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Art. 11 - Rinnovamento del giudizio

1. Nel caso indicato nell’art. 6, il cittadino o lo straniero è giudicato nello Stato, anche se sia stato giudicato all’estero.

2. Nei casi indicati negli articoli 7, 8, 9 e 10, il cittadino o lo straniero, che sia stato giudicato all’estero, è giudicato nuovamente nello Stato, qualora il ministro della giustizia ne faccia richiesta.

Rassegna di giurisprudenza

Con riferimento alla previsione di cui all’art. 11, non sussiste alcun obbligo di diritto internazionale consuetudinario, cui lo Stato italiano debba conformarsi a mente dell’art. 10, primo comma, Cost., che imponga l’applicazione del divieto di bis in idem in campo internazionale (Corte costituzionale, 69/1976).

Non sussiste alcun rapporto tra la richiesta ex art. 8 e quella di rinnovamento del giudizio di cui all’art. 11. In effetti, si tratta di due situazioni completamente diverse, poiché la prima attiene alla condizione di procedibilità prevista per la punibilità del delitto politico commesso all’estero, tant’è che per essa è del tutto irrilevante che vi sia un giudicato straniero sul punto, mentre la richiesta di cui all’art. 11 presuppone, al contrario, che il reo sia già stato giudicato per un reato commesso all’estero (la condizione riguarda tutti i reati commessi all’estero ex artt. 7, 8, 9 e 10).

In tale ultimo caso, ferma restando la possibilità di procedere al riconoscimento della sentenza straniera ex art. 12, il Ministro della giustizia può richiedere che il reo sia giudicato anche in Italia. In proposito è utile richiamare, anche perché direttamente applicabile al caso oggetto del giudizio, l’orientamento di legittimità secondo il quale, poiché nell’ordinamento italiano non vige il principio del ne bis in idem internazionale, la sentenza penale emessa in un Paese extra-europeo (come avvenuto nel caso di specie) non impedisce il rinnovamento del giudizio in Italia per lo stesso fatto, sempre che il Ministro della giustizia ne faccia richiesta ai sensi dell’art. 11, secondo comma, sicché il pregresso riconoscimento della sentenza penale straniera sullo stesso fatto – eventualmente richiesto dal Ministro della giustizia nel caso in cui non esista trattato di estradizione con lo Stato estero ex art. 12, secondo comma – non preclude il possibile esercizio dell’azione penale in Italia.

L’istituto del riconoscimento, infatti, non comporta il recepimento integrale della decisione straniera, ma produce i limitati effetti tassativamente indicati e non è in relazione di alternatività o incompatibilità con il rinnovamento del giudizio, soprattutto quando il Ministro della giustizia non abbia potuto esercitare contestualmente – per circostanze oggettive – l’eventuale opzione tra i due istituti (così: Sez. 1, 12953/2004).

Si noti che nel caso citato, il riconoscimento della sentenza penale emessa dalla Corte Suprema del Sud Africa era stato richiesto quando l’imputato si trovava ancora all’estero per l’espiazione della pena colà inflittagli, mentre le condizioni per richiedere il rinnovamento del giudizio, per il delitto di omicidio volontario commesso all’estero, erano divenute sussistenti solo in seguito al suo rientro in Italia. Deve, dunque, concludersi che la richiesta di rinnovamento del giudizio è legata unicamente alla circostanza che per il reato oggetto del procedimento l’imputato sia già stato giudicato all’estero, mentre la procedibilità per detto reato resta regolata dagli artt. 7, 8, 9 e 10, sicché il rapporto tra le due richieste è eventuale e comunque diacronico, nel senso che la prima è necessaria solo ove vi sia un giudicato straniero, cosicché può intervenire in un momento diverso rispetto alla seconda.

Così chiariti i rapporti tra le due distinte richieste ministeriali, è necessario domandarsi se la richiesta di rinnovamento del giudizio di cui all’art. 11 debba sopraggiungere entro un certo termine. La giurisprudenza di legittimità è orientata a escludere che sia applicabile la previsione contenuta nell’art. 128 alla richiesta di rinnovamento del giudizio di cui all’art. 11. In proposito, infatti, si è affermato che «la richiesta di rinnovamento del giudizio nello Stato, di cui all’art. 11, secondo comma, non è soggetta al termine di cui all’art. 128» (Sez. 1, 8105/1989), tanto che si è precisato che «la richiesta del ministero di grazia e giustizia di cui al secondo comma dell’art. 11 non è soggetta a termine, quindi, può essere formulata anche in via preventiva ed in previsione del passaggio in giudicato della sentenza straniera» (Sez. 1, 6602/1987).

Risulta, in proposito, particolarmente aderente alla problematica oggetto del giudizio, un (pur) risalente precedente di legittimità (Sez. 2, 859/1966) che riguarda i rapporti tra la richiesta ex art. 9 e quella ex art. 11, ma che, all’evidenza, risulta particolarmente illuminante anche per quello che concerne i rapporti tra gli artt. 8 e 11.

Si è affermato che «le richieste di procedimento previste dagli artt. 9 e 11 non sono atti equiparabili e fungibili, nel senso che la dichiarazione di volontà espressa ai fini della prima norma non è utilizzabile ai fini della seconda. In particolare, nel caso in cui sia iniziato in Italia un giudizio con regolare richiesta ex art. 9 e successivamente si venga a conoscenza che analogo procedimento e stato iniziato all’estero per lo stesso fatto, incombe al giudice il dovere di accertare se quest’ultimo procedimento sia stato definito con sentenza irrevocabile e, nell’ipotesi affermativa, egli ha l’obbligo di darne conoscenza al Ministro della giustizia, al fine di provocare la sua scelta alternativa tra gli istituti dell’art 11 (rinnovazione del giudizio in Italia) o dell’art. 12 (riconoscimento della sentenza straniera). Solo a seguito del mancato esercizio di tale potere da parte del Ministro, può e deve dichiararsi non doversi procedere, nella prospettata ipotesi, per difetto di richiesta (ex art. 11) nel giudizio che già era stato regolarmente iniziato con la richiesta ex art. 9».

Se, quindi, non sembra direttamente applicabile alla richiesta di rinnovamento del giudizio il termine di cui all’art. 128, non di meno, quando l’AG accerta che l’imputato è già stato giudicato all’estero per lo stesso fatto ha l’obbligo di renderne edotto il Ministro della giustizia perché compia la valutazione di sua competenza.

A fronte del positivo scrutinio da parte dell’autorità giudiziaria della sussistenza di una ipotesi di bis in idem internazionale, compete al Ministro, nell’ottica di leale collaborazione, di compiere tempestivamente le proprie valutazioni onde consentire all’autorità giudiziaria di assumere le conseguenti decisioni sulla prosecuzione o sulla conclusione del giudizio (si noti, incidentalmente, che l’eventuale proscioglimento per mancanza della richiesta ex art. 11, è sottoposto al regime di cui all’art. 345 CPP).

È utile, infine, chiarire che compete unicamente all’autorità giudiziaria verificare e accertare che sussista effettivamente un’ipotesi di bis in idem internazionale, facendo all’uopo ricorso ai consolidati canoni ermeneutici (in primis: Corte costituzionale, sentenza 200/2016).

La precisazione non è superflua perché potrebbero sorgere divergenze interpretative non solo rispetto all’organo politico, ma soprattutto tra le parti del giudizio; in questa eventualità è evidente che la valutazione dell’autorità giudiziaria procedente potrà essere sottoposta al finale scrutinio di legittimità. Ciò premesso, può concludersi che compete all’AG, eventualmente compulsata dalle parti, valutare la sussistenza del bis in idem internazionale e investire il Ministro della giustizia della valutazione di opportunità di procedere al rinnovamento del giudizio, ancorché esso sia già in corso nello Stato in forza di una precedente richiesta di procedimento ex art. 8, non potendosi procedere, in assenza di una specifica determinazione in tal senso, alla declaratoria di improcedibilità o non punibilità per difetto della richiesta ex art. 11. D’altra parte, l’obbligo del Ministro della giustizia di compiere la valutazione politica di cui all’art. 11 non può farsi decorrere dalla semplice conoscenza della esistenza di una sentenza straniera.

Non spetta, infatti, all’organo politico stabilire se il giudicato straniero riguardi lo stesso fatto-reato in relazione al quale è in corso il processo nello Stato. Il Ministro della giustizia, pertanto, sarà chiamato a compiere la valutazione propria, solo quando venga formalmente investito da parte dell’AG che, dovendo procedere (indagini preliminari) o avendo in corso un processo a carico del condannato all’estero, accerti l’identità del fatto-reato. È evidente, inoltre, che l’autorità giudiziaria, dopo avere provveduto a informare il Ministro della giustizia della sussistenza dell’ipotesi di cui all’art. 11, non potrà assumere alcuna determinazione sul successivo sviluppo del procedimento perché altrimenti porrebbe nel nulla la valutazione ministeriale.

Si vuole, con ciò, rimarcare che la doverosa informativa al Ministro della giustizia circa la ricorrenza del bis in idem impedisce all’autorità giudiziaria di procedere all’immediata declaratoria di improcedibilità del reato ex art. 129 CPP, perché altrimenti la determinazione ministeriale ne risulterebbe pregiudicata. D’altra parte, l’autorità giudiziaria procedente, informato il Ministro, potrà assumere le prove a mente dell’art. 346 CPP, sussistendone i presupposti. Resta da stabilire se il Ministro della giustizia, investito dall’autorità giudiziaria della sussistenza dell’ipotesi di cui all’art. 11, abbia un termine per pronunciarsi. Come si è detto, la giurisprudenza di legittimità esclude l’applicabilità del termine previsto dall’art. 128. In effetti, tale termine si riferisce alla «punibilità di un reato» e richiama puntualmente le formule utilizzate negli artt. 7, 8, 9 e 10, mentre la richiesta ex art. 11 concerne la procedibilità dell’accusa e del giudizio, tant’è che espressamente stabilisce che il reo «è giudicato nuovamente nello Stato», facendo univoco riferimento alla richiesta quale rimozione di un ostacolo processuale allo sviluppo dell’azione.

D’altra parte, l’art. 128 si riferisce espressamente alla «notizia del fatto che costituisce reato», mentre la richiesta di rinnovamento del giudizio ex art. 11 presuppone non solo la conoscenza del reato, la cui punibilità dipende a sua volta dalla ricorrenza delle ipotesi di cui agli artt. 7, 8, 9 e 10, ma soprattutto la consapevolezza dell’esistenza di una ipotesi di bis in idem. Alla luce di tali considerazioni deve concludersi che non è previsto un termine perché il Ministro della giustizia avanzi la richiesta di rinnovamento del giudizio ex art. 11, sicché deve, in proposito, farsi ricorso agli ordinari meccanismi processuali che riguardano le condizioni di procedibilità.

Quando l’esistenza del bis in idem internazionale sia stata accertata dall’autorità procedente nel corso delle indagini preliminari, non potrà procedersi oltre con l’azione penale finché il Ministro della giustizia, informato di ciò, non proponga la prevista richiesta di rinnovamento del giudizio. Quando, invece, l’esistenza del bis in idem internazionale sia stata accertata dall’autorità procedente nel corso del giudizio, non potrà pronunciarsi la sentenza finché il Ministro della giustizia, informato di ciò, non proponga la prevista richiesta di rinnovamento del giudizio. In entrambi i casi sopra indicati, qualora la richiesta ministeriale non intervenga entro un termine ragionevole, dovrà procedersi alla definizione del procedimento per improcedibilità, secondo le disposizioni applicabili in ragione della fase (decreto di archiviazione, sentenza ex artt. 129, 425, 529 CPP) (Sez. 1, 24795/2018).

Il processo celebrato all’estero nei confronti del cittadino non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per gli stessi fatti, in quanto nell’ordinamento giuridico italiano non vige il principio del "ne bis in idem" internazionale, prevedendo l’art. 11, comma 1, la rinnovazione del giudizio nei casi indicati dall’art. 6, cioè quando l’azione o l’omissione che costituisce il reato è avvenuta in tutto o in parte nel territorio dello Stato. Ciò trova conferma nell’art. 138, il quale, per l’ipotesi di giudizio seguito all’estero e rinnovato in Italia, prevede come legittima l’esecuzione della pena inflitta dall’AG italiana, disponendo che vi venga sempre computata la pena scontata all’estero (Sez. 4, 3315/2017; Sez. 1, 29664/2014).

Se pure deve riconoscersi che il principio del ne bis in idem costituisce in effetti "un principio tendenziale cui si ispira oggi l’ordinamento internazionale, e risponde del resto a evidenti ragioni di garanzia del singolo di fronte alle concorrenti potestà punitive degli Stati" (in termini, Corte costituzionale, sentenza 58/1997) e che si assiste effettivamente ad una evoluzione legislativa che va nel senso di riconoscere efficacia preclusiva ad una sentenza straniera che abbia irrevocabilmente giudicato di un reato commesso in Italia da un cittadino straniero, o, come nella specie, di un cittadino italiano all’estero (processo che vede quali tappe significative, prima, la Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987, resa esecutiva in Italia con L. 16 ottobre 1989, n. 350, e poi, soprattutto, la L. 30 settembre 1993, n. 388 che ha segnato il recepimento da parte dell’Italia dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985), ciò non significa ancora che per effetto di tale evoluzione normativa il principio del ne bis in idem, possa considerarsi, rispetto alle sentenze straniere, come principio generale di diritto riconducibile alla categoria delle norme del diritto internazionale generalmente riconosciuto, oggetto di ricezione automatica ai sensi dell’art. 10 Cost.

Si ritiene, in altri termini, in adesione all’opinione prevalente in dottrina e in giurisprudenza, che se pure in forza dell’art. 54 della Convenzione applicativa dell’accordo di Schengen, non si può più procedere in Italia, anche con riguardo a reati quivi commessi, nei confronti di una persona che sia stata definitivamente condannata o assolta per lo stesso fatto in uno Stato dell’area Schengen, resta tuttavia ferma, ratione temporis, l’irrilevanza del bis in idem internazionale con riguardo a sentenza penale deliberata in un paese, quale la Confederazione Svizzera, che soltanto in data 26.10.2004 ha concluso con l’U.E. l’accordo riguardante l’adesione della Svizzera all’attuazione, all’applicazione e allo sviluppo dell’Accordo di Schengen, peraltro entrato in vigore il 12.12.2008 (in termini, Sez. 5, 7687/2009).

Come costantemente affermato da questa Corte, in altri termini, "un processo celebrato nei confronti di cittadino straniero in uno Stato con cui non vigono accordi idonei a derogare alla disciplina dell’art. 11 non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per gli stessi fatti, non essendo il principio del "ne bis in idem" principio generale del diritto internazionale, come tale applicabile nell’ordinamento interno (fra molte, Sez. 1, 20464/2013).

Se pure deve riconoscersi, quindi, come già affermato dal giudice delle leggi in una pur risalente decisione (la 48/1967), che "ponendosi in una prospettiva ideale, che già trova fervide iniziative e convinti sostenitori, si può auspicare per il futuro l’avvento di una forma talmente progredita di società di Stati da rendere possibile, almeno per i fondamentali rapporti della vita, una certa unità di disciplina giuridica e con essa una unità e una comune efficacia di decisioni giudiziarie", ben diversa tuttavia, pur nel suo continuo evolversi, si presenta la realtà attuale, "dove la valutazione sociale e politica dei fatti umani, in ispecie nel campo penale, si manifesta con variazioni molteplici e spesso profonde da Stato a Stato. E ciò in conformità dei diversi interessi e dei variabili effetti riflessi della condotta degli uomini in ciascuno di essi, con la conseguente tendenza a mantenere come regola, nell’autonomia dei singoli ordinamenti, il principio della territorialità" (Sez. 1, 41180/2018).