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Art. 8 - Delitto politico commesso all’estero

1. Il cittadino o lo straniero, che commette in territorio estero un delitto politico non compreso tra quelli indicati nel n. 1 dell’articolo precedente, è punito secondo la legge italiana, a richiesta del ministro della giustizia.

2. Se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa, occorre, oltre tale richiesta, anche la querela.

3. Agli effetti della legge penale, è delitto politico ogni delitto, che offende un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino. È altresì considerato delitto politico il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici.

Rassegna di giurisprudenza

La qualificazione «politica» di un determinato reato non spetta al Ministro della giustizia, ma all’AG, incombendo al primo solo «una scelta, vincolata al perseguimento di fini legislativamente determinati, di politica criminale» (Corte costituzionale, ordinanza 27 maggio 1989 n. 289) circa la opportunità, tenuto conto della rispondenza agli interessi del Paese, di sottoporre a processo in Italia quel reato, appunto «politico», quand’anche commesso all’estero. Condizione perché il Ministro possa esprimere quella valutazione è che l’organo della Pubblica accusa intenda procedere in relazione a un delitto qualificato come «politico», perché solo in tal caso si rivela necessaria la manifestazione del volere del Ministro stesso (non necessaria, ad esempio, ex art. 10 laddove si tratta di «delitto comune» a seguito della presentazione della istanza o querela della persona offesa).

Spetta, infatti, all’AG la valutazione della natura «politica» di un reato, con la precisazione che detta valutazione non si esaurisce nella fase delle indagini preliminari, ma si sviluppa per tutto il corso del giudizio, competendo al giudice di confermare la ridetta qualificazione poiché rientra nell’oggetto della cognizione allo stesso attribuita dalla legge (è solo il caso di evidenziare che entrambi i giudici di merito hanno riconosciuto la natura «politica» dei delitti per cui si procede.  (Sez. 1, 24795/2018).

La giurisprudenza di legittimità è giunta a riconoscere l’esistenza di una definizione di reato politico con funzione repressiva, dettata dal codice penale, e di una definizione con funzione di garanzia della persona umana, rinvenibile nelle norme costituzionali (art. 26 Cost.) e nelle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute (art. 10 Cost.), tra cui spiccano la CEDU, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e la Convenzione europea per la prevenzione del terrorismo firmata a Strasburgo il 27 gennaio 1977 (Sez. 6, 31123/2003).

Si è precisato che la qualificazione di un delitto come politico data dall’art. 8 va letta alla luce dell’art. 10 Cost., secondo il quale l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale, tra le quali si pone in particolare la CEDU, firmata a Roma il 4 novembre 1950, che obbliga gli Stati al rispetto di alcuni diritti fondamentali nei confronti di ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione (Sez. 1, 23181/2004).

I crimini di guerra sono integrati da quei comportamenti posti in essere nell’ambito di un conflitto armato, i quali, pur risultando privi dei connotati di estensione e di sistematicità propri dei crimini contro l’umanità, si caratterizzano per la lesione dei valori universali di rispetto della dignità umana, che trascendono gli interessi delle singole comunità statali impegnate nel contesto bellico (Sez. 1, 43696/2015).