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Art. 11

Servizio sanitario (1)

1. Il servizio sanitario nazionale opera negli istituti penitenziari e negli istituti penali per minorenni nel rispetto della disciplina sul riordino della medicina penitenziaria.

2. Garantisce a ogni istituto un servizio sanitario rispondente alle esigenze profilattiche e di cura della salute dei detenuti e degli internati.

3. La carta dei servizi sanitari di cui al decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230, per i detenuti e gli internati, adottata da ogni azienda sanitaria locale nel cui ambito è ubicato un istituto penitenziario, è messa a disposizione dei detenuti e degli internati con idonei mezzi di pubblicità.

4. Ove siano necessarie cure o accertamenti sanitari che non possono essere apprestati dai servizi sanitari presso gli istituti, gli imputati sono trasferiti in strutture sanitarie esterne di diagnosi o di cura, con provvedimento del giudice che procede. Se il giudice è in composizione collegiale, il provvedimento è adottato dal presidente. Prima dell’esercizio dell’azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari; provvede il pubblico ministero in caso di giudizio direttissimo e fino alla presentazione dell’imputato in udienza per la contestuale convalida dell’arresto in flagranza. Se è proposto ricorso per cassazione, provvede il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. Per i condannati e gli internati provvede il magistrato di sorveglianza. Il provvedimento può essere modificato per sopravvenute ragioni di sicurezza ed è revocato appena vengono meno le ragioni che lo hanno determinato.

5. Quando non vi sia pericolo di fuga, i detenuti e gli internati trasferiti in strutture sanitarie esterne di diagnosi e di cura possono non essere sottoposti a piantonamento durante la degenza, salvo che sia necessario per la tutela della incolumità personale loro o altrui.

6. Il detenuto o l’internato che si allontana dal luogo di diagnosi o di cura senza giustificato motivo è punibile a norma del primo comma dell’articolo 385 del codice penale.

7. All’atto dell’ingresso nell’istituto il detenuto e l’internato sono sottoposti a visita medica generale e ricevono dal medico informazioni complete sul proprio stato di salute. Nella cartella clinica il medico annota immediatamente ogni informazione relativa a segni o indici che facciano apparire che la persona possa aver subito violenze o maltrattamenti e, fermo l’obbligo di referto, ne dà comunicazione al direttore dell’istituto e al magistrato di sorveglianza. I detenuti e gli internati hanno diritto altresì di ricevere informazioni complete sul proprio stato di salute durante il periodo di detenzione e all’atto della rimessione in libertà. Durante la permanenza nell’istituto, l’assistenza sanitaria è prestata con periodici riscontri, effettuati con cadenza allineata ai bisogni di salute del detenuto, e si uniforma ai princìpi di metodo proattivo, di globalità dell’intervento sulle cause di pregiudizio della salute, di unitarietà dei servizi e delle prestazioni, d’integrazione dell’assistenza sociale e sanitaria e di garanzia della continuità terapeutica.

8. Il medico del servizio sanitario garantisce quotidianamente la visita dei detenuti ammalati e di quelli che ne fanno richiesta quando risulta necessaria in base a criteri di appropriatezza clinica. L’Amministrazione penitenziaria assicura il completo espletamento delle attività sanitarie senza limiti orari che ne impediscono l’effettuazione. Il medico competente che effettua la sorveglianza sanitaria della struttura penitenziaria, secondo le disposizioni attuative del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, controlla l’idoneità dei soggetti ai lavori cui sono addetti. In ogni istituto penitenziario per donne sono in funzione servizi speciali per l’assistenza sanitaria alle gestanti e alle puerpere.

9. Quando i detenuti e gli internati sono trasferiti è loro garantita la necessaria continuità con il piano terapeutico individuale in corso.

10. Ai detenuti e agli internati che, al momento della custodia cautelare in carcere o dell’esecuzione dell’ordine di carcerazione, abbiano in corso un programma terapeutico ai fini di cui alla legge 14 aprile 1982, n. 164, sono assicurati la prosecuzione del programma e il necessario supporto psicologico.

11. Nel caso di diagnosi anche sospetta di malattia contagiosa sono messi in atto tutti gli interventi di controllo per evitare insorgenza di casi secondari, compreso l’isolamento. Il direttore dell’istituto è immediatamente informato dell’isolamento e ne dà comunicazione al magistrato di sorveglianza.

12. I detenuti e gli internati, possono richiedere di essere visitati a proprie spese da un esercente di una professione sanitaria di loro fiducia. L’autorizzazione per gli imputati è data dal giudice che procede, e per gli imputati dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, per i condannati e gli internati è data dal direttore dell’istituto. Con le medesime forme possono essere autorizzati trattamenti medici, chirurgici e terapeutici da effettuarsi a spese degli interessati da parte di sanitari e tecnici di fiducia nelle infermerie o nei reparti clinici e chirurgici all’interno degli istituti, previ accordi con l’azienda sanitaria competente e nel rispetto delle indicazioni organizzative fornite dalla stessa.

13. Il direttore generale dell’azienda unità sanitaria dispone la visita almeno due volte l’anno degli istituti di prevenzione e di pena, allo scopo di accertare, anche in base alle segnalazioni ricevute, l’adeguatezza delle misure di profilassi contro le malattie infettive e le condizioni igieniche e sanitarie degli istituti.

14. Il direttore generale dell’azienda unità sanitaria riferisce al Ministero della salute e al Ministero della giustizia sulle visite compiute e sui provvedimenti da adottare, informando altresì i competenti uffici regionali, comunali e il magistrato di sorveglianza.

(1) Articolo così sostituito dall’art. 1, comma 1, D.Lgs. 123/2018.

Rassegna di giurisprudenza

Il sistema dell’assistenza sanitaria penitenziaria, disciplinato dall’art. 11, prevede che in ogni istituto penitenziario vi siano un servizio medico ed un servizio farmaceutico rispondenti alle esigenze profilattiche e di cura della salute dei detenuti e degli internati e che si disponga, inoltre, dell’opera di almeno uno specialista in psichiatria; cure ed accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari dell’istituto vengono eseguiti previo trasferimento del detenuto in ospedali o luoghi di cura esterni. Con specifico riguardo alle visite mediche, è prevista una visita medica generale all’atto dell’ingresso nell’istituto allo scopo di accertare eventuali malattie fisiche o psichiche; i sanitari hanno l’obbligo di visitare quotidianamente gli ammalati e coloro che ne facciano richiesta e di segnalare immediatamente la presenza di malattie che richiedono particolari indagini e cure specialistiche. La tutela del diritto alla salute delle persone private della libertà personale si ricava, in primo luogo, in via interpretativa dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e dalla CEDU, che sostanzialmente fanno riferimento al divieto di sottoporre i detenuti a trattamenti disumani e degradanti, sulla scorta di principi giurisprudenziali ricavati dalla Corte EDU, che riconducono il diritto alla salute nell’alveo dei diritti garantiti in ambito internazionale, quale corollario del diritto alla vita e della dignità umana. Vi sono, poi, le Regole penitenziarie europee, ove si afferma che la finalità del trattamento consiste nel «salvaguardare la salute e la dignità» dei condannati nella prospettiva del loro reinserimento sociale (art. 3 delle Regole penitenziarie europee), nonché la deliberazione approvata dall’ONU (dicembre 1982) in materia di «Principi di etica medica per il personale sanitario in ordine alla protezione dei detenuti», nella quale è previsto che «gli esercenti le attività sanitarie incaricati di prestare cure a persone detenute o comunque private della libertà, hanno il dovere di proteggerne la salute fisica e mentale, nello stesso modo che li impegna nei confronti delle persone libere». Tali principi e regole si pongono in linea sia con il principio di umanizzazione sia con la finalità rieducativa della pena, se ed in quanto entrambi postulano il perseguimento di una piena ed efficace tutela del diritto alla salute del condannato, posto che solo una condizione di benessere psico-fisico dello stesso può garantire il suo recupero e perciò il suo reinserimento sociale. In tal senso quindi, in ossequio all’art. 27 Cost. ed ai suoi corollari, il detenuto ha diritto alla tutela della sua salute sia fisica che mentale, posto che in effetti la pena può svolgere la propria funzione rieducativa verosimilmente su una persona mentalmente in grado di comprenderne la portata e il significato. Inoltre, al fine di meglio garantire il diritto inviolabile in questione, la riforma della medicina penitenziaria (D.Lgs. 230/1999) ha previsto il trasferimento della sanità degli istituti di pena dal Ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale, con ciò - in ossequio al principio di sussidiarietà verticale - imponendo la collaborazione e la integrazione, ciascuna nel proprio ambito, alle diverse istituzioni dello Stato. L’art. 11, nella seconda parte del comma 5, dispone che l’assistenza sanitaria sia prestata, nel corso della permanenza nell’istituto «con periodici e frequenti riscontri, indipendentemente dalle richieste degli interessati», con ciò ponendo un obbligo di controllo delle condizioni sanitarie generali dei detenuti, che deve essere periodico e frequente, specie in presenza di situazioni soggettive meritevoli di particolare attenzione, in considerazione di peculiari condizioni psico-fisiche derivanti anche da una pregressa storia clinica che caratterizzi il detenuto come soggetto potenzialmente “a rischio” sanitario. Più in generale, va ricordato che la possibilità per il detenuto di fruire di cure mediche appropriate anche nella condizione di restrizione carceraria, oltre a porsi in linea con la normativa di principio, costituisce il presupposto fondante la linea di demarcazione tra la compatibilità e l’incompatibilità delle condizioni psico-fisiche della persona con il regime carcerario; tale rilievo, desumibile dal sistema di norme costituito dagli artt. 299, comma 4-ter, c. p. p., 147 n. 2 c.p. e 47-ter, comma 1-ter, impone un’interpretazione del testo normativo conforme all’obiettivo di associare la privazione della libertà personale al costante controllo delle condizioni di salute della persona (Sez. 4, 58363/2018).

Il giudice deve tener conto, indipendentemente dalla compatibilità o meno dell’infermità con le possibilità di assistenza e cura offerte al condannato dal sistema carcerario, anche dell’esigenza di non ledere il fondamentale diritto alla salute e il divieto di trattamenti’ contrari al senso di umanità, previsti dagli artt. 32 e 27 Cost.: occorre, cioè, verificare concretamente se le patologie, pur curabili in istituto e mediante il ricorso all’istituto di cui all’art. 11, non comportino condizioni di vita che producano sofferenze aggiuntive al detenuto, con una detenzione contraria al senso di umanità e, quindi, priva di finalità rieducativa (Sez. 1, 26325/2019).

Il ricorrente ha inteso prospettare nel reclamo la «rilevanza» di una specifica questione (la mancata prestazione del trattamento fisioterapico) in sede di qualificazione dell’offerta trattamentale come «non conforme» ai contenuti dell’art. 3 CEDU, rappresentando dunque l’incidenza di tale omissione al fine di ritenere integrato il trattamento vietato dalla legge perchè «inumano o degradante». La doglianza - ferma restando la valutazione dei suoi contenuti in rapporto alla complessiva qualità dell’offerta trattamentale oggetto di verifica - è ammissibile e va valutata nel merito, posto che il richiamo, contenuto nella disposizione regolatrice, ai contenuti dell’art. 3 CEDU, come interpretato dalla Corte EDU, implica la rilevanza del tema dell’offerta di prestazioni sanitarie adeguate. Va ribadito, infatti, che la violazione dei contenuti dell’art. 3 CEDU può determinarsi in virtù di condotte di inosservanza - da parte dell’amministrazione penitenziaria -, dei diritti fondamentali della persona umana, sottoposta al trattamento rieducativo, la cui individuazione ed il cui livello di gravità va apprezzato in concreto, come la stessa Corte EDU ha avuto modo, in più occasioni, di affermare (si vedano i contenuti della decisione emessa dalla Grande Camera nel caso Labita c. Italia del 6 aprile 2000, ove si è affermato che: la Corte ricorda che per rientrare nell’ambito dell’articolo 3, un maltrattamento deve raggiungere un minimo di gravità. La valutazione di questo minimo è relativa per definizione; la stessa dipende dall’insieme dei dati relativi al caso, e in particolare dalla durata del trattamento, dai suoi effetti fisici e mentali nonché, talvolta, dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima (Sez. 1, 52526/2018).

Il differimento della esecuzione della pena ovvero la detenzione domiciliare applicata in luogo del differimento, concernono situazioni in cui risulti che la permanenza nella struttura carceraria - per la inadeguatezza delle terapie praticate, l’inidoneità del centro clinico penitenziario ovvero per l’impossibilità o l’insufficienza, avuto riguardo anche al solo criterio della necessaria tempestività, del ricorso alle strutture esterne di cui all’art. 11 - sia tale da esporre il detenuto a pericolo di vita o comunque a condizioni inumane, oggettivamente inaccettabili. La valutazione in punto di incompatibilità tra regime detentivo carcerario e condizioni di salute del recluso, ovvero la verificazione della possibilità che il mantenimento dello stato di detenzione di persona gravemente debilitata e/o ammalata costituisca un trattamento inumano o degradante, va effettuata tenendo comparativamente conto delle condizioni complessive, soggettive e di salute, del recluso, delle condizioni della detenzione, della offerta terapeutica in regime intramurale, e implica perciò una valutazione circa la concreta adeguatezza delle possibilità di cura e assistenza assicurate nella situazione specifica a quel particolare detenuto. Ma su tale concreta adeguatezza non può incidere tuttavia l’eventuale ingiustificato rifiuto di sottoporsi a trattamenti e terapie proveniente dal detenuto medesimo. Manifestamente infondata è, quindi, la doglianza difensiva con la quale si contesta il rilevo conferito dal provvedimento all’atteggiamento non collaborativo ed anzi oppositivo del detenuto: l’eventuale situazione di sofferenza deliberatamente autoprodotta - realizzata cioè mediante un comportamento ostile, che nel caso in esame, secondo l’insindacabile apprezzamento dei giudici del merito, va dalla mancanza di collaborazione nelle visite al rifiuto opposto al ricovero in un centro riabilitativo per la cura delle patologie e problematiche di mobilità - non può difatti essere presa in considerazione ai fini del bilanciamento tra esigenze di salvaguardia dei diritti fondamentali ed obblighi di effettività della risposta punitiva, posto che non è consentita la tutela del diritto abusato, esercitato in funzione di un risultato estraneo alla sua causa (per il rilievo dato al comportamento ostruzionistico del ricorrente (Sez. 7, 40090/2019).

Il rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica, ai sensi dell’art. 147, comma 1, n. 2, c.p. mira a evitare che l’esecuzione della pena avvenga in contrasto con il diritto alla salute e il senso di umanità, costituzionalmente garantiti, quando la malattia da cui è affetto il condannato sia grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare altre rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere cure e trattamenti non praticabili in regime di detenzione intramuraria, neppure mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura ai sensi dell’art. 11. Pertanto, a fronte dell’istanza di rinvio della esecuzione della pena per grave infermità fisica ai sensi dell’art. 147, comma 1, n. 2, il giudice deve valutare se le condizioni di salute del condannato siano o meno compatibili con le finalità rieducative della pena e con le possibilità concrete di reinserimento sociale conseguenti alla rieducazione. Qualora, all’esito di tale valutazione, tenuto conto della natura della infermità e di un’eventuale prognosi infausta quoad vitam a breve scadenza, l’espiazione di una pena appaia contraria al senso di umanità per le eccessive sofferenze da essa derivanti, ovvero appaia priva di significato rieducativo per l’impossibilità di proiettare in un futuro gli effetti della sanzione sul condannato, deve trovare applicazione l’istituto del differimento previsto dal codice penale (Sez. 7, 1055/2019).