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Art. 7 - Reati commessi all’estero

1. È punito secondo la legge italiana il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero taluno dei seguenti reati:

1) delitti contro la personalità dello Stato italiano (1);

2) delitti di contraffazione del sigillo dello Stato e di uso di tale sigillo contraffatto;

3) delitti di falsità in monete aventi corso legale nel territorio dello Stato, o in valori di bollo o in carte di pubblico credito italiano;

4) delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato, abusando dei poteri o violando i doveri inerenti alle loro funzioni;

5) ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana.

(1) Numero così modificato dall’art. 1, DL 374/2001, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 438/2001.

Rassegna di giurisprudenza

L’art. 101 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, nel definire la "pirateria", stabilisce che sono ritenuti atti di pirateria quegli atti commessi esclusivamente in alto mare o in luogo non sottoposto alla giurisdizione di qualsiasi altro Stato; restano, quindi, esclusi gli atti commessi nelle acque territoriali, dove lo Stato costiero esercita la propria giurisdizione, che sono comunemente qualificati come armed robbery. L’art. 100 della medesima Convenzione dispone, poi, che tutti gli Stati debbano cooperare per reprimere la pirateria nell’alto mare o in qualunque altra area che si trovi fuori della giurisdizione di qualunque Stato e li autorizza a prendere parte attiva nella repressione e nella lotta contro la pirateria nelle zone più a rischio riconosciute dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Allorché una nave rientra nella definizione di nave pirata di cui all’art. 103, ad essa non sono infatti più applicabili le norme generali di cui all’art. 84 della stessa Convenzione, che stabilisce la libertà di navigazione in alto mare, e all’art. 94, che prevede che ogni Stato in alto mare eserciti senza interferenza alcuna la propria giurisdizione e il proprio controllo sulle navi che battono la sua bandiera. A seguito della risoluzione n. 1851 del 2008 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, è permesso agli Stati impegnati nella lotta alla pirateria di entrare nel territorio somalo, sia attraverso mezzi aerei che terrestri.

La risoluzione n. 1851 è stata preceduta dalla risoluzione n. 1816 del 2008, nella quale si concedeva agli Stati la possibilità di perseguire chi si macchiava di atti di pirateria anche all’interno delle acque territoriali somale per sei mesi, disposizione che è stata di volta in volta rinnovata con le risoluzioni n. 1838 del 2008, n. 1846 del 2008, n. 1851 del 2008, n. 1897 del 2009 e n. 1950 del 2010. In Italia, il reato di pirateria marittima è disciplinato agli artt. 1135 e 1136 CNAV. L’art. 1135, comma 1, dispone che il comandante o l’ufficiale di nave nazionale o straniera, che commette atti di depredazione in danno di una nave nazionale o straniera o del carico, ovvero, a scopo di depredazione, commette violenza in danno di persona imbarcata su una nave nazionale o straniera, è punito con la reclusione da dieci a venti anni.

Per gli altri componenti dell’equipaggio la pena è diminuita in misura non eccedente un terzo; per gli estranei la pena è ridotta fino alla metà. Ai sensi dell’art. 1136 (nave sospetta di pirateria) il comandante o l’ufficiale di nave nazionale o straniera, fornita abusivamente di armi, che naviga senza essere munita delle carte di bordo, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Sebbene il principio di territorialità sia uno dei principi regolatori della legge penale nello spazio, anzi il principio base, esso è temperato, però, da altri principi, tra i quali anche quello di universalità, e discende dalla considerazione del territorio quale oggetto sul quale si esercita la sovranità politica dello Stato.

La nozione di territorio dello Stato è indispensabile per definire la validità e l’efficacia della legge penale nello spazio. Gli elementi che concorrono a definire tale nozione sono contenuti nell’art. 4 comma 2, il quale stabilisce che, agli effetti della legge penale, è "territorio dello Stato" il territorio della Repubblica, e ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello Stato. Le navi e gli aeromobili italiani sono considerati come territorio dello Stato, ovunque si trovino, salvo che siano soggetti, secondo il diritto internazionale, a una legge territoriale straniera; alla luce di tale disposizione, le navi ed aeromobili italiani civili e mercantili sono considerati "territorio dello Stato" quando si trovano, rispettivamente, nel mare territoriale o nello spazio nazionale, nel mare libero o nello spazio atmosferico libero.

Ai sensi dell’art. 6 è punibile secondo la legge italiana qualunque reato commesso nel territorio dello Stato medesimo, anche se l’azione o l’omissione che lo costituisce è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è verificato l’evento costituente la conseguenza dell’azione o dell’omissione. In applicazione del principio di universalità e del recepimento delle consuetudini in sede convenzionale, l’art. 7, che prevede la deroga al principio della territorialità in relazione ad alcuni reati, punibili incondizionatamente secondo la legge italiana, anche se commessi all’estero da cittadino o da straniero, stabilisce in particolare, al n. 5, che sono punibili secondo la legge penale italiana i reati per i quali speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali ne stabiliscono l’applicabilità.

Il DL 209/2008 (contenente la proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali), convertito in legge con modificazioni dalla L. 12/2009, contiene disposizioni per l’esercizio della giurisdizione rispetto agli atti di pirateria. In particolare, l’art. 5, comma 4, come modificato dal DL 61/2009, art. 1 (convertito in L. 100/2009), prevede che i reati previsti dagli artt. 1135 e 1136 CNAV e quelli a essi connessi ai sensi dell’art. 12 CPP (ossia i reati in concorso formale, reati legati dalla continuazione e commessi per eseguire o occultare i reati di pirateria o nave sospetta di pirateria), se commessi a danno dello Stato o di cittadini o beni italiani, in alto mare o in acque territoriali altrui e accertati nelle aree in cui si svolge la missione "Atalanta", sono puniti ai sensi dell’art. 7 e la competenza è attribuita al Tribunale di Roma. 

Anche se espressamente menzionata la L. 13/2012, solo con l’art. 4, comma 11, che ha disposto l’autorizzazione della spesa, per tutto l’anno 2012, "per la proroga della partecipazione di personale militare all’operazione militare dell’Unione Europea denominata Atalanta e all’operazione della NATO denominata "Ocean Shield" per il contrasto della pirateria, di cui al DL 12/2011, art. 4, comma 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 130/2011, la partecipazione italiana all’operazione antipirateria NATO "Ocean Shield", con il coinvolgimento di unità navali statunitensi, britanniche e italiane, era, al momento dei fatti, assistita dallo stesso quadro normativo formale proprio della prima missione di questo tipo (la missione "Atalanta" promossa dall’Unione Europea), per effetto del D.L. 107/2011, art. 7 convertito con modificazioni nella L. 2 agosto 2011, n. 130 all’epoca vigente.

La normativa speciale in materia di giurisdizione, come da ultimo emendata, prevede, quindi, che quando i reati di pirateria (e quelli a questi collegati) vengono commessi nell’area del Golfo di Aden e al largo della Somalia, in danno dello Stato Italiano, di nave, cittadini o beni italiani, gli stessi sono puniti secondo la legge italiana e la giurisdizione non è sottoposta ad alcuna condizione di procedibilità. È poi prevista la possibilità di procedere al sequestro e alla detenzione di persone, in vista del trasferimento ad altro Stato che eserciti la giurisdizione in base ad accordi negoziati dall’UE, ma anche dalla NATO, in base all’ultimo periodo della norma. Tale attività ha carattere coercitivo, ma non costituisce attività di PG ed è piuttosto un’attività "sui generis".

La consegna è disposta direttamente dalla legge e sfugge a ogni coinvolgimento dell’AG. I pirati catturati nel corso della missione Atalanta, promossa dall’Unione europea, sono comunque soggetti alla disciplina speciale in materia di misure di garanzia della libertà personale introdotta per il personale della Forze armate in occasione dell’operazione Endouring Freedom, di cui alla L. n. 6 del 2002. Questa estensione è contenuta nella L. 12/2009, che applica la citata disciplina a chiunque commetta i reati di pirateria e di sospetta pirateria, ai sensi degli artt. 1135 e 1136 CNAV Tanto premesso, le disposizioni del codice penale nazionale concernenti la procedibilità e la giurisdizione nella materia in esame devono essere lette e interpretate alla luce dei principi del diritto internazionale e della normativa di cui alle Convenzioni citate.

Poiché, nella fattispecie, è stato contestato e ritenuto dai giudici di merito il reato di "pirateria" di cui all’art. 1135 CNAV il reato in questione e quelli ad esso connessi, in base alle norme nazionali e convenzionali di cui sopra, sono punibili secondo la legge italiana e senza limitazioni relative al luogo in cui sono posti in essere, vale a dire sia se l’azione piratesca sia avvenuta nelle acque territoriali nazionali, sia in alto mare, sia in acque territoriali straniere, in quanto commessi in danno di nave italiana nelle zone di svolgimento dell’operazione "Ocean Shield".

Correttamente la Corte territoriale ha, quindi, rigettato sia l’eccezione relativa alla carenza di condizione di procedibilità prevista dall’art. 10 (essendo stati commessi i reati non all’estero, bensì in acque internazionali), che quella attinente al difetto di giurisdizione, in quanto i reati, essendo stati commessi in alto mare e su nave battente bandiera italiana (quindi su territorio italiano ai sensi dell’art. 4), ed essendo stati accertati durante la missione "Ocean Shield", per quanto disposto dall’art. 5 della legge citata, sono puniti ai sensi dell’art. 7, e la competenza è attribuita al Tribunale di Roma (Sez. 2, 26825/2013).

È perseguibile secondo la legge italiana, ai sensi dell’art. 7, n. 4, il militare, in servizio presso una sede diplomatica italiana all’estero, che si attivi, dietro compenso, per procurare visti d’ingresso illegale in Italia a cittadini extracomunitari (Sez. 6, 43848/2008).

Il reato commesso all’estero non può rientrare nella giurisdizione del giudice italiano per il solo fatto che sia legato dal vincolo della continuazione con altro reato commesso in Italia, trattandosi di ipotesi non compresa tra quelle che, ai sensi degli artt. da 7 a 10, comportano deroga al principio di territorialità sul quale si basa la giurisdizione dello Stato italiano (Sez. 6, 25889/2006).

Ai fini della perseguibilità secondo la legge italiana dei reati commessi in territorio estero da parte di pubblici ufficiali a servizio dello Stato, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla loro funzione, non è necessario un rapporto stabile di servizio con la pubblica Amministrazione, ben potendo rientrare nella previsione normativa anche lo svolgimento di compiti temporanei e/o di una missione occasionale (Sez. 6, 21088/2004).

In tema di reati commessi all’estero e di rinnovamento del giudizio (artt. 7 e ss.), la qualificazione delle fattispecie penali deve avvenire esclusivamente alla stregua della legge penale italiana, a nulla rilevando che l’ordinamento dello Stato nel cui territorio il fatto è stato commesso non preveda una persecuzione penale dello stesso fatto. Le norme in questione prevedono, infatti, limitatamente ai casi da esse contemplati e in presenza di alcune condizioni, la perseguibilità dei fatti penalmente rilevanti «secondo la legge italiana» al di là dei limiti territoriali, senza richiedere che tali fatti siano penalmente perseguiti anche nel territorio dello Stato in cui sono stati commessi (Sez. 2, 2860/1992).