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Art. 496 - False dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri (1)

1. Chiunque, fuori dei casi indicati negli articoli precedenti, interrogato sulla identità, sullo stato o su altre qualità della propria o dell’altrui persona, fa mendaci dichiarazioni a un pubblico ufficiale o a persona incaricata di un pubblico servizio, nell’ esercizio delle funzioni o del servizio, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

(1) Articolo così sostituito dalla lettera b-quinquies) del comma 1 dell’art. 1, DL 92/2008, convertito con modificazioni con L. 125/2008.

Rassegna di giurisprudenza

Poiché il reato di cui all’art. 496 è a consumazione istantanea, una volta esibito il documento contraffatto il reato si considera consumato e la condotta successiva diviene dunque ininfluente sul piano della integrazione materiale dello stesso (Sez. 5, 8543/2019).

Non è configurabile l’ipotesi del reato impossibile in relazione alla fattispecie di false dichiarazioni a pubblico ufficiale sulla propria identità o sulle proprie qualità personali, in quanto la lesione del bene della fede pubblica si realizza per il solo fatto di aver dichiarato il falso e indipendentemente dalla circostanza che il pubblico ufficiale sia consapevole o meno, della falsità delle dichiarazioni medesime (Sez. 5, 49788/2013).

 

La falsa dichiarazione rilevante ai sensi dell’art. 496 non è affatto innocua ed inidonea a trarre in inganno, allorché i verbalizzanti debbano ricorrere agli elementi forniti dalla banca dati per accertare l’identità del soggetto agente (Sez. 7, 2297/2019).

Il delitto punito dall’art. 496 si consuma nel momento in cui l’imputato rende le false generalità (Sez. 7, 57683/2018).

Il reato di cui all’art. 496 si consuma nel momento in cui il soggetto agente declina le false generalità sicché non è rilevante che successivamente indichi le generalità corrette (Sez. 5, 54481/2018).

Integra il reato di cui all’art. 495 la condotta di colui che, privo di documenti di identificazione, fornisca ai carabinieri, nel corso di un controllo stradale, false dichiarazioni sulla propria identità, considerato che dette dichiarazioni  in assenza di altri mezzi di identificazione  rivestono carattere di attestazione preordinata a garantire al pubblico ufficiale le proprie qualità personali, e, quindi, ove mendaci, ad integrare la falsa attestazione che costituisce l’elemento distintivo del reato di cui all’art. 495, nel testo modificato dalla L. 125/2008, rispetto all’ipotesi di reato di cui all’art. 496 (Sez. 5, 7286/2015).

Il reato di false dichiarazioni ad un pubblico ufficiale, anche a seguito delle modifiche introdotte dalla L. 125/2008, si distingue da quello di false dichiarazioni sulla propria identità poiché il disvalore è incentrato sulla condotta di “attestazione falsa”, sicché, nonostante l’eliminazione del riferimento all’atto pubblico, esso incrimina tuttora il soggetto che renda false dichiarazioni “attestanti”, ovvero tese a garantire, il proprio stato od altre qualità della propria od altrui persona, destinate ad essere riprodotte in un atto fidefaciente idoneo a documentarle (Sez. 4, 19963/2009).

Tuttora, quindi, nonostante l’eliminazione dell’espresso riferimento all’atto pubblico, qualora il soggetto renda false dichiarazioni “attestanti” (e cioè tese a garantire) il proprio stato o altre qualità della propria o altrui persona che, in quanto tali, siano destinate ad essere riprodotte in un atto fidefaciente idoneo a documentarle, deve continuare a trovare applicazione la norma incriminatrice di cui all’art. 495 (Sez. 5, 48904/2018).

La violazione degli artt. 497-bis e 496 configura una ipotesi di concorso materiale di reati e non già di concorso apparente di norme incriminatrici. Infatti, la sussistenza di un rapporto di specialità tra le due norme è esclusa in ragione del fatto che la prima delle due disposizioni punisce il mero possesso o la fabbricazione del documento, indipendentemente dalla sua successiva utilizzazione, mentre la seconda incrimina colui che, interrogato sulla identità, lo stato o altre qualità della propria o altrui persona, fornisce false dichiarazioni ad un pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio, condotta che costituisce dunque un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a quello incriminato dall’art. 497-bis.

Nel caso di specie, proprio l’utilizzazione del documento falso, irrilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 497-bis, diviene elemento tipico della fattispecie di cui all’art. 496, dal momento che presentare i documenti falsi a seguito di un controllo equivale a declinare falsamente le proprie generalità (Sez. 5, 8543/2019).

Il reato di cui all’art. 496 ricorre anche quando le false dichiarazioni siano rese a poliziotti liberi dal servizio poiché costoro sono considerati in servizio permanente (Sez. 7, 28655/2018).

Ai fini della sussistenza del reato di false dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri, è sufficiente il dolo generico consistente nella coscienza e volontà di rendere dichiarazioni difformi dal vero sull’identità o su qualità personali giuridicamente rilevanti, mentre non occorre il dolo specifico di trarre in inganno il destinatario della dichiarazione o altri soggetti.

Tanto premesso il dolo generico del reato di cui all’art. 496 consiste nella coscienza e volontà di rendere dichiarazioni difformi dal vero sulla propria identità, e non può essere seriamente contestato sulla base del rilievo che la data ed il luogo di nascita coincidano con quello reale, in quanto la falsa dichiarazione resa dall’imputato concerne il nome ed il cognome; in altri termini, il reato di cui all’art. 496 può essere integrato anche quando la falsa dichiarazione concerna soltanto alcuni dati dell’identità anagrafica (Sez. 5, 32641/2018).

La dichiarazione del privato concernente identità o qualità personali svolge rispetto al provvedimento amministrativo cui la stessa tende, e dalla collocazione strutturale, all’interno del procedimento amministrativo, che la medesima assume. II reato di falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri previsto dall’art. 495 richiede, difatti, che la mendace dichiarazione resa dal privato sia recepita in un provvedimento amministrativo che fonda sull’esistenza dei requisiti attestati, mentre il reato di cui all’art. 496 sanziona l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà dichiarativa su qualità personali imposta dalla legge ed a cui l’ordinamento riconduce ex se la produzione di effetti giuridici nella sfera del dichiarante.

Nella delineata prospettiva, ed al fine di individuare la disposizione incriminatrice applicabile a fronte della medesima condotta dichiarativa, risolvendo il concorso apparente di norme che ne deriva attraverso la individuazione degli elementi specializzanti contenuti nella norma extrapenale integratrice del precetto (SU, 41588/2017), necessario si appalesa lo scrutinio circa la destinazione funzionale delle dichiarazioni di cui si contesta la veridicità, collocandone la portata nell’ambito del procedimento amministrativo di riferimento.

In siffatto contesto, e con riferimento alla fattispecie in esame, rileva la natura giuridica della dichiarazione concernente qualità personali proprie ai fini della voltura di licenza di somministrazione di bevande. II subingresso in tale tipo d’attività commerciale rientra tra i temi affrontati dal DLGS 59/2010, adottato in attuazione della direttiva comunitaria 2006/123, relativa ai servizi nel mercato interno.

L’art. 64 del citato DLGS, ulteriormente ridefinito dal DLGS 147/2012, prevede che «il trasferimento della gestione o della titolarità degli esercizi [...] in ogni caso sono soggetti a segnalazione certificata di inizio di attività da presentare allo sportello unico per le attività produttive del comune competente per territorio ai sensi dell’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni».

Ed i predetti principi dispiegano effetto anche sulla normativa regionale, dovendosi interpretare le diverse locuzioni previste in alcune leggi regionali in materia di subingresso quali “segnalazioni” ai sensi dell’articolo 19 della L. 241/90, come modificato. In linea generale, la SCIA – Segnalazione certificata di inizio attività – è la dichiarazione che consente alle imprese di iniziare, modificare o cessare un’attività produttiva (artigianale, commerciale, industriale), senza dover attendere i tempi e l’esecuzione di verifiche e controlli preliminari da parte degli enti competenti, sostituendo autorizzazioni, licenze o domande di iscrizione non sottoposte a valutazioni discrezionali o al rispetto di norme di programmazione e pianificazione, così come di vincoli ambientali, paesaggistici, culturali, etc.. In presenza dei necessari presupposti, all’interessato è sufficiente presentare la SCIA, correttamente compilata e completa in ogni sua parte, per avviare l’attività.

Per consentire lo svolgimento dei controlli successivi da parte degli uffici ed organi di controllo preposti, la segnalazione deve essere corredata delle prescritte autocertificazioni circa il possesso dei requisiti soggettivi (morali e professionali, quando richiesti per lo svolgimento di determinate attività) e oggettivi, unitamente, ove richiesto, all’allegazione di elaborati tecnici e planimetrici.

Sotto il profilo formale, la compilazione dei campi e l’aggiunta degli allegati occorrenti devono fornire le informazioni e gli elementi necessari a descrivere compiutamente l’attività affinché l’amministrazione destinataria possa svolgere, nei sessanta giorni successivi, accertamenti riguardo il possesso e la veridicità dei requisiti dichiarati, adottando, in caso negativo, i necessari provvedimenti per richiedere la conformazione dell’attività ovvero, qualora ciò non sia possibile, vietare la prosecuzione dell’attività e sanzionare, se necessario, l’imprenditore che si fosse reso responsabile di dichiarazioni mendaci. I DLGS 126, 127 e 222 del 2016, adottati in attuazione della L. 125/2015 nell’ambito della riforma della Pubblica Amministrazione, ispirata alla semplificazione dei rapporti tra cittadini ed istituzioni ed alla digitalizzazione dell’attività amministrativa, hanno ulteriormente definito la materia, rendendo il regime della SCIA quello più frequentemente applicato ai procedimenti amministrativi, conformandone la struttura alla diversa tipologia di interessi perseguiti.

Dalla sommaria ricostruzione che precede, risulta che la dichiarazione in esame, allegata alla SCIA e contenente mendaci dichiarazioni riguardo i requisiti morali richiesti per il subingresso nella licenza, costituisce mero atto comunicativo reso nell’ambito della SCIA, autosufficiente ai fini della legittimazione all’esercizio dell’attività che può, solo successivamente, essere vietata, all’esito del negativo riscontro dei requisiti da parte dell’ente pubblico.

Di guisa che trattasi di atto comunicativo non destinato ad incidere, direttamente o indirettamente, sulla formazione di un atto pubblico che, invece, sostituisce. Ne consegue che integra il reato di cui all’art. 496 (false dichiarazioni sull’identità o su qualità personali proprie o di altri) – e non quello di cui all’art. 495 (falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri) – la condotta di colui che dichiari falsamente, in sede di SCIA, di possedere i prescritti requisiti morali, in quanto, in tal caso, la dichiarazione del privato costituisce ex se condizione di legittimazione all’esercizio dell’attività e non è destinata ad incidere, direttamente o indirettamente, anche sulla formazione di un atto pubblico (Sez. 5, 26575/2018).

Integra il delitto di false dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri (art. 496) la condotta di colui che declini generalità false al «controllore» di un’azienda di trasporto urbano, il quale riveste la funzione di incaricato di pubblico servizio essendo pubblica la funzione svolta da tali aziende e non meramente esecutive le funzioni assolte dal predetto dipendente (Sez. 5, 45524/2016).

Le mendaci dichiarazioni di cui all’art 496 comprendono non solo le dichiarazioni rese mediante pronuncia di parole o frasi, ma anche qualsiasi atto che comporti e configuri in sé una risposta al pubblico ufficiale, quale la esibizione di un documento d’identità (Sez. 5, 9105/2018).