestazione di lavoro, necessarie, o anche solo opportune, perché la complessiva attività posta in essere dal soggetto organizzato per raggiungere un risultato economico (che sia un bene o un servizio, privato o pubblico) possa essere efficace allo scopo che ne giustifica, e consente, l’esistenza. In tali limiti è possibile sussumere il lavoratore dipendente nella nozione di soggetto sottoposto all’autorità del datore di lavoro.

E tuttavia va chiarito che il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore dipendente è rapporto tra due persone poste sul medesimo piano, quanto al profilo della dignità e dell’autonomia individuale, sicché, tra loro, esula ogni prospettiva di un contenuto del potere disciplinare/organizzativo del primo nei confronti del secondo che sia, in qualunque modo, riconducibile al concetto di educazione, invece proprio di altre fattispecie sussumibili nell’art. 571 quali, ad esempio, quella afferente all’ambiente.

In altri termini, nel caso del rapporto di lavoro il potere di correzione e disciplina è esclusivamente funzionale ad assicurare la qualità e l’efficacia del risultato perseguito dalla singola organizzazione lavorativa, di cui è responsabile e fonte il datore di lavoro (Sez. 6, 51591/2016).

Non integrano il delitto previsti dall’art. 571 le condotte di un insegnante di un asilo nido non violente e tipicamente affettuose, non potendo esse essere interpretate, per la loro connotazione di piccolo eccesso o mancanza di misura nella relazione tra l’educatore ed il minore, come abuso in ambito scolare materno-infantile (Sez. 6, 11795/2013).

Il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina non ha natura di reato necessariamente abituale, sicché ben può ritenersi integrato da un unico atto espressivo dell’abuso, ovvero da una serie di comportamenti lesivi dell’incolumità fisica e della serenità psichica del minore, che, mantenuti per un periodo di tempo apprezzabile e complessivamente considerati, realizzano l’evento, quale che sia l’intenzione correttiva o disciplinare del soggetto attivo (fattispecie in cui alcuni bambini affidati ad un’insegnante di scuola materna erano stati in più occasioni oggetto di minacce e percosse, ovvero sottoposti a umilianti dileggi per il loro basso rendimento scolastico) (Sez. 6, 18289/2010).

In tema di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, la nozione di malattia nella mente (il cui rischio di causazione implica la rilevanza penale della condotta) è più ampia di quelle concernenti l’imputabilità o i fatti di lesione personale, estendendosi fino a comprendere ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, dallo stato d’ansia all’insonnia, dalla depressione ai disturbi del carattere e del comportamento (Sez. 6, 16491/2005).

In materia di abuso dei mezzi di correzione e di disciplina il pericolo di una malattia fisica o psichica richiesto dall’art. 571 non deve essere accertato necessariamente attraverso una perizia medico-legale, ma può essere desunto anche dalla natura stessa dell’abuso, secondo le regole della comune esperienza; e può ritenersi, senza bisogno di alcuna indagine eseguita sulla base di particolari cognizioni tecniche, allorquando la condotta dell’agente presenti connotati tali da risultare suscettibile in astratto di produrre siffatta conseguenza.

Né occorre, trattandosi di tipico reato di pericolo, che questa si sia realmente verificata, atteso che l’esistenza di una lesione personale è presa in considerazione come elemento costitutivo della ipotesi diversa e più grave prevista dal secondo comma dell’art. 571 (Sez. 6, 6001/1999).

Alla luce della concezione personalistica e pluralistica della Costituzione, del riformato diritto di famiglia e della Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo, non può più ritenersi lecito l’uso sistematico della violenza quale ordinario trattamento del minore, sia pure sostenuto da animus corrigendi.

Pertanto, l’eccesso di mezzi violenti di correzione non rientra della fattispecie di cui all’art. 571, e la differenza tra il delitto previsto da tale articolo (abuso dei mezzi di correzione o di disciplina) e quello previsto dall’art. 572 (maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli) deve essere ricercato nella condotta, e non già nell’elemento soggettivo del reato, che si atteggia in entrambe le fattispecie come dolo generico (Sez. 6, 4904/1997).