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Art. 61

Istituti per l’esecuzione delle pene

1. Gli istituti per l’esecuzione delle pene si distinguono in:

1) case di arresto, per l’esecuzione della pena dell’arresto.

Sezioni di case di arresto possono essere istituite presso le case di custodia mandamentali o circondariali;

2) case di reclusione, per l’esecuzione della pena della reclusione.

Sezioni di case di reclusione possono essere istituite presso le case di custodia circondariali.

2. Per esigenze particolari, e nei limiti e con le modalità previste dal regolamento, i condannati alla pena dell’arresto o della reclusione possono essere assegnati alle case di custodia preventiva; i condannati alla pena della reclusione possono essere altresì assegnati alle case di arresto.

Rassegna di giurisprudenza

La giurisprudenza di legittimità è concorde e affatto consolidata nel senso che l’ordinamento non riconosce la pretesa del detenuto all’applicazione dell’isolamento notturno in termini di situazione giuridica attiva suscettibile di tutela giurisdizionale. Il PG ha chiesto il rigetto del ricorso mediante adesivo richiamo alla sentenza di Sez. 1, 22072/2011, e, cioè, sul presupposto della intervenuta abolizione (per effetto della entrata in vigore dell’ordinamento penitenziario) dell’isolamento notturno del quale il ricorrente invoca la applicazione. Siffatta premessa non pare irrefutabile. La tesi abolizionista pretende di trarre fondamento disposizione dell’art. 6, comma 2,  il quale stabilisce: «I locali [degli istituti di pena] destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o più posti»; osserva, quindi, che la legge «non distingue[..] la pena da eseguire»; e argomenta che, in base alla disposizione finale dell’art. 89, comma 1, contenente la abrogazione di «ogni altra norma incompatibile con» l’ordinamento penitenziario, gli articoli 22, 23 e 25 c.p. devono reputarsi «implicitamente modificati» nel senso della abrogazione della previsione dell’isolamento notturno in essi contenuta. L’assunto non è condivisibile. L’argomento - al pari di ogni altro fondato su disposizioni concernenti la edilizia penitenziaria - appare, per vero, alquanto debole in quanto prova troppo. Dopotutto, a differenza dell’abrogato art. 23 RD 787/1931, recante il Regolamento per gli istituti di prevenzione e di pena, che contemplava espressamente tra gli stabilimenti di pena ordinari anche «gli ergastoli », il vigente art. 61, comma 1, non annovera più gli ergastoli tra gli istituti per la esecuzione delle pene, senza che per ciò, evidentemente, la intervenuta soppressione degli stabilimenti penitenziari in parola consenta di accreditare la conclusione della abolizione della pena perpetua (art. 110, comma 5, Reg.). Sul piano del dato positivo deve, piuttosto, rilevarsi che proprio il citato art. 89, comma 1, contiene nella prima parte l’abrogazione espressa di varie disposizioni del codice penale (e del codice di rito all’epoca vigente): «Sono abrogati gli articoli [...] del codice penale etc.». Mentre nessuna menzione opera in relazione agli artt. 22, 23 e 25 c.p. per stabilire la abolizione dell’isolamento notturno. Ma, anche a voler trascurare l’argomento a silentio, la supposta incompatibilità tra gli artt. 22, 23 e 25 c.p., nella parte in cui prescrivono l’isolamento, e l’art. 6 appare francamente discutibile. La disposizione in parola, contenuta nel Capo II (Condizioni generali) del Titolo I (Principi direttivi), riguarda tutti gli edifici penitenziari e non i soli istituti per la esecuzione delle pene principali detentive (Titolo II, Capo I, art. 61). Orbene la generale previsione anche di «camere dotate di un» solo posto risulta affatto compatibile con la applicazione dell’isolamento notturno come stabilito dagli artt. 22, 23 e 25 c.p. Sicché dal combinato disposto degli artt. 6 e 89 non pare possano inferirsi la abrogazione delle succitate disposizioni codicistiche in parte qua e l’abolizione dell’isolamento notturno. Tanto precisato, va ribadito il principio di diritto - conferendo continuità al relativo indirizzo - secondo il quale l’isolamento notturno si configura come modalità di esecuzione della pena in termini di maggiore afflittività sicché non è configurabile un interesse giuridicamente apprezzabile del detenuto a instare per l’inasprimento del proprio trattamento penitenziario e a dolersi, mediante ricorso per cassazione, del provvedimento del magistrato di sorveglianza che ne abbia respinto il reclamo per l’omessa attuazione. E affatto calzante si rivela, in proposito, la considerazione che la «logica sanzionatoria» alla base della previsione dell’isolamento notturno «non può, con effetti di conclamata distonia sistemica, trasformarsi in una logica contraria» nella prospettiva, cioè, della richiesta di tutela del detenuto (Sez. 1, 20142/2011). Né, infine, ha giuridico pregio il concorrente richiamo del ricorrente alla «legislazione europea» per suffragare la pretesa di allocazione in cella singola. La giurisprudenza di legittimità non ignora che la Raccomandazione del Comitato dei Ministri della Comunità Europea, del 12 febbraio 1987, al punto 8 della seconda parte delle Regole minime per il trattamento dei detenuti, recita: «I detenuti devono in linea di principio essere alloggiati durante la notte in camere individuali, salvo nel caso in cui sia considerata vantaggiosa una sistemazione in comune con altri detenuti. Quando una camera è in comune, deve essere occupata da detenuti riconosciuti adatti ad essere alloggiati in queste condizioni». La disposizione - al pari delle analoghe «Regole minime per il trattamento dei detenuti» della Risoluzione ONU del 30 agosto 1955 - non ha, tuttavia - come la giurisprudenza di legittimità ha ben chiarito - carattere cogente e, dunque, ben può sopportare eccezioni anche a causa di difficoltà strutturali od organizzative. In conclusione la rilevata carenza di qualsivoglia situazione giuridica attiva, tutelabile in sede giurisdizionale, in capo al detenuto per la allocazione in cella singola (Sez. 1, 21309/2017).