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Art. 59 - Contestazione dell’illecito amministrativo

1. Quando non dispone l’archiviazione, il pubblico ministero contesta all’ente l’illecito amministrativo dipendente dal reato. La contestazione dell’illecito è contenuta in uno degli atti indicati dall’articolo 405, comma 1, del codice di procedura penale.

2. La contestazione contiene gli elementi identificativi dell’ente, l’enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto che può comportare l’applicazione delle sanzioni amministrative, con l’indicazione del reato da cui l’illecito dipende e dei relativi articoli di legge e delle fonti di prova.

Stralcio della relazione ministeriale di accompagnamento al D. Lgs. 231/2001

Per il caso non debba procedersi ad archiviazione, l’art. 59 prevede che il pubblico ministero formalizzi la contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato all’ente. La contestazione deve contenere, ovviamente, tutti gli elementi idonei ad identificare l’ente, nonché l’enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto che si addebita, con l’indicazione del reato dal quale l’illecito stesso dipende e delle fonti di prova a carico.

La contestazione svolge la stessa funzione dell’imputazione rispetto alla persona fisica: addebitare ad un soggetto collettivo un illecito amministrativo a struttura complessa, con lo scopo di definire l’oggetto del processo, delimitando i confini dell’accertamento del giudice, e di mettere in grado l’ente di esercitare il diritto di difesa.

Si è previsto che la contestazione dell’illecito sia sempre formalizzata in uno degli atti indicati dall’art. 405 comma 1 c.p.p. con cui il pubblico ministero esercita l’azione penale, anche nel caso in cui si proceda soltanto nei confronti dell’ente: in quest’ultima ipotesi, peraltro, non vi sarà esercizio dell’azione penale e l’atto conterrà solo la contestazione dell’illecito amministrativo.

Pertanto, nei casi in cui sia richiesta l’udienza preliminare l’atto contestativo sarà contenuto nella richiesta di rinvio a giudizio; qualora, invece, si tratti di illecito attratto nella competenza del giudizio monocratico senza udienza preliminare, l’atto di contestazione sarà contenuto nel decreto di citazione diretta a giudizio; per i giudizi speciali la contestazione sarà, anche qui, contenuta nei diversi atti attraverso cui si esercita l’azione penale.”

 

Rassegna di giurisprudenza

Deve escludersi che alla eventuale invalidità della richiesta di rinvio a giudizio dell'imputato, con citazione altresì dell'ente responsabile dell'illecito, possa essere riconosciuto un effetto preclusivo alla interruzione della prescrizione per l’ente, tenuto conto della lettera dell'art.160 c. 2 c.p., che riconosce l'applicazione della norma di rito processualpenalistica anche agli atti di contestazione della responsabilità degli enti ai sensi degli art. 59 e 22, c. 2 e 4 (Sez. 4, 5121/2022).

Ai sensi degli artt. 22 e 59, la richiesta di rinvio a giudizio è atto di contestazione che interrompe e sospende il decorso della prescrizione sino alla sentenza che definisce il giudizio. Nell’ambito dei procedimenti per l’accertamento degli illeciti amministrativi derivanti da reato, dunque, l’operatività della prescrizione viene a essere diversa rispetto a quanto previsto dalle norme del codice di procedura penale e viene peraltro a sovrapporsi alle modalità operative tipiche del processo civile. Materialmente, l’articolo 22, nell’affermare che, se l’interruzione avvenuta mediante la contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio, opera con sostanziale rinvio al disposto dell’articolo 59, il quale specifica che la contestazione dell’illecito è contenuta in uno degli atti indicati dall’articolo 405, comma 1, CPP. Tali atti risultano essere quelli in cui viene formulata l’imputazione, nei casi previsti nei titoli II, III, IV e V del libro VI ovvero con richiesta di rinvio a giudizio (Sez. 2, 50974/2016).

Il D. Lgs. 231/2001 ha previsto alcune forme di procedura speciali per l’accertamento della responsabilità delle imprese per illeciti amministrativi dipendenti da reato, regolate dagli artt. 34-82 del testo normativo. Risulta, altresì, evocato il principio di sussidiarietà laddove l’art. 34 aggiunge che il rito è regolato anche «secondo le disposizioni del codice di procedura penale e del decreto legislativo 28 luglio 1989 n. 271», in quanto compatibili e l’art. 35 prevede che all’impresa si applichino anche, con il solito limite della compatibilità in concreto, «le disposizioni processuali relative all’imputato». La normativa coniuga, dunque, esigenze di effettività dell’accertamento ad esigenze di garanzia del diritto di difesa dell’ente strettamente correlate alla vicinanza dell’illecito amministrativo al fatto-reato, cosicché le norme del codice di procedura devono essere applicate sulla base del duplice presupposto che non vi sia una norma speciale che disciplini l’atto e che vi sia compatibilità tra le norme speciali e le norme del codice di procedura penale. Con specifico riguardo ai requisiti di validità dell’atto con il quale viene contestato all’ente l’illecito amministrativo, individuato dall’art. 59 in uno degli atti elencati nell’art. 405, comma 1, CPP risulta assente una disciplina speciale. In presenza del primo dei presupposti, ossia l’assenza di una disciplina speciale, occorre dunque verificare se vi sia compatibilità tra il rito tipico della responsabilità degli enti e le norme del codice di procedura penale, con specifico riguardo, per quanto qui d’interesse, alla contestazione formulata mediante richiesta di rinvio a giudizio. L’ente ricorrente invoca, infatti, l’applicazione in suo favore della regola, stabilita dall’art. 416, comma 1, CPP secondo la quale la richiesta di rinvio a giudizio è nulla se non sia preceduta dall’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio ai sensi dell’art. 375, comma 3, CPP qualora la persona sottoposta alle indagini abbia tempestivamente formulato la relativa istanza. Si chiede, in sostanza, che la previsione dell’art. 59 venga integrata da una norma prevista dal codice di rito a garanzia dell’esercizio di difesa della persona indagata. Va considerato che il limite descritto in termini di «compatibilità» attiene alla struttura del procedimento, dovendosi ritenere espunti dal rito speciale quegli istituti incompatibili con l’assenza di misure cautelari personali coercitive e di controllo giurisdizionale in fase di archiviazione che connota la struttura di tale rito. Conseguentemente, superano il vaglio di compatibilità quelle norme del codice di rito che regolino scansioni procedimentali ed attività processuali non estranee al rito speciale nella struttura delineata dal legislatore. Sulla base di tale premessa, risulta evidente la compatibilità tra i presupposti di validità della richiesta di rinvio a giudizio disciplinati dall’art. 416, comma 1, CPP ed il rito speciale nei confronti dell’ente, trattandosi di regole che s’inseriscono in una scansione procedimentale espressamente richiamata dall’art. 59 e che riguardano la garanzia del diritto di difesa, ossia di un principio costituzionale sotteso alle disposizioni del codice di rito richiamate in chiave integratrice dall’art. 34D’altro canto, nel caso concreto lo stesso organo dell’accusa ha ritenuto applicabile la disciplina dell’art. 415-bis CPP comunicando all’ente l’avviso di conclusione delle indagini preliminari e, tuttavia, trascurando di convocare il rappresentante dell’ente per rendere l’interrogatorio. Si deve considerare, inoltre, che a norma dell’art. 39, comma 1, l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo. La necessaria alterità, imposta dalla legge, della persona dell’imputato e del legale rappresentante dell’ente al quale sia contestata la responsabilità amministrativa, doveroso riscontro al possibile conflitto d’interessi espresso anche dalle incompatibilità a testimoniare previste dagli artt. 39, comma 2, e 44, comma 1, conferma la correttezza della conclusione appena raggiunta. L’eccezione, tempestivamente proposta sin dal primo grado di giudizio, avrebbe, dunque, imposto la dichiarazione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio dell’ente il cui legale rappresentante non era stato invitato a presentarsi a rendere l’interrogatorio ai sensi dell’art. 375, comma 3, CPP tanto più che, nel caso di specie, tale parte processuale, necessariamente distinta dall’imputato, non aveva già ricevuto, anche per atto equipollente, la contestazione degli addebiti (Sez. 4, 31641/2018).

In tema di decorso del termine di prescrizione previsto dall’art. 22 per le sanzioni amministrative conseguenti al riconoscimento della responsabilità da reato delle persone giuridiche. In materia con specifico riguardo alla identificazione dell’atto interruttivo della prescrizione si registra un contrasto di giurisprudenza. Da un lato si è deciso che la richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica interrompe il corso della prescrizione solo se, oltre che “emessa”, sia stata anche “notificata” entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, dovendo trovare applicazione, ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. r), L. 300/2000, le norme del CC che regolano l’operatività dell’interruzione della prescrizione (Sez. 6, 18257/2015). Secondo altro orientamento, che merita di essere preferito, in tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche, la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell’ente, in quanto atto di contestazione dell’illecito, interrompe la prescrizione e ne sospende il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, ai sensi degli artt. 59 e 22, commi 2 e 4La ragione per la quale si predilige tale seconda interpretazione sta nel fatto che l’art. 59 (richiamato dall’art. 22 dello stesso testo) rinvia al 405 comma 1 CPP che individua come atto di contestazione dell’illecito, ove prevista, la richiesta di rinvio al giudizio, ovvero un atto la cui efficacia prescinde dalla notifica alle parti, che non è prevista dalla legge. Il richiamo che la legge delega effettua alle norme del codice civile non consente infatti di trasformare la richiesta di rinvio a giudizio in un atto recettizio, in assenza di ogni indicazione normativa al riguardo; del pari, non è consentito interpolare la norma riconducendo, come proposto dal ricorrente, l’effetto interruttivo alla notifica dell’avviso di udienza, ovvero ad un atto a cui la legge non riconosce tale effetto. Il collegio ricorda inoltre che in tema di interruzione della prescrizione del reato, va riconosciuta anche agli atti processualmente nulli la capacità di conseguire lo scopo. Gli atti interruttivi della prescrizione, infatti, hanno valore oggettivo, in quanto denotano la persistenza nello Stato dell’interesse punitivo (Sez. 2, 41012/2018).

In tema di responsabilità delle persone giuridiche per l’illecito amministrativo dipendente da reato, è causa di nullità assoluta, ex art. 178, lett. b), CPP, la contestazione dell’illecito amministrativo nelle forme della citazione diretta a giudizio, anziché nella forma della richiesta di rinvio a giudizio ex art. 405 CPP e 59 comma 1 (Tribunale di Trani, 16 luglio 2015).