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Art. 10 - Delitto comune dello straniero all’estero

1. Lo straniero, che, fuori dei casi indicati negli articoli 7 e 8, commette in territorio estero, a danno dello Stato o di un cittadino, un delitto per il quale la legge italiana stabilisce la pena di morte (1) o l’ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a un anno, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato, e vi sia richiesta del ministro della giustizia, ovvero istanza o querela della persona offesa.

2. Se il delitto è commesso a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito secondo la legge italiana, a richiesta del ministro della giustizia, sempre che:

1) si trovi nel territorio dello Stato;

2) si tratti di delitto per il quale è stabilita la pena di morte (1) o dell’ergastolo, ovvero della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni;

3) l’estradizione di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto, o da quello dello Stato a cui egli appartiene (2).

3. La richiesta del Ministro della giustizia o l’istanza o la querela della persona offesa non sono necessarie per i delitti previsti dagli articoli 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322-bis (3)

(1) La pena di morte per i delitti previsti dal codice penale è stata abolita dall’art. 1, DLGS LGT 224/1944 e sostituita con la pena dell’ergastolo.

(2) Comma così modificato dall’art. 5, L. 300/2000.

(3) Comma aggiunto dalla L. 3/2019.

Rassegna di giurisprudenza

Integra il delitto di sequestro di persona, punibile secondo la legge italiana, la condotta di cittadini turchi di nazionalità curda che  superando con violenza gli agenti della questura  penetrino all’interno del Consolato generale della Grecia, rinchiudendo il Console nel suo ufficio, al fine di fargli spedire un fax al Primo Ministro della Repubblica Ellenica, in quanto la legge penale da osservare nei locali, ancorché inviolabili, di un consolato estero in Italia è, anche a seguito della Convenzione di Vienna, quella che si applica in qualsiasi parte del territorio italiano, qualunque siano le norme dello Stato ospitato e indipendentemente dall’immunità riconosciuta agli addetti ed all’inviolabilità dei locali strettamente riservati all’esercizio delle funzioni diplomatiche, le quali non implicano affatto l’extraterritorialità delle sedi diplomatiche (Sez. 5, 35633/2010).

Nel caso di delitto commesso in territorio estero da uno straniero in danno di altro straniero, la presenza del colpevole nel territorio dello Stato, richiesta dall’art. 10 per la sua perseguibilità in Italia, deve ricorrere prima della richiesta di rinvio a giudizio, a nulla rilevando l’eventuale allontanamento dello straniero in un momento successivo all’avveramento della citata condizione di procedibilità (Sez. 1, 2955/2006).

In materia di falso, il concorso nel reato, che esclude la punibilità della diversa ipotesi criminosa prevista dall’art. 489 (uso di atto falso), deve configurarsi in termini di concreta punibilità. Ne consegue che, se la falsificazione è stata commessa all’estero e non vi sia la richiesta del Ministro della giustizia ex art. 10, il soggetto che abbia prodotto o concorso a produrre l’atto falso risponde, ricorrendone le condizioni, del reato di uso dello stesso, ai sensi dell’art. 489 (Sez. 5, 65/2006).

Nel caso di delitti commessi all’estero da uno straniero in danno di un cittadino italiano, la presenza del colpevole nel territorio dello Stato, richiesta dall’art. 10 per la loro perseguibilità in Italia, costituisce condizione di procedibilità la cui sussistenza è richiesta anche ai fini dell’applicazione di misure cautelari da adottarsi nella fase delle indagini preliminari (nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha annullato senza rinvio il provvedimento del tribunale che, in accoglimento di gravame proposto dal PM ai sensi dell’art. 310, aveva disposto l’applicazione della custodia in carcere nei confronti di taluni soggetti, non presenti nel territorio nazionale, cui si addebitava l’omicidio, commesso in Afghanistan, di una giornalista italiana) (Sez. 1, 41333/2003).

In tema di reati commessi all’estero, al di fuori dei casi tassativamente indicati all’art. 7, è condizione indispensabile per il perseguimento dei reati commessi all’estero dallo straniero che questi risultino punibili come illeciti penali oltre che dalla legge penale italiana anche dall’ordinamento del luogo dove sono stati consumati, ancorché con nomen iuris e pene diversi (Sez. 1, 38401/2002).

Poiché la competenza territoriale a conoscere di un reato associativo si radica nel luogo in cui la struttura criminosa destinata ad agire nel tempo diventa concretamente operante, a nulla rilevando il luogo di consumazione dei singoli reati oggetto del "pactum sceleris", per determinare la sussistenza della giurisdizione italiana occorre verificare in quale luogo si è realizzata l’operatività della struttura medesima, dovendosi attribuire importanza secondaria al luogo in cui sono stati realizzati i singoli delitti commessi in attuazione del programma criminoso a meno che non rivelino essi stessi, per il loro numero e consistenza, il luogo di operatività predetto (Sez. 2, 993/2000).

La presenza dello straniero nel territorio dello Stato, richiesta dall’art. 10 ai fini della perseguibilità in Italia del delitto comune commesso all’estero dal medesimo straniero in danno dello Stato o di un cittadino italiano, è normativamente strutturata come condizione di procedibilità ed è quindi da considerare soggetta a tutte le regole proprie di siffatta condizione (Sez. 1, 377/1994).