Art. 418 - Assistenza agli associati
1. Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, dà rifugio o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a taluna delle persone che partecipano all’associazione è punito con la reclusione da due a quattro anni (1).
2. La pena è aumentata se l’assistenza è prestata continuatamente (2).
3. Non è punibile chi commette il fatto in favore di un prossimo congiunto.
(1) Comma così modificato prima dall’art. 1, 374/2001, convertito con L. 438/2001 e poi dall’art. 1, L. 251/2005.
(2) Comma così modificato dall’art. 1, 374/2001, convertito con L. 438/2001.
Rassegna di giurisprudenza
Il reato di cui all’art. 418, che tipizza il delitto di assistenza agli associati, per effetto della clausola di sussidiarietà prevista dalla norma, può essere commesso solo da un soggetto che non è affiliato alla consorteria (Sez. 1, 58477/2018).
La condotta astrattamente rilevante ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 418 è assorbita dall’art. 416-bis se prestata da un aderente a vantaggio dell’intera consorteria, nell’ambito dei doveri solidaristici incombenti sui compartecipi, secondo il pactum sceleris (Sez. 6, 13085/2014).
Il delitto di cui all’art. 418 ricorre quando, al di fuori di concorso nel reato associativo o di favoreggiamento, si dà rifugio o si fornisce vitto a taluna delle persone che partecipano all’associ azione per delinquere; il contributo dell’agente, cioè, non viene prestato nel reato de quo, a vantaggio dell’organizzazione nel suo complesso (perché in tal caso concreterebbe gli estremi di una condotta di partecipazione all’associazione), ma è rivolto nei confronti di un singolo associato, anche se può, di volta in volta, riguardare soggetti diversi della stessa organizzazione, la quale, d’altro canto, deve risultare attualmente operante, perché una volta consumato il reato associativo la medesima condotta configura il diverso delitto di favoreggiamento: così, rientra in questa nozione il fornire una qualunque forma di protezione logistica – precaria o stabile, temporanea o permanente – al singolo associato (Sez. 6, 1644/1996).
Sotto il profilo tecnico-giuridico, la punibilità del concorso eventuale di persone nel reato nasce, nel rispetto del principio di legalità, sancito dall’art. 1 e dall’art. 25, comma 2, della Costituzione, dalla combinazione tra le singole norme penali incriminatrici speciali che tipizzano reati monosoggettivi, e l’art. 110, principio generale del concorso di persone applicabile a qualsiasi tipo di reato.
Nel vigente ordinamento, il concorso di persone nel reato è concepito come una struttura unitaria, nella quale confluiscono tutte le condotte poste in essere dai concorrenti: proprio in virtù di detta unitarietà strutturale, l’evento del reato concorsuale deve essere considerato come effetto della condotta combinata di tutti i concorrenti, anche di quelli che hanno posto in essere atti privi dei requisiti di tipicità. In virtù dell’art. 110 (che ha, dunque, una funzione estensiva dell’ordinamento penale, portato a coprire fatti altrimenti non punibili, ove ciascun concorrente abbia posto in essere non l’intera condotta tipica, ma soltanto una frazione “atipica” di essa), possono, pertanto, assumere rilevanza penale tutte le condotte, anche se atipiche (ovvero singolarmente non integranti quella tipizzata dalla norma penale incriminatrice), poste in essere da soggetti diversi, che, se valutate complessivamente, siano risultate conformi alla condotta tipica descritta dalla norma incriminatrice, ed abbiano contribuito causalmente alla produzione dell’evento lesivo da essa menzionato.
Come per ogni altra ipotesi di reato concorsuale, quindi, anche il c.d. “concorso esterno” nei reati associativi (il problema non si pone, infatti, per il solo reato di cui all’art. 416-bis) trova la sua giustificazione normativa nella combinazione tra la norma penale incriminatrice (nella specie, l’art. 416-bis) e la disposizione generale di cui all’art. 110, ed è caratterizzato dalle diverse modalità concrete in cui la fattispecie è suscettibile di manifestarsi. D’altro canto, la stessa Corte costituzionale (sentenza 48/2015) ha recentissimamente ribadito che il “concorso esterno” non è, come postulato dalla Corte EDU nella sentenza Contrada, un reato di creazione giurisprudenziale, ma scaturisce «dalla combinazione tra la norma incriminatrice di cui all’art. 416-bis. e la disposizione generale in tema di concorso eventuale nel reato di cui all’art. 110».
In realtà, con riguardo alla configurabilità o meno del c.d. “concorso esterno” (od eventuale, ex art. 110) nei delitti associativi, e quindi, per quanto in questa sede più immediatamente rileva, nell’associazione per delinquere di tipo mafioso, il problema tradizionalmente discusso riguardava piuttosto la mera compatibilità dell’estensione ex art. 110 con le singole norme incriminatrici di volta in volta in questione (questo, e non altro, il contrasto devoluto per la prima volta all’esame delle Sezioni unite (SU, 16/1995) come si ricava dall’espressione che segue: «La sezione feriale, investita della questione, rilevata l’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza, anche recentissima, di questa suprema corte sulla compatibilità del concorso eventuale con il reato associativo, con ordinanza in data 30 agosto 1994 rimetteva il ricorso alle sezioni unite»).
Soltanto in riferimento a tale problema – ferma la matrice esclusivamente ed inequivocabilmente normativa dell’incriminazione, ove ritenuta, in difetto di ragioni di incompatibilità, ammissibile – è stato, pertanto, attribuito rilievo all’esegesi giurisprudenziale. La dottrina ha tradizionalmente evidenziato l’insussistenza di astratti ostacoli di tipo dogmatico alla configurabilità del concorso eventuale nelle fattispecie plurisoggettive necessarie, pur ammettendo la necessità di valutare se la struttura del singolo reato plurisoggettivo sia compatibile, in concreto, con il concorso eventuale.
Il problema riguardava, in particolare, il solo concorso materiale, poiché non si era mai dubitato della configurabilità di quello morale. L’orientamento che ha negato la configurabilità del concorso esterno non afferma tout court la liceità penale delle condotte ad esso generalmente riconducibili, ma ritiene che queste ultime siano in ampia parte già qualificabili come vere e proprie condotte di partecipazione all’associazione. Si è, infatti, inizialmente sostenuto, che “potranno essere punibili come associati anche soggetti «esterni» all’associazione criminosa, purché autori di comportamenti che obiettivamente l’avvantaggiano e purché sia presente il relativo elemento soggettivo di partecipazione”; la stessa autorevole dottrina ha, solo in seguito, auspicato, per evitare eccessi di discrezionalità giurisprudenziale, «un intervento legislativo diretto a precisare, mediante la configurazione di una o più fattispecie incriminatrici di parte speciale, le forme di contiguità davvero intollerabili, e perciò meritevoli di repressione penale».
Altra autorevole dottrina, premesso che la condotta di «partecipazione all’associazione» richiede: (a) la permanente messa a disposizione del proprio apporto e l’accettazione da parte dell’associazione, che non richiede forme espresse o addirittura rituali, ma può aver luogo anche per facta concludentia, ha evidenziato che, «così intesa la partecipazione all’associazione, appare chiaro che residua uno spazio per la valutazione di comportamenti che, per il loro carattere episodico, oppure perché provenienti da parte di soggetti non inseriti nell’associazione, non possono essere ricondotti al paradigma della partecipazione interna, ma che pure presentano un rilevante significato per la vita dell’associazione».
Nel medesimo senso, con ineccepibile applicazione dei principi generali comunemente accolti (ma dei quali non sempre chi è intervenuto nel dibattito sulla configurabilità del concorso esterno ha tratto le inevitabili conseguenze dogmatiche), ulteriore autorevole dottrina ha anche osservato che il c.d. concorso esterno è sicuramente configurabile in presenza dei tre requisiti essenziali del concorso eventuale ex articolo 110, ovvero: “(a) l’atipicità della condotta concorsuale rispetto alla fattispecie associativa»; (b) «il contributo, morale o materiale, necessario o agevolatore, occasionale o continuativo, per la costituzione, conservazione o rafforzamento dell’associazione»; (c) «il dolo di concorso, per l’esistenza del quale non è necessario il dolo specifico di perseguire il programma criminoso, ma sufficiente la coscienza e volontà di contribuire alla costituzione, conservazione o rafforzamento dell’associazione, stante il principio della possibilità del concorso con dolo generico nel reato a dolo specifico, purché almeno un altro concorrente agisca con la finalità richiesta dalla norma incriminatrice”.
La giurisprudenza è ormai ferma nell’ammettere la configurabilità del concorso esterno nei reati associativi, con riguardo alle condotte consapevolmente volte a vantaggio dell’associazione, ma poste in essere da soggetto che non è, e non vuole essere, organico ad essa.
A tal fine, si richiede che il concorrente esterno: (a) sia privo della affectio societatis e non inserito nella struttura organizzativa del sodalizio (SU, 22327/2003); (b) fornisca, ai fini della conservazione o del rafforzamento dell’associazione, un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario, a carattere indifferentemente occasionale o continuativo, dotato di un’effettiva rilevanza causale, e che quindi si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative del sodalizio o, per le associazioni operanti su larga scala, di un suo particolare settore o ramo d’attività, o di una sua articolazione territoriale (SU, 22327/2003; SU, 33748/2005, per la quale, in particolare, l’efficienza causale in merito alla concreta realizzazione del fatto criminoso collettivo costituisce elemento essenziale e tipizzante della condotta concorsuale, di natura materiale o morale, e non è sufficiente una valutazione ex ante del contributo, risolta in termini di mera probabilità di lesione del bene giuridico protetto, ma è necessario un suo apprezzamento ex post, in esito al quale sia dimostrata, alla stregua dei comuni canoni di «certezza processuale», l’elevata credibilità razionale dell’ipotesi formulata in ordine alla reale efficacia condizionante della condotta atipica del concorrente); (c) si rappresenti, nella forma del dolo diretto, l’utilità del contributo fornito alla societas sceleris, ai fini della realizzazione anche parziale del programma criminoso (SU, 22327/2003): non è necessario, in capo al concorrente esterno, il dolo specifico proprio del partecipe (consistente nella consapevolezza di far parte dell’associazione e nella volontà di contribuire a tenerla in vita e farle raggiungere gli obiettivi prefissati), essendo sufficiente quello generico (che deve investire sia il fatto tipico oggetto della previsione incriminatrice, sia il contributo causale recato dalla propria condotta alla conservazione od al rafforzamento dell’associazione, agendo nella consapevolezza e volontà di fornire il proprio contributo al conseguimento, anche parziale, del programma criminoso dell’associazione) (SU, 14 dicembre 1995, e SU, 33748/2005: queste ultime hanno anche evidenziato l’insufficienza del dolo eventuale, inteso come mera accettazione da parte del concorrente esterno del rischio del verificarsi dell’evento, ritenuto solamente probabile o possibile insieme ad altri risultati intenzionalmente perseguiti).
Un’ulteriore pronuncia (Sez. 2, 18797/2012) ha così focalizzato la differenza fra il partecipe all’associazione (intraneus) ed il concorrente esterno (extraneus): (a) sotto il profilo oggettivo, essa va individuata «nel fatto che il concorrente esterno – benché fornisca un contributo che abbia una rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento dell’associazione – non sia inserito nella struttura criminale; (b) sotto il profilo soggettivo, essa va individuata “nel fatto che il concorrente esterno – differentemente da quello interno il cui dolo consiste nella coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione dell’accordo e quindi del programma delittuoso in modo stabile e permanente – sia privo dell’affectio societatis”.
Peraltro, nella consapevolezza che detti canoni, astrattamente ineccepibili, possono in concreto risultare di nebulosa applicazione, si è condivisibilmente ritenuto di precisare, in relazione all’elemento materiale del reato associativo, che «l’art. 416-bis incrimina chiunque partecipi all’associazione, indipendentemente dalle modalità attraverso le quali entri a far parte dell’organizzazione criminosa. Infatti, non occorrono atti formali o prove particolari dell’ingresso nell’associazione che può avvenire nei modi più diversi.
La mancata legalizzazione – cioè l’atto formale di inserimento nell’ambito dell’organizzazione criminosa – non esclude, pertanto, che il partecipe sia di fatto in essa inserito e contribuisca con il suo comportamento ai fini dell’associazione; questa Corte, infatti, da tempo, ha chiarito che la prova dell’appartenenza, come intraneus, al sodalizio criminoso può essere dato anche attraverso significativi facta concludentia ove siano idonei, senza alcun automatismo probatorio, a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo».
Il “prendere parte” al fenomeno associativo implica, quindi, sul piano fattuale, «un ruolo dinamico e funzionale in esplicazione del quale l’interessato fornisca uno stabile contributo rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi. La suddetta condotta può assumere forme e contributi diversi e variabili proprio perché, per raggiungere i fini propri dell’associazione, occorrono diverse competenze e diverse mansioni ognuna delle quali - svolta da membri diversi - contribuisce, in modo sinergico, al raggiungimento del fine comune».
Ne consegue che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 416- bis, è necessaria e sufficiente l’adesione (anche non formale o rituale) al sodalizio, con impegno di mettersi a sua disposizione ricoprendo - in via tendenzialmente stabile - uno specifico ruolo, da cui promani un costante, effettivo e concreto contributo (anche atipico, ovvero di qualsiasi forma e contenuto) finalizzato alla conservazione od al rafforzamento di esso.
Generalmente l’attenzione si concentra sull’aspetto più cruento dell’associazione mafiosa ossia sui reati fine (estorsioni, usura, omicidi, traffico di stupefacenti ecc.) che vengono assunti ad indice del fenomeno associativo che sta a monte»; tuttavia, ai fini del raggiungimento degli scopi associativi, risultano non meno importanti le attività poste in essere da soggetti in apparenza al di sopra di ogni sospetto, dotati di specifiche competenze professionali (la c.d. “borghesia mafiosa”), strumentalizzate al fine di consentire al sodalizio mafioso di “dilagare” nel campo della società civile per incrementare ulteriormente le propria potenzialità operative: «questi soggetti – siano essi politici, pubblici funzionali, professionisti o imprenditori – devono ritenersi far parte a pieno titolo (come concorrenti interni) all’associazione mafiosa quando rivestano, nell’ambito della medesima, una precisa e ben definita collocazione, uno specifico e duraturo ruolo – per lo più connesso e strumentale alle funzioni ufficialmente svolte – finalizzato, per la parte di competenza, al soddisfacimento delle esigenze dell’associazione.
In questi casi, ove l’attività svolta da questa particolare categoria di soggetti presenti i caratteri della specificità e continuità e sia funzionale agli interessi e alle esigenze dell’associazione alla quale fornisce un efficiente contributo causale, la partecipazione dev’essere equiparata a quella di un intraneus tanto più ove il soggetto, per la sua stabile attività, consegua vantaggi e benefici economici o altre utilità».
Andrà, pertanto, essere considerato a pieno titolo come partecipante (quanto meno) alla societas sceleris, e non come mero concorrente esterno, il soggetto (appartenente alle categorie suddette) che si sia messo a disposizione del sodalizio assumendo stabilmente, nel suo ambito, il ruolo di elemento di collegamento tra i membri del sodalizio criminale e gli ambienti istituzionali, politici e imprenditoriali: «il contributo di questi soggetti della “borghesia mafiosa” è per l’associazione fonte di potere, relazioni, contatti.
Occorre ricordare, in proposito, che le associazioni mafiose sono tali perché hanno relazioni con la società civile; e, invero, tali relazioni che uniscono i boss con una rete di politici, pubblici amministratori, professionisti, imprenditori, uomini delle forze dell’ordine, avvocati e persino magistrati, costituiscono uno dei fattori che rendono forti le associazioni criminali e che spiegano perché lo Stato non sia ancora riuscito a sconfiggerle. Basti pensare che gli infiltrati, “le talpe”, le fughe di notizie riservate e, in casi ancora più gravi, le collusioni di investigatori, inquirenti o magistrati, con le cosche mafiose, possono portare al fallimento parziale o totale delle indagini. Trattasi di principi ormai pacifici nella giurisprudenza di legittimità.
Si è, infatti, osservato che, nei rapporti tra partecipazione ad associazione mafiosa e mero concorso esterno, la differenza tra il soggetto intraneus ed il concorrente esterno risiede nel fatto che quest’ultimo, sotto il profilo oggettivo, non è inserito nella struttura criminale, pur fornendo ad essa un contributo causalmente rilevante ai fini della conservazione o del rafforzamento dell’associazione, e, sotto il profilo soggettivo, è privo della affectio societatis, laddove il partecipe intraneus è animato dalla coscienza e volontà di contribuire attivamente alla realizzazione dell’accordo e del programma delittuoso in modo stabile e permanente (Sez. 6, 49757/2012).
Ritornando successivamente ad esaminare la questione, si è poi osservato che la partecipazione ad associazione mafiosa ed il concorso esterno costituiscono fenomeni completamente alternativi fra loro, in quanto la condotta associativa implica la conclusione di un pactum sceleris fra il singolo e l’organizzazione criminale, in forza del quale il primo rimane stabilmente a disposizione della seconda per il perseguimento dello scopo sociale, con la volontà di appartenere al gruppo, e l’organizzazione lo riconosce ed include nella propria struttura, anche per facta concludentia e senza necessità di manifestazioni formali o rituali, mentre il concorrente esterno è estraneo al vincolo associativo, pur fornendo un contributo causalmente orientato alla conservazione o al rafforzamento delle capacità operative dell’associazione, ovvero di un suo particolare settore di attività o articolazione territoriale, e diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima (Sez. 6, 16958/2014).
Si è, infine, chiarito che la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trova in rapporto di stabile ed organica compenetrazione con il tessuto organizzativo della associazione criminale, tale da implicare, più che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato prende parte al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi; ne consegue che è da considerare intraneus – e non semplice “concorrente esterno” – il soggetto che, consapevolmente, accetti i voti dell’associazione mafiosa e che, una volta eletto a cariche pubbliche, diventi il punto di riferimento della cosca mettendosi a disposizione, in modo stabile e continuativo, di tutti gli affiliati della consorteria, alla quale rende conto del proprio operato (Sez. 2, 53675/2014).
Nei medesimi termini la distinzione tra le due figure è stata focalizzata dalla Corte costituzionale con la già citata sentenza 48/2015: a parere del giudice delle leggi, infatti, «La differenza tra il partecipante “intraneus” all’associazione mafiosa e il concorrente esterno risiede (..) nel fatto che il secondo, sotto il profilo oggettivo, non è inserito nella struttura criminale, pur offrendo un apporto causalmente rilevante alla sua conservazione o al suo rafforzamento, e, sotto il profilo soggettivo, è privo dell’affectio societatis, laddove invece l’ “intraneus” è animato dalla coscienza e volontà di contribuire attivamente alla realizzazione dell’accordo e del programma criminoso in modo stabile e permanente (..). Dunque, se il soggetto che delinque con “metodo mafioso” o per agevolare l’attività di una associazione mafiosa (..) può, a seconda dei casi, appartenere o meno all’associazione stessa, il concorrente esterno è, per definizione, un soggetto che non fa parte del sodalizio: diversamente, perderebbe tale qualifica, trasformandosi in un «associato. Nei confronti del concorrente esterno non è, quindi, in nessun caso ravvisabile quel vincolo di «adesione permanente al gruppo criminale».
In conclusione, il contributo adesivo del partecipe all’associazione mafiosa deve, oggettivamente, configurarsi come tendenzialmente stabile e durevole, ovvero concretizzarsi nella continuativa disponibilità, per apprezzabile lasso di tempo, del proprio apporto, e, sotto il profilo soggettivo, essere connotato dalla coscienza e volontà di entrare a far parte stabilmente ed organicamente dell’associazione ed operare per il raggiungimento delle finalità della stessa. Appare, di conseguenza, evidente che le condotte che si concretizzano in un ausilio occasionale all’associazione, poste in essere senza entrare a farne parte stabilmente, senza essersi messi più o meno durevolmente a disposizione del sodalizio, senza assumere all’interno di esso un ruolo od una funzione ben determinati, non possono rilevare come condotte di partecipazione ex articolo 416-bis, perché atipiche rispetto alla previsione tassativa della predetta norma incriminatrice.
La ratio della rilevanza penale da attribuire al c.d. concorso «esterno» (come detto, pacificamente configurabile dal punto di vista dogmatico) va, pertanto, rinvenuta, senza alcun dubbio, nell’esigenza di attrarre nell’ambito del “penalmente rilevante” anche le condotte di chi, pur non essendo organico all’associazione (non facendone stabilmente parte), abbia fornito – anche solo occasionalmente – un contributo causalmente rilevante alla esistenza ed operatività di essa, ovvero al raggiungimento delle sue finalità, con ciò esponendo ugualmente a pericolo di lesione il bene protetto, l’ordine pubblico.
Deve aggiungersi che la distinzione tra le due figure non è meramente quantitativa: andrebbe qualificato senza dubbio come contributo di partecipazione quello del soggetto cui, nell’ambito del sodalizio, sia stato attribuito un ruolo, pur se non abbia mai avuto occasione di attivarsi (si pensi all’appartenente alle forze dell’ordine incaricato di riferire le notizie riservate di interesse del sodalizio, che non si sia in concreto attivato perché nell’ambito territoriale di sua competenza non abbia mai avuto conoscenza di simili notizie); al contrario, andrebbe qualificato, ancora una volta senza dubbio, come contributo concorsuale “esterno” quello del soggetto extraneus, sulla cui disponibilità il sodalizio non possa contare, ma che sia stato in più occasioni contattato per indurlo a tenere determinate condotte agevolative, di volta in volta concordate sulla base di autonome determinazioni (si pensi all’appartenente alle forze dell’ordine con il quale sia stata, in più occasioni, ma con autonome determinazioni, negoziata la rivelazione di singole notizie riservate).
Conferme testuali della configurabilità del concorso materiale esterno nei reati associativi (talora frettolosamente dimenticate dagli interpreti) sono fornite dallo stesso legislatore: invero, sia l’art. 307 (assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata) che l’art. 418 (assistenza agli associati ex artt. 416 e 416-bis) contengono una iniziale clausola di riserva («fuori dei casi di concorso nel reato») che ammette inequivocabilmente la possibilità di un mero concorso eventuale, «esterno», nei reati associativi, lasciando all’interprete soltanto il compito di stabilire in quali casi un tal concorso sia configurabile, ovvero consentendo all’interprete unicamente la valutazione del quomodo, non anche dell’an, del concorso esterno nel reato associativo.
L’orientamento che svaluta la rilevanza dei predetti riferimenti testuali, ed in particolare del riferimento di cui all’art. 418, ritiene che l’espressione «al di fuori dei casi di concorso nel reato» si riferirebbe al solo concorso necessario e non anche al concorso eventuale (l’espressione è interpretata come se dicesse «al di fuori dei casi di concorso necessario»); peraltro, nell’ambito del medesimo orientamento, l’identica espressione adoperata dal primo comma dell’art. 307 è interpretata come se si riferisse al “concorso morale”, ovvero ad escludere l’applicabilità della norma nel caso di concorso eventuale morale. Detta immotivata discrasia appare di per sé idonea ad “indebolire” l’orientamento, rendendolo già al suo interno non univoco.
Autorevole dottrina ha già osservato (con argomentazioni già condivise e recepite dalle Sezioni unite con la sentenza 16/1994) che nel primo comma dell’art. 418 “si trovano due espressioni differenti, rappresentate dalle locuzioni “concorso nel reato” e “persone che partecipano all’associazione” che richiamano necessariamente due realtà differenti»; «pare, infatti, logico supporre che se il legislatore avesse voluto fare riferimento, all’interno dello stesso comma, per due volte alla stessa fattispecie, avrebbe utilizzato la medesima espressione e non due diverse locuzioni»; «si deve dedurre, quindi, che “concorso nel reato” non significhi partecipazione allo stesso, ma concorso eventuale esterno nel reato associativo; è da ritenersi, pertanto, che il legislatore abbia inteso ammettere esplicitamente la configurabilità di un concorso eventuale nei confronti della associazione».
E, in proposito, si osserva che il dato letterale, ovvero le diverse espressioni adoperate nel medesimo contesto (esse confluiscono, infatti, nello stesso comma della norma de qua), rivela la trasparente intenzione del Legislatore di fare riferimento a due fattispecie diverse: in caso contrario, sarebbe davvero incomprensibile l’impiego, in una stessa norma, di due distinti termini per evocare il medesimo concetto. Rilievo decisivo va, sul punto, attribuito anche a quanto osservato nella Relazione ministeriale sul progetto del codice penale.
La Relazione, nell’illustrare la disciplina dettata dall’art. 418, osserva che «questa figura criminosa è tenuta distinta dai casi di concorso nel reato o di favoreggiamento», ed evidenzia che “infondato è il dubbio sollevato se l’inciso “fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento” si debba riferire al reato d’associazione o al reato-fine che gli associati si propongono di commettere, apparendo chiaro che il riferimento va fatto al reato di associazione per delinquere, oggetto della speciale previsione».
Per la Relazione ministeriale non possono quindi esservi dubbi sulla configurabilità del concorso eventuale, in tutte le sue forme, nei reati associativi (all’epoca, il riferimento riguardava tendenzialmente il reato di cui all’art. 416), visto che la stessa si premura di precisare che il concorso di cui si parla nell’art. 418 non è il concorso degli esterni rispetto al reato-fine che gli associati si propongono di commettere, bensì il concorso rispetto al reato di associazione, che, per la distinzione, per il parallelo che la Relazione fa tra quest’ultimo concorso ed il concorso esterno nel reato-fine, non può non essere, anch’esso, il concorso esterno, degli esterni, nel reato di associazione.
E, dopo aver chiarito il significato delle espressioni «dare rifugio o fornire vitto», la Relazione ministeriale aggiunge, ribadendo il concetto, che la disposizione penale in questione è stata resa rigorosa, ma che «il maggior rigore si è reso necessario» anche «per la esigenza di non confondere questa speciale figura delittuosa – che, non v’è dubbio, punisce un certo contributo esterno prestato agli associati, ai partecipanti – con il concorso nell’associazione per delinquere».
Il contributo del «concorrente eventuale od esterno» al reato associativo rileva, pertanto, come accade ordinariamente per ogni altra fattispecie tipica di reato, in forza dell’art. 110 (che ha la funzione di estendere l’ambito dell’illecito penale, onde ricomprendervi i contributi atipici), e deve necessariamente accedere ad una societas sceleris preesistente od anche solo contemporaneamente costituita da terzi. In proposito, va, conclusivamente, affermato il seguente principio di diritto: «E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 110 e 416-bis (nella parte in cui, secondo l’interpretazione giurisprudenziale in atto dominante, incriminano il c.d. “concorso esterno” in associazioni di tipo mafioso), sollevata per asserito contrasto con l’art., 25, comma 2, della Costituzione e con gli artt. 117 della Costituzione e 7 della Convenzione EDU, per violazione del principio di legalità. Il c. d. “concorso esterno” in associazioni di tipo mafioso non è un istituto di (non consentita, perché in violazione del principio di legalità) creazione giurisprudenziale, ma è incriminato in forza della generale (perché astrattamente riferibile a tutte le norme penali incriminatrici) funzione incriminatrice dell’art. 110, che estende l’ambito delle fattispecie penalmente rilevanti, ricomprendendovi quelle nelle quali un soggetto non abbia posto in essere la condotta tipica, ma abbia fornito un contributo atipico, causalmente rilevante e consapevole, alla condotta tipica posta in essere da uno o più concorrenti, secondo una tecnica normativa ricorrente; la sua matrice legislativa trova una conferma testuale nella disposizione di cui all’art. 418, comma 1» (Sez. 2, 22447/2016).