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Art. 415 - Istigazione a disobbedire alle leggi

1. Chiunque pubblicamente istiga alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico, ovvero all’odio fra le classi sociali, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni (1).

(1) La Corte costituzionale, con sentenza 108/1974, ha dichiarato l’illegittimità della disposizione contenuta nell’art. 415, nella parte in cui non specifica che tale istigazione deve essere attuata in modo pericoloso per la pubblica tranquillità.

Rassegna di giurisprudenza

Integra il reato di istigazione a disobbedire alle leggi la ripetuta diffusione, mediante emittenti radiofoniche, di messaggi intesi a suggerire agli ascoltatori condotte contrarie a norme del codice stradale e gravemente pericolose per la pubblica incolumità (nella specie, a non indossare le cinture di sicurezza, a guidare ubriachi e a non rispettare i limiti di velocità), dovendosi identificare le leggi di ordine pubblico indicate nell’art. 415 particolarmente in quelle di natura cogente e inderogabile, intese alla tutela della sicurezza pubblica (Sez. 1, 26843/2010).

Non costituisce il reato di cui all’art. 415 l’incitamento all’autoriduzione delle fatture per il consumo dell’energia elettrica e dell’acqua (Sez. 1, 5927/1991).

Ai fini della sussistenza del delitto di istigazione alla disobbedienza a leggi di ordine pubblico, previsto dall’art. 415, per leggi di ordine pubblico devono intendersi quelle che tendono a garantire la pubblica tranquillità e la sicurezza pubblica; conseguentemente tra esse non possono ricomprendersi le leggi fiscali, come del resto si evince dalla circostanza che il legislatore ha ritenuto di dover introdurre nell’ordinamento una norma specifica  e cioè l’art. 1 DLGS del Capo provvisorio dello Stato 1559/1947  con la quale penalmente sanzionare, limitatamente a talune ipotesi, l’attività di chi istighi a non pagare le imposte o a ritardarne o a sospenderne il pagamento (Sez.).

Per leggi di ordine pubblico debbono intendersi non solo quelle che tutelano la sicurezza pubblica, ma, in senso più ampio, i principi fondamentali dello Stato, tradotti nell’ordinamento giuridico in norme precettive, munite di sanzioni anche di carattere non penale, tra i quali rientrano quelli che autorizzano lo Stato a procurarsi i mezzi finanziari per assicurare alla generalità, attraverso le imposizioni e la riscossione dei tributi, servizi pubblici, secondo le determinazioni delle leggi tributarie.

Ne consegue che risponde del delitto di cui all’art. 415 colui il quale istiga i contribuenti a non effettuare il pagamento delle imposte dirette e li inciti alla cosiddetta obiezione fiscale relativamente alle spese militari, consistente nell’autoriduzione tributaria per quella parte di imposta destinata agli armamenti, e ad omettere, quindi, il versamento del corrispondente importo (Sez. 3, 11181/1986).

Il delitto di istigazione a disobbedire alle leggi di ordine pubblico, richiede, per la sua sussistenza, che un soggetto ponga in essere pubblicamente, con volontà libera e cosciente, l’evento di pericolo richiesto dalla norma incriminatrice, cioè la condotta istigatrice. Ai fini della sussistenza del delitto di istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico, la condotta dell’agente può essere definita istigatrice in quanto, sotto il profilo direzionale, sia indirizzata a spingere il soggetto istigato alla disobbedienza delle predette leggi e, sotto il profilo strutturale, sia idonea a determinare questa spinta nel soggetto istigato.

Ai fini della sussistenza del delitto di istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico, queste ultime non possono intendersi nel significato ristretto di leggi di pubblica sicurezza, ma in quello più ampio di leggi su cui poggia l’ordinato assetto e il buon andamento del vivere sociale, nel quadro della costituzione repubblicana: leggi, quindi, contenenti norme cogenti e, come tali, inderogabili dai privati (Sez. 1, 3388/1981).

Nel reato previsto dall’art. 415 seconda ipotesi, il dolo  analogamente a quanto richiesto per gli altri reati d’istigazione  consiste nella cosciente volontà di porre in essere l’evento di pericolo considerato dalla norma, cioè, specificamente, di compiere atti per loro natura diretti e idonei ad istigare all’odio tra le classi sociali; volontà che deve essere accompagnata dalla consapevolezza di agire pubblicamente, essendo la pubblicità componente essenziale del delitto.

Estranei al dolo richiesto per la sussistenza del reato in argomento sono i moventi e le cause che inducano l’agente a compiere gli atti previsti dalla norma, che possono indifferentemente essere commessi dal soggetto in esecuzione di un impegno assunto, anche dietro compenso, ovvero per l’impulso di un convincimento politico morale o sociale, ovvero a seguito di persuasione o incitamenti ricevuti, o per qualsiasi ragione.

La finalità della lotta di classe non può escludere il reato previsto dall’art. 415 sotto il profilo soggettivo, se detta finalità, in sé lecita, viene perseguita attraverso l’istigazione all’odio, istigazione che il legislatore ha ritenuto di perseguire penalmente, perché idonea a determinare la formazione di pericolosi stati di animo ed a compromettere le condizioni necessarie per il mantenimento dell’ordine e per una sana evoluzione sociale (Sez. 1, 10107/1975).