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Art. 9 - Delitto comune del cittadino all’estero

1. Il cittadino, che, fuori dei casi indicati nei due articoli precedenti, commette in territorio estero un delitto per il quale la legge italiana stabilisce la pena di morte (1) o l’ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato.

2. Se si tratta di delitto per il quale è stabilita una pena restrittiva della libertà personale di minore durata, il colpevole è punito a richiesta del ministro della giustizia ovvero a istanza, o a querela della persona offesa.

3. Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, qualora si tratti di delitto commesso a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito a richiesta del ministro della giustizia, sempre che l’estradizione di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto (2).

4. Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, la richiesta del Ministro della giustizia o l’istanza o la querela della persona offesa non sono necessarie per i delitti previsti dagli articoli 320, 321, 346-bis, 648 e 648-ter. (3) (4)

(1) La pena di morte per i delitti previsti dal codice penale è stata abolita dall’art. 1, DLGS LGT 224/1944 e sostituita con la pena dell’ergastolo.

(2) Comma così modificato dall’art. 5, L. 300/2000.

(3) Comma aggiunto dalla L. 3/2019.

(4) Il riferimento agli artt. 648 e 648-ter è stato introdotto dall'art. 1. comma 1, lettera a), D. Lgs. 195/2021.

Rassegna di giurisprudenza

L’art. 9, comma 2, prevede la richiesta del Ministro della Giustizia quale condizione di procedibilità per il delitto comune del cittadino all’estero in alternativa all’istanza o alla querela della persona offesa (Sez. 4, 44335/2016).

In tema di MAE la disciplina contenuta nell’art. 9 sulla punibilità dei delitti comuni commessi all’estero dal cittadino italiano è derogata, per gli Stati membri, dal regime introdotto dalla L. 69/2005 ed in particolare dall’art. 19 lett. c) che segna i limiti per l’esercizio della potestà punitiva da parte dello Stato membro di emissione (Sez. 6, 39777/2014, richiamata da Sez. 4, 58381/2018).

In tema di MAE, il motivo di rifiuto basato sull’intervenuta prescrizione del reato, di cui all’art. 18, lett. n), L. 69/2005, opera esclusivamente laddove, sussistendo in concreto le condizioni di procedibilità di cui all’art. 9, vi sarebbe stata effettivamente la possibilità di giudicare il fatto oggetto del MAE in Italia (Sez. 6, 51/2015).

L’art. 18, lett n) L. 69/2005 prevede congiuntamente, come si desume inequivocabilmente dal tenore letterale della disposizione, il ricorrere di due condizioni: la possibilità di giudicare in Italia i fatti per i quali il MAE è stato emesso e l’intervenuta prescrizione del reato. I due requisiti sono strettamente correlati poiché la ratio della norma è quella di inibire la consegna della persona richiesta ove si versi in una situazione nella quale, qualora si fosse proceduto in Italia, il processo sarebbe ineludibilmente approdato ad una declaratoria di non doversi procedere per estinzione del reato. In tal caso, infatti, sarebbe incongruo dare corso alla richiesta di consegna laddove, nell’ottica fisiologica dell’instaurazione del procedimento in Italia, il soggetto sarebbe andato esente da conseguenze penali.

Deriva dalla suindicata ratio che il requisito della giudicabilità in Italia va inteso nella sua concretezza, come possibilità effettiva di assoggettare l’interessato ad azione penale nel nostro Paese, e non in senso astratto, in una prospettava di avvio dell’azione penale meramente potenziale e teorica. Non avrebbe infatti alcun senso rifiutare la consegna in una situazione nella quale l’azione penale non avrebbe potuto essere esercitata in Italia per mancanza delle condizioni di procedibilità di cui all’art 9 comma 2.

Ove manchi la richiesta del Ministro della giustizia o l’istanza o la querela della persona offesa, viene infatti meno la giudicabilità del fatto in Italia e si riespande la regola generale in forza della quale l’operatività della giurisdizione e l’attivazione della pretesa punitiva costituiscono prerogative dello Stato nel territorio del quale il fatto-reato è stato commesso e non dello Stato di cui l’imputato è cittadino.

Ragion per cui, a ben vedere, è priva di fondamento la distinzione fra giudicabilità in astratto e in concreto: o sussistono le condizioni di procedibilità di cui all’art. 9 e allora il delitto comune commesso dal cittadino all’estero è perseguibile in Italia; oppure le predette condizioni non sussistono e allora il delitto non è perseguibile in Italia e si riespande la regola generale, di cui è espressione il disposto dell’art. 6, secondo cui la cognizione di ogni fatto-reato spetta allo Stato nel territorio del quale esso è stato perpetrato.

Opinando diversamente, d’altronde, si perverrebbe alla conclusione, evidentemente incongrua, secondo la quale in relazione a qualunque delitto comune del cittadino all’estero va rifiutata la consegna poiché qualunque delitto comune del cittadino all’estero è astrattamente giudicabile in Italia, a norma dell’art. 9 comma 2. Una corretta ermeneutica del disposto dell’art. 18 lett. n.) L. 69/2005 induce invece a ritenere che la consegna debba essere rifiutata esclusivamente laddove, sussistendo in concreto le condizioni di procedibilità di cui all’art. 9, vi sarebbe stata effettivamente la possibilità di giudicare il fatto oggetto del mandato d’arresto europeo in Italia: l’azione penale non è stata però esercitata nel nostro Paese e, secondo l’ordinamento italiano, il reato è estinto per prescrizione: onde il reo va esonerato da conseguenze penali (Sez. 6, 51/2015).

In tema di MAE, la disciplina contenuta nell’art. 9 sulla punibilità dei delitti comuni commessi all’estero dal cittadino italiano è derogata, per gli Stati membri, dal regime introdotto dalla L. 69/2005 ed in particolare dall’art. 19, lett. c) che segna i limiti per l’esercizio della potestà punitiva da parte dello Stato membro di emissione. Ne consegue che, con riferimento all’ipotesi di rifiuto della consegna di cui all’art. 18, lett. n) della stessa legge, una volta intervenuto il mandato di arresto europeo, cessa la possibile giurisdizione italiana sul delitto compiuto all’estero dal cittadino e si interrompe il periodo valutabile ai fini della prescrizione (Sez. 6, 15004/2008).