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SEZIONE II - Vicende modificative dell’ente

Le norme di questo capo hanno generato poche decisioni giudiziarie e altrettanto pochi indirizzi interpretativi.

Si ritiene dunque utile integrare la scarna giurisprudenza con le indicazioni che lo stesso legislatore delegato ha consegnato agli operatori nella relazione ministeriale al Decreto 231.

Stralcio della relazione ministeriale di accompagnamento al D. Lgs. 231/2001

I successivi articoli da 28 a 32 regolano l’incidenza sulla responsabilità dell’ente delle vicende modificative connesse ad operazioni di trasformazione, fusione o scissione. Nella relativa disciplina si è tenuto conto di due esigenze contrapposte: da un lato, quella di evitare che tali operazioni si risolvano in agevoli modalità di elusione della responsabilità; dall’altro, quella di escludere effetti eccessivamente penalizzanti, tali da porre remore anche ad interventi di riorganizzazione privi degli accennati intenti elusivi.

Il criterio di massima al riguardo seguito è stato quello di regolare la sorte delle sanzioni pecuniarie conformemente ai principi dettati dal codice civile in ordine alla generalità degli altri debiti dell’ente originario, mantenendo, per converso, il collegamento delle sanzioni interdittive con il ramo di attività nel cui ambito è stato commesso il reato.

Si è riconosciuta, peraltro, all’ente interessato la possibilità di ottenere la sostituzione di tali ultime sanzioni con una sanzione pecuniaria, allorché la riorganizzazione aziendale, solitamente profonda, che segue alla fusione o alla scissione sia valsa ad eliminare le cause che avevano determinato o reso possibile la commissione del reato.

Va segnalato, sotto diverso profilo, come la disciplina in esame – analogamente a quanto avviene per le sanzioni amministrative tributarie (articolo 15 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472) – risulti indistintamente riferita a tutti gli enti cui il decreto è applicabile, e non alle sole società.

Sebbene, infatti, gli istituti della trasformazione, fusione e scissione trovino regolamentazione generale e “tipica” in rapporto a queste ultime, il loro ambito di operatività è più vasto, potendo i corrispondenti fenomeni interessare anche enti di diversa natura (si pensi, ad esempio, alla vicenda della “trasformazione” degli enti pubblici economici in società per azioni di diritto privato).

In tale prospettiva, l’articolo 28 precisa, anzitutto, che nel caso di trasformazione resta ferma la responsabilità dell’ente trasformato per i fatti di reato anteriormente commessi: previsione, questa, coerente con la natura dell’istituto della trasformazione, il quale implica un semplice mutamento del modulo organizzativo, che non incide sull’identità dell’ente.

Con riferimento all’ipotesi di fusione, l’articolo 29 prevede che l’ente che ne risulta (ivi compreso l’ente incorporante, nel caso di fusione per incorporazione) risponde dei reati dei quali erano responsabili gli enti partecipanti all’operazione.

Anche tale soluzione si giustifica agevolmente alla luce della considerazione che l’ente in parola, non solo assume tutti i diritti ed obblighi degli enti estinti (articolo 2504-bis, primo comma, del codice civile), ma ne accorpa le attività aziendali, comprese necessariamente, dunque, quelle nell’ambito delle quali sono stati posti in essere i reati di cui tali ultimi enti dovevano rispondere.

Ad evitare che, con particolare riguardo alle sanzioni interdittive, la regola ora enunciata determini una “dilatazione” di dubbia opportunità della misura punitiva – coinvolgendo aziende “sane” in provvedimenti diretti a colpire aziende “malate” (si pensi al caso in cui una modesta società, responsabile di un illecito sanzionabile con il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, venga incorporata da una grande società con azioni quotate in borsa) – provvedono, per vero, da un lato, la disposizione generale che limita comunque le sanzioni interdittive all’attività o alle strutture in cui l’illecito è stato commesso (articolo 14, comma 1, dello schema); e, dall’altro, la già ricordata facoltà dell’ente risultante dalla fusione di chiedere, nei congrui casi, la sostituzione delle sanzioni stesse con sanzioni pecuniarie.

Maggiormente articolata risulta la disciplina dettata per l’ipotesi della scissione, la quale tiene conto delle differenti forme che questa può assumere.

L’articolo 30 esordisce, in particolare, stabilendo che, nel caso di scissione parziale – quando, cioè, la scissione avvenga mediante trasferimento di una frazione soltanto del patrimonio della società scissa, la quale pertanto sopravvive – tale società rimane responsabile per i reati commessi anteriormente alla data in cui l’operazione ha avuto effetto, salva la speciale regola in tema di sanzioni interdittive cui poco più oltre si farà cenno.

In linea con la generale previsione dell’art. 2504-decies, secondo comma, del codice civile, il comma 2 dell’articolo 30 dello schema stabilisce, poi, che – nei casi di scissione tanto parziale che totale – gli enti beneficiari sono solidamente obbligati al pagamento delle sanzioni pecuniarie dovute dall’ente scisso per reati anteriormente commessi, nel limite nel valore effettivo del patrimonio netto trasferito a ciascuno di essi: limite che tuttavia non opera rispetto agli enti ai quali risulta devoluto, anche solo in parte, il ramo di attività nel cui ambito è stato commesso il reato.

Una regola particolare è dettata in ordine alle sanzioni interdittive, le quali risultano applicabili ai soli enti cui è rimasto (nel caso di scissione parziale) o è stato trasferito (in ogni ipotesi di scissione), anche solo in parte, il ramo di attività che ha dato luogo alla commissione del reato.

Il successivo articolo 31 – dettando disposizioni comuni tanto alla fusione che alla scissione, con riferimento all’eventualità che esse siano intervenute prima della conclusione del giudizio – chiarisce, al comma 1, che nella commisurazione della sanzione pecuniaria il giudice deve far riferimento in ogni caso alle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente originariamente responsabile, e non a quelle (spesso significativamente diversificate) dell’ente cui la sanzione stessa fa carico dopo la fusione o la scissione.

L’ente risultante dalla fusione e l’ente che, in caso di scissione, risulterebbe esposto ad una sanzione interdittiva possono ovviamente evitarne in radice l’applicazione provvedendo alla riparazione delle conseguenze del reato, nei sensi e nei termini indicati in via generale dall’articolo 16.

Si è ritenuto tuttavia opportuno prevedere, per le ragioni dianzi evidenziate, che quando l’operatività della citata disposizione risultasse preclusa dal superamento del limite temporale dell’apertura del dibattimento, l’ente interessato abbia comunque facoltà di richiedere al giudice la sostituzione della sanzione interdittiva con una sanzione pecuniaria di ammontare pari da una a due volte quella inflitta all’ente per il medesimo reato.

La sostituzione è ammessa alla condizione che, a seguito della fusione o della scissione, si sia realizzata una modifica organizzativa idonea a prevenire la commissione di nuovi reati della stessa specie e che, inoltre, l’ente abbia risarcito il danno o eliminato le conseguenze del reato e messo a disposizione per la confisca il profitto eventualmente conseguito (s’intende, per la parte riferibile all’ente stesso). Resta salva, in ogni caso, la facoltà di chiedere la conversione anche in executivis a norma dell’art. 78.

L’articolo 32 prevede che il giudice possa tener conto delle condanne già inflitte nei confronti degli enti partecipanti alla fusione o dell’ente scisso al fine di ritenere la reiterazione in rapporto agli illeciti dell’ente risultante dalla fusione o beneficiario della scissione, correlati a reati successivamente commessi.

La reiterazione, in tal caso, non opera peraltro automaticamente, ma forma oggetto di valutazione discrezionale da parte del giudice, in rapporto alle concrete circostanze. Nei confronti degli enti beneficiari della scissione, essa può essere inoltre ravvisata solo quando si tratti di ente cui è stato trasferito, anche in parte, il ramo di attività nel cui ambito è stato commesso il precedente reato.

L’articolo 33 si occupa delle diverse fattispecie della cessione e del conferimento di azienda. Si intende come anche tali operazioni siano suscettive di prestarsi a manovre elusive della responsabilità: e, pur tuttavia, maggiormente pregnanti risultano, rispetto ad esse, le contrapposte esigenze di tutela dell’affidamento e della sicurezza del traffico giuridico, essendosi al cospetto di ipotesi di successione a titolo particolare che lasciano inalterata l’identità (e la responsabilità) del cedente o del conferente.

Adattando, quindi, alle peculiarità della materia la generale previsione dell’articolo 2560 del codice civile, in tema di debiti relativi all’azienda ceduta – anche alla luce della disciplina in vigore per le sanzioni amministrative tributarie (articolo 14 del decreto legislativo n. 472 del 1997) – si stabilisce che nel caso di cessione dell’azienda nella cui attività è stato commesso il reato, il cessionario è solidalmente obbligato, salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente e nei limiti del valore dell’azienda ceduta, al pagamento della sanzione pecuniaria correlata al reato stesso: purché, peraltro, il relativo debito emerga dai libri contabili obbligatori, ovvero il cessionario fosse comunque a conoscenza dell’illecito amministrativo dell’ente cedente (non, dunque, del solo reato) dal quale la sanzione stessa scaturisce.

Resta esclusa, di contro, in ogni caso, l’estensione al cessionario delle sanzioni interdittive inflitte al cedente. La medesima disciplina vale anche per il caso di conferimento di azienda.”