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Comunione legale tra i coniugi e donazione indiretta

Nota a Tribunale di Monza - Sezione Desio, Sentenza 13 luglio 2006
La sentenza del Tribunale di Monza del 13 luglio 2006 (Trib. di Monza 13 luglio 2006, in Giur. Merito, 2007, 2, p. 372) conferma il principio statuito dalla Cassazione con la pronuncia del 14 dicembre del 2000, n. 15778, la quale proprio nell’ipotesi in cui un immobile, acquisito successivamente al matrimonio da uno dei coniugi, ed in relazione al quale era stato documentalmente provato il diretto versamento di somme alla cooperativa, da parte del genitore di uno dei coniugi, all’atto dell’assegnazione dell’immobile stesso, ha statuito che “nella ipotesi in cui un soggetto abbia erogato il danaro per l’acquisto di un immobile in capo al proprio figlio, si deve distinguere il caso della donazione diretta del denaro, in cui oggetto della liberalità rimane quest’ultimo, da quello in cui il danaro sia fornito quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce il fine della donazione. In tale secondo caso, il collegamento tra l’elargizione del denaro paterno e l’acquisto del bene immobile da parte del figlio porta a concludere che si è in presenza di una donazione indiretta dell’immobile stesso, e non già del denaro impiegato per il suo acquisto. Ne consegue che, in tale ipotesi, il bene acquisito successivamente al matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale, è ricompreso tra quelli esclusi da detto regime, ai sensi dell’art. 179, lett .b), c.c., senza che sia necessario che il comportamento del donante si articoli in attività tipiche, essendo, invece, sufficiente la dimostrazione del collegamento tra il negozio-mezzo con l’arricchimento di uno dei coniugi per spirito di liberalità” (Cass. 14 dicembre 2000, n. 15778, in Dir. famig., 2002, p. 32).

Questa pronuncia pone in rilievo la distinzione tra donazione diretta ed indiretta. Infatti, la donazione diretta è un contratto, ovvero un accordo fra donante e donatario: l’accettazione di quest’ultimo è necessaria e deve essere manifestata.

Essa deve essere fatta nella forma scritta dell’atto pubblico, sotto pena di nullità. Se si tratta di donazione di modico valore che ha per oggetto un bene mobile, l’atto pubblico non è necessario, ma occorre la consegna della cosa, a conferma del carattere serio e definitivo della volontà di donare. La modicità del valore deve essere valutata anche in relazione alle condizioni economiche del donante (art. 783 c.c.).

L’attribuzione patrimoniale dettata da spirito di liberalità può essere realizzata anche indirettamente, come nel caso della succitata sentenza, per mezzo di un contratto che non abbia lo schema della donazione. Si parla in tal caso di donazione indiretta: si può trattare di un contratto a favore del terzo come, ad esempio, la costituzione di una rendita vitalizia a favore di un terzo. Qui non vi è contratto fra lo stipulante e il terzo beneficiario, dunque non vi è donazione diretta. Oppure si può trattare di un contratto di scambio, nel quale il valore della prestazione di una parte superi notevolmente il valore della controprestazione, e l’eccedenza sia considerata da entrambe le parti come una liberalità (vendita mista con donazione).

Questi negozi non richiedono le forme stabilite per la donazione. Trovano applicazione, invece, le disposizioni di carattere sostanziale: riduzione per integrare la quota dovuta ai legittimari, revocazione per ingratitudine o sopravvenienza dei figli, collazione.

La donazione indiretta è una figura di creazione dottrinale e giurisprudenziale, in quanto non si riviene in alcuna norma del codice una sua definizione: solo due articoli, gli artt. 737 e 809 del c.c., fanno riferimento alla donazione indiretta, lasciando, però, alla dottrina e alla giurisprudenza il difficile compito di darne una definizione.

È noto che l’essenza della donazione consiste nell’arricchimento di un soggetto da parte del donante, il quale deve agire spontaneamente: tale fine, e cioè l’arricchimento senza corrispettivo di un soggetto accompagnato dallo spirito di liberalità da parte di colui che causa tale arricchimento, può essere raggiunto anche attraverso figure diverse dalla donazione contrattuale contemplata nell’art. 769 del c.c. Ciò, in altre parole, significa che, in determinati casi, le parti possono utilizzare una fattispecie negoziale tipica, per conseguire, oltre agli scopi di essa che ne sono propri, anche ulteriori scopi, quale quello di liberalità, il quale, pertanto, appare indiretto rispetto a quello tipico del negozio utilizzato. Ciò che maggiormente rileva ai fini della disciplina è che, riconducendo una determinata operazione nell’ambito della categoria delle donazioni indirette, si consente l’applicazione a tale operazione delle c.d. “norme materiali” della donazione: ciò significa che, riconducendo alla donazione indiretta tutte quelle operazioni consistenti “nell’intestazione di beni a nome altrui”, si consente di applicare a queste fattispecie le norme materiali della donazione (CARNEVALI, Liberalità, in Enc. Dir., XXIV, MILANO, 1974, p. 222).

L’ultima questione affrontata dalla decisione in esame riguarda i rapporti tra gli acquisti effettuati per donazione indiretta da parte di uno solo dei coniugi e la comunione legale. L’art. 179 lett. b) del c.c. contiene l’elenco dei beni personali di ciascun coniuge, che, in quanto tali, non costituiscono oggetto della comunione: tra questi vi sono quelli acquistati successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione, quando nell’atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione. La questione affrontata dalla decisione in esame nasce dal fatto che il suddetto articolo, nella seconda parte, parla genericamente di “atti di liberalità”, non specificando, al riguardo, se con tale termine si debbano ricomprendere solo le donazioni dirette, o se, viceversa, si possano comprendere anche le donazioni indirette. La norma, infatti, non può essere annoverata tra le c.d. norme materiali della donazione per espressa previsione legislativa, ci si riferisce alle norme sulla collazione ex art. 737 c.c., sulla riunione fittizia ex art. 556 c.c. e sull’imputazione ex art. 564, comma 2 c.c.: nasce, pertanto, il problema di stabilire se anche la suddetta norma possa comunque essere annoverata tra le norme materiali, con conseguente possibilità o meno di essere applicata anche alle donazioni indirette. In dottrina ci si interroga su quali siano le norme, dettate per la donazione contrattuale, che siano applicabili anche alla donazione indiretta, quando ciò non sia espressamente previsto dal legislatore (BIONDI, Le donazioni, in Trattato di dir. civ., TORINO, 1961, p. 116; CAPOZZI, Successioni e Donazioni, MILANO, p. 888)

L’orientamento minoritario sia in dottrina (ZUDDAS, L’acquisto dei beni pervenuti al coniuge per donazione o successione, in La comunione legale, MILANO, I, 1989, p. 449; BIANCA, Diritto civile, MILANO, II, 1985, p. 449; CANGIANO, Comunione legale e le donazioni indirette, in Fam. dir., 1996, p. 64) che in giurisprudenza è favorevole all’inclusione delle donazioni indirette nella comunione sulla base dell’interpretazione testuale dell’art. 179 c.c.: l’esplicito riferimento alla donazione contenuto nel suddetto articolo comporterebbe l’inapplicabilità della esclusione dalla comunione per le donazioni indirette. Infatti, secondo la pronuncia della Corte d’Appello di Napoli del 19 luglio 1994 nel caso di donazione indiretta di un immobile, da parte del genitore al figlio coniugato in regime di comunione dei beni, l’immobile stesso entra a far parte della comunione legale dei beni, non essendo invocabile l’art. 179 lett. b) c.c. che, riferendosi alla sola donazione, non è applicabile a differenti atti pur se posti in essere per spirito di liberalità (App. Napoli 19 luglio 1994, in Rivista, 1996, p. 78).

A questo argomento è, però, agevole replicare osservando, come ha fatto la Corte nella pronuncia 14 dicembre 2000, n. 15778, che lo stesso art. 179 lett. b) c.c. si esprime anche in termine di liberalità, categoria più ampia, nella quale rientra anche la donazione indiretta.

La sentenza succitata aderisce all’orientamento prevalente contrario alla caduta in comunione della donazione indiretta, evitando così di creare una discriminazione tra le liberalità ricevute per donazione diretta e quelle ricevute per donazione indiretta (SCARLATELLI, Donazioni indirette e comunione legale tra i coniugi: quale disciplina?, in Vita not., 1995, III, p. 54; DOGLIOTTI, Regime patrimoniale della famiglia, in Riv. dir. civ., 1989, II, p. 153; GABRIELLI-CUBEDDU, Il regime patrimoniale dei coniugi, MILANO, 1997, p. 36; Cass. 25 ottobre 1996 n. 9307, in Giust. Civ., 1997, I, p. 2887; Cass. 15 novembre 1997, n. 11327, in Foro It., 1999, I, p. 994; Cass. 8 maggio 1998, n. 4680, in Fam. dir., 1998, p. 323).

Il testo della decisione indica accuratamente i diversi argomenti che sono stati addotti a favore di questa soluzione. Innanzitutto, la ratio della esclusione è quella di consentire la caduta in comunione soltanto dei beni al cui acquisto hanno partecipato, direttamente o indirettamente, entrambi i coniugi, e di evitare la comunione universale di qualsiasi acquisto; dovendosi escludere nell’acquisto per donazione indiretta alcun apporto da parte del coniuge non donatario, tale acquisto non può essere ricompresso nella comunione.

Altro argomento favorevole all’esclusione è quello del rispetto della volontà del donante: qualora si facessero rientrare nella comunione anche le donazioni indirette, si creerebbe un contrasto con la volontà del disponente, diretta ad arricchire il beneficiario.

L’intangibilità della volontà del donante da parte del meccanismo della comunione legale si desume anche dall’art. 179 lett. b) c.c., laddove prevede che solo la volontà del donante o del testatore può fare ricadere in comunione i beni oggetto di donazione e successione.

La sentenza del Tribunale di Monza del 13 luglio 2006 (Trib. di Monza 13 luglio 2006, in Giur. Merito, 2007, 2, p. 372) conferma il principio statuito dalla Cassazione con la pronuncia del 14 dicembre del 2000, n. 15778, la quale proprio nell’ipotesi in cui un immobile, acquisito successivamente al matrimonio da uno dei coniugi, ed in relazione al quale era stato documentalmente provato il diretto versamento di somme alla cooperativa, da parte del genitore di uno dei coniugi, all’atto dell’assegnazione dell’immobile stesso, ha statuito che “nella ipotesi in cui un soggetto abbia erogato il danaro per l’acquisto di un immobile in capo al proprio figlio, si deve distinguere il caso della donazione diretta del denaro, in cui oggetto della liberalità rimane quest’ultimo, da quello in cui il danaro sia fornito quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce il fine della donazione. In tale secondo caso, il collegamento tra l’elargizione del denaro paterno e l’acquisto del bene immobile da parte del figlio porta a concludere che si è in presenza di una donazione indiretta dell’immobile stesso, e non già del denaro impiegato per il suo acquisto. Ne consegue che, in tale ipotesi, il bene acquisito successivamente al matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale, è ricompreso tra quelli esclusi da detto regime, ai sensi dell’art. 179, lett .b), c.c., senza che sia necessario che il comportamento del donante si articoli in attività tipiche, essendo, invece, sufficiente la dimostrazione del collegamento tra il negozio-mezzo con l’arricchimento di uno dei coniugi per spirito di liberalità” (Cass. 14 dicembre 2000, n. 15778, in Dir. famig., 2002, p. 32).

Questa pronuncia pone in rilievo la distinzione tra donazione diretta ed indiretta. Infatti, la donazione diretta è un contratto, ovvero un accordo fra donante e donatario: l’accettazione di quest’ultimo è necessaria e deve essere manifestata.

Essa deve essere fatta nella forma scritta dell’atto pubblico, sotto pena di nullità. Se si tratta di donazione di modico valore che ha per oggetto un bene mobile, l’atto pubblico non è necessario, ma occorre la consegna della cosa, a conferma del carattere serio e definitivo della volontà di donare. La modicità del valore deve essere valutata anche in relazione alle condizioni economiche del donante (art. 783 c.c.).

L’attribuzione patrimoniale dettata da spirito di liberalità può essere realizzata anche indirettamente, come nel caso della succitata sentenza, per mezzo di un contratto che non abbia lo schema della donazione. Si parla in tal caso di donazione indiretta: si può trattare di un contratto a favore del terzo come, ad esempio, la costituzione di una rendita vitalizia a favore di un terzo. Qui non vi è contratto fra lo stipulante e il terzo beneficiario, dunque non vi è donazione diretta. Oppure si può trattare di un contratto di scambio, nel quale il valore della prestazione di una parte superi notevolmente il valore della controprestazione, e l’eccedenza sia considerata da entrambe le parti come una liberalità (vendita mista con donazione).

Questi negozi non richiedono le forme stabilite per la donazione. Trovano applicazione, invece, le disposizioni di carattere sostanziale: riduzione per integrare la quota dovuta ai legittimari, revocazione per ingratitudine o sopravvenienza dei figli, collazione.

La donazione indiretta è una figura di creazione dottrinale e giurisprudenziale, in quanto non si riviene in alcuna norma del codice una sua definizione: solo due articoli, gli artt. 737 e 809 del c.c., fanno riferimento alla donazione indiretta, lasciando, però, alla dottrina e alla giurisprudenza il difficile compito di darne una definizione.

È noto che l’essenza della donazione consiste nell’arricchimento di un soggetto da parte del donante, il quale deve agire spontaneamente: tale fine, e cioè l’arricchimento senza corrispettivo di un soggetto accompagnato dallo spirito di liberalità da parte di colui che causa tale arricchimento, può essere raggiunto anche attraverso figure diverse dalla donazione contrattuale contemplata nell’art. 769 del c.c. Ciò, in altre parole, significa che, in determinati casi, le parti possono utilizzare una fattispecie negoziale tipica, per conseguire, oltre agli scopi di essa che ne sono propri, anche ulteriori scopi, quale quello di liberalità, il quale, pertanto, appare indiretto rispetto a quello tipico del negozio utilizzato. Ciò che maggiormente rileva ai fini della disciplina è che, riconducendo una determinata operazione nell’ambito della categoria delle donazioni indirette, si consente l’applicazione a tale operazione delle c.d. “norme materiali” della donazione: ciò significa che, riconducendo alla donazione indiretta tutte quelle operazioni consistenti “nell’intestazione di beni a nome altrui”, si consente di applicare a queste fattispecie le norme materiali della donazione (CARNEVALI, Liberalità, in Enc. Dir., XXIV, MILANO, 1974, p. 222).

L’ultima questione affrontata dalla decisione in esame riguarda i rapporti tra gli acquisti effettuati per donazione indiretta da parte di uno solo dei coniugi e la comunione legale. L’art. 179 lett. b) del c.c. contiene l’elenco dei beni personali di ciascun coniuge, che, in quanto tali, non costituiscono oggetto della comunione: tra questi vi sono quelli acquistati successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione, quando nell’atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione. La questione affrontata dalla decisione in esame nasce dal fatto che il suddetto articolo, nella seconda parte, parla genericamente di “atti di liberalità”, non specificando, al riguardo, se con tale termine si debbano ricomprendere solo le donazioni dirette, o se, viceversa, si possano comprendere anche le donazioni indirette. La norma, infatti, non può essere annoverata tra le c.d. norme materiali della donazione per espressa previsione legislativa, ci si riferisce alle norme sulla collazione ex art. 737 c.c., sulla riunione fittizia ex art. 556 c.c. e sull’imputazione ex art. 564, comma 2 c.c.: nasce, pertanto, il problema di stabilire se anche la suddetta norma possa comunque essere annoverata tra le norme materiali, con conseguente possibilità o meno di essere applicata anche alle donazioni indirette. In dottrina ci si interroga su quali siano le norme, dettate per la donazione contrattuale, che siano applicabili anche alla donazione indiretta, quando ciò non sia espressamente previsto dal legislatore (BIONDI, Le donazioni, in Trattato di dir. civ., TORINO, 1961, p. 116; CAPOZZI, Successioni e Donazioni, MILANO, p. 888)

L’orientamento minoritario sia in dottrina (ZUDDAS, L’acquisto dei beni pervenuti al coniuge per donazione o successione, in La comunione legale, MILANO, I, 1989, p. 449; BIANCA, Diritto civile, MILANO, II, 1985, p. 449; CANGIANO, Comunione legale e le donazioni indirette, in Fam. dir., 1996, p. 64) che in giurisprudenza è favorevole all’inclusione delle donazioni indirette nella comunione sulla base dell’interpretazione testuale dell’art. 179 c.c.: l’esplicito riferimento alla donazione contenuto nel suddetto articolo comporterebbe l’inapplicabilità della esclusione dalla comunione per le donazioni indirette. Infatti, secondo la pronuncia della Corte d’Appello di Napoli del 19 luglio 1994 nel caso di donazione indiretta di un immobile, da parte del genitore al figlio coniugato in regime di comunione dei beni, l’immobile stesso entra a far parte della comunione legale dei beni, non essendo invocabile l’art. 179 lett. b) c.c. che, riferendosi alla sola donazione, non è applicabile a differenti atti pur se posti in essere per spirito di liberalità (App. Napoli 19 luglio 1994, in Rivista, 1996, p. 78).

A questo argomento è, però, agevole replicare osservando, come ha fatto la Corte nella pronuncia 14 dicembre 2000, n. 15778, che lo stesso art. 179 lett. b) c.c. si esprime anche in termine di liberalità, categoria più ampia, nella quale rientra anche la donazione indiretta.

La sentenza succitata aderisce all’orientamento prevalente contrario alla caduta in comunione della donazione indiretta, evitando così di creare una discriminazione tra le liberalità ricevute per donazione diretta e quelle ricevute per donazione indiretta (SCARLATELLI, Donazioni indirette e comunione legale tra i coniugi: quale disciplina?, in Vita not., 1995, III, p. 54; DOGLIOTTI, Regime patrimoniale della famiglia, in Riv. dir. civ., 1989, II, p. 153; GABRIELLI-CUBEDDU, Il regime patrimoniale dei coniugi, MILANO, 1997, p. 36; Cass. 25 ottobre 1996 n. 9307, in Giust. Civ., 1997, I, p. 2887; Cass. 15 novembre 1997, n. 11327, in Foro It., 1999, I, p. 994; Cass. 8 maggio 1998, n. 4680, in Fam. dir., 1998, p. 323).

Il testo della decisione indica accuratamente i diversi argomenti che sono stati addotti a favore di questa soluzione. Innanzitutto, la ratio della esclusione è quella di consentire la caduta in comunione soltanto dei beni al cui acquisto hanno partecipato, direttamente o indirettamente, entrambi i coniugi, e di evitare la comunione universale di qualsiasi acquisto; dovendosi escludere nell’acquisto per donazione indiretta alcun apporto da parte del coniuge non donatario, tale acquisto non può essere ricompresso nella comunione.

Altro argomento favorevole all’esclusione è quello del rispetto della volontà del donante: qualora si facessero rientrare nella comunione anche le donazioni indirette, si creerebbe un contrasto con la volontà del disponente, diretta ad arricchire il beneficiario.

L’intangibilità della volontà del donante da parte del meccanismo della comunione legale si desume anche dall’art. 179 lett. b) c.c., laddove prevede che solo la volontà del donante o del testatore può fare ricadere in comunione i beni oggetto di donazione e successione.