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L’uso della res comune

Nota a Corte di Cassazione, Sentenza 5 ottobre 2009, n. 21256
L’art. 1102 c.c. disciplina l’uso della cosa comune stabilendo al primo comma che “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”. Viene inoltre affermato al secondo comma dello stesso articolo che “il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso”.

Di recente sul tema si è espressa la Corte di Cassazione (Cass. 5 ottobre 2009, n. 21256, in Dir. e giust, 2009) statuendo la legittimità della condotta di alcuni condomini, che transitavano con i loro veicoli nelle parti comuni dell’edificio al fine di raggiungere i locali di proprietà esclusiva, atteso che tale comportamento non costituiva innovazione e non era lesivo dei diritti degli altri condomini.

Secondo i giudici di legittimità la sentenza impugnata avrebbe violato l’art. 1102 c.c., laddove non ha considerato che la cosa comune può essere utilizzata dal condomino anche in modo diverso rispetto alla sua normale destinazione, sempre che ciò non alteri l’equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri comproprietari. La compatibilità dell’uso diverso con quello degli altri condomini deve poi essere valutata con riferimento alla effettiva utilizzazione che il condomino intenda fare della cosa comune e alle modalità del suddetto uso. E nel caso di specie non sarebbe dubbio che essi ricorrenti intendevano ed intendono utilizzare il cortile non per parcheggiare le auto ma unicamente per accedere al locale rimessa di loro proprietà esclusiva. In realtà, l’uso non normale della cosa comune sarebbe limitatissimo sia nel tempo che nello spazio, sicché l’avere ritenuto che detto uso sia illegittimo violerebbe l’art. 1102 c.c.

La Suprema Corte aveva avuto modo di affermare, nella pronuncia del 30 maggio 2003, n. 8808, che la nozione di pari uso della res comune, ex art. 1102 c.c., non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Ne consegue che, qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che in una materia in cui è prevista la massima espansione dell’uso il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto. Pertanto, raffigura un uso più ampio della cosa comune - ricompreso nelle facoltà attribuite ai condomini dall’art. 1102, comma 1, c.c. - l’apertura di un varco nella recinzione comune (con apposizione di un cancello) effettuata per mettere in comunicazione uno spazio condominiale con una strada aperta al passaggio pubblico, sia pedonale che meccanizzato (Cass. 30 maggio 2003, n. 8808, in Giust. civ. Mass., 2003, 5; Cass. 12 febbraio 1998, n. 1499, in Foro it., 1998, I,1897).

I giudici di legittimità hanno inoltre ritenuto che in tema di condominio è legittimo, ai sensi dell’art. 1102 c.c., sia l’utilizzazione della cosa comune da parte del singolo condomino con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione, purché nel rispetto delle concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri condomini, sia l’uso più intenso della cosa, purché non sia alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, dovendosi a tal fine avere riguardo all’uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno. Pertanto, è illegittima la trasformazione - anche solo di una parte - del tetto dell’edificio in terrazza ad uso esclusivo del singolo condomino, risultando in tal modo alterata la originaria destinazione della cosa comune, sottratta all’ utilizzazione da parte degli altri condomini (Cass. 12 marzo 2007, n. 5753, in Giust. civ. Mass., 2007, 6).

Invece è da ritenere che lo sfruttamento esclusivo del bene da parte del singolo che ne impedisca la simultanea fruizione degli altri, non è riconducibile alla facoltà di ciascun condomino di trarre dal bene comune la più intesa utilizzazione, ma ne integra un uso illegittimo in quanto il principio di solidarietà cui devono essere informati i rapporti condominiali richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione (Cass. 24 giugno 2008, n. 17208, in Giust. civ. Mass., 2008, 6, 1023).

La Corte di Cassazione nella pronuncia in esame afferma che in sostanza, l’uso paritetico della cosa comune, che va tutelato, deve essere compatibile con la ragionevole previsione dell’utilizzazione che in concreto faranno gli altri condomini della stessa cosa, e non anche della identica e contemporanea utilizzazione che in via meramente ipotetica e astratta essi ne potrebbero fare" (Casa., n. 4617 del 2007).

In particolare, si è poi affermato che tra gli usi propri cui è destinato un cortile comune si deve annoverare la possibilità, per i partecipanti alla comunione, di accedere ai rispettivi immobili anche con mezzi meccanici al fine di esercitarvi le attività - anche diverse rispetto a quelle compiute in passato - che non siano vietate dal regolamento condominiale, poiché tale uso non può ritenersi condizionato né dalla natura dell’attività legittimamente svolta né dall’eventuale, più limitata forma di godimento del cortile comune praticata nel passato (Cass. 16 marzo 2006, n. 5848, in Giust. civ. Mass. 2006, 3).

Nel senso che il comproprietario di un cortile il quale, trasformando vani terranei di proprietà esclusiva, costruisca un ampio androne che consenta il transito nel cortile comune con mezzi pesanti, realizzando un uso che, per qualità ed intensità, è diverso da quello che, per la conformazione dei luoghi, era possibile in precedenza a tutti i comproprietari, viola il divieto ex art. 1102 c.c., ossia di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri proprietari di farne parimenti uso secondo il loro diritto (Cass. 25 luglio 1980 n. 4841).

In ultimo è stato ricordato come, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la distinzione tra modifica ed innovazione si ricollega all’entità e qualità dell’incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione della cosa comune, nel senso che per innovazione in senso tecnico-giuridico deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto. A tal uopo la Suprema Corte ha così escluso che costituisse "innovazione" vietata il restringimento di un viale di accesso pedonale, considerato che esso non integrava una sostanziale alterazione della destinazione e della funzionalità della cosa comune, non la rendeva inservibile o scarsamente utilizzabile per uno o più condomini, ma si limitava a ridurre in misura modesta la sua funzione di supporto al transito pedonale, restando immutata la destinazione originaria (Cass. 5 novembre 2002, n. 15460, in Dir. e giust. 2002, 41, 69; Cass. 23 ottobre 1999, n. 11963, in Giust. civ. Mass. 1999, 2142).

L’art. 1102 c.c. disciplina l’uso della cosa comune stabilendo al primo comma che “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”. Viene inoltre affermato al secondo comma dello stesso articolo che “il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso”.

Di recente sul tema si è espressa la Corte di Cassazione (Cass. 5 ottobre 2009, n. 21256, in Dir. e giust, 2009) statuendo la legittimità della condotta di alcuni condomini, che transitavano con i loro veicoli nelle parti comuni dell’edificio al fine di raggiungere i locali di proprietà esclusiva, atteso che tale comportamento non costituiva innovazione e non era lesivo dei diritti degli altri condomini.

Secondo i giudici di legittimità la sentenza impugnata avrebbe violato l’art. 1102 c.c., laddove non ha considerato che la cosa comune può essere utilizzata dal condomino anche in modo diverso rispetto alla sua normale destinazione, sempre che ciò non alteri l’equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri comproprietari. La compatibilità dell’uso diverso con quello degli altri condomini deve poi essere valutata con riferimento alla effettiva utilizzazione che il condomino intenda fare della cosa comune e alle modalità del suddetto uso. E nel caso di specie non sarebbe dubbio che essi ricorrenti intendevano ed intendono utilizzare il cortile non per parcheggiare le auto ma unicamente per accedere al locale rimessa di loro proprietà esclusiva. In realtà, l’uso non normale della cosa comune sarebbe limitatissimo sia nel tempo che nello spazio, sicché l’avere ritenuto che detto uso sia illegittimo violerebbe l’art. 1102 c.c.

La Suprema Corte aveva avuto modo di affermare, nella pronuncia del 30 maggio 2003, n. 8808, che la nozione di pari uso della res comune, ex art. 1102 c.c., non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Ne consegue che, qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che in una materia in cui è prevista la massima espansione dell’uso il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto. Pertanto, raffigura un uso più ampio della cosa comune - ricompreso nelle facoltà attribuite ai condomini dall’art. 1102, comma 1, c.c. - l’apertura di un varco nella recinzione comune (con apposizione di un cancello) effettuata per mettere in comunicazione uno spazio condominiale con una strada aperta al passaggio pubblico, sia pedonale che meccanizzato (Cass. 30 maggio 2003, n. 8808, in Giust. civ. Mass., 2003, 5; Cass. 12 febbraio 1998, n. 1499, in Foro it., 1998, I,1897).

I giudici di legittimità hanno inoltre ritenuto che in tema di condominio è legittimo, ai sensi dell’art. 1102 c.c., sia l’utilizzazione della cosa comune da parte del singolo condomino con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione, purché nel rispetto delle concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri condomini, sia l’uso più intenso della cosa, purché non sia alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, dovendosi a tal fine avere riguardo all’uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno. Pertanto, è illegittima la trasformazione - anche solo di una parte - del tetto dell’edificio in terrazza ad uso esclusivo del singolo condomino, risultando in tal modo alterata la originaria destinazione della cosa comune, sottratta all’ utilizzazione da parte degli altri condomini (Cass. 12 marzo 2007, n. 5753, in Giust. civ. Mass., 2007, 6).

Invece è da ritenere che lo sfruttamento esclusivo del bene da parte del singolo che ne impedisca la simultanea fruizione degli altri, non è riconducibile alla facoltà di ciascun condomino di trarre dal bene comune la più intesa utilizzazione, ma ne integra un uso illegittimo in quanto il principio di solidarietà cui devono essere informati i rapporti condominiali richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione (Cass. 24 giugno 2008, n. 17208, in Giust. civ. Mass., 2008, 6, 1023).

La Corte di Cassazione nella pronuncia in esame afferma che in sostanza, l’uso paritetico della cosa comune, che va tutelato, deve essere compatibile con la ragionevole previsione dell’utilizzazione che in concreto faranno gli altri condomini della stessa cosa, e non anche della identica e contemporanea utilizzazione che in via meramente ipotetica e astratta essi ne potrebbero fare" (Casa., n. 4617 del 2007).

In particolare, si è poi affermato che tra gli usi propri cui è destinato un cortile comune si deve annoverare la possibilità, per i partecipanti alla comunione, di accedere ai rispettivi immobili anche con mezzi meccanici al fine di esercitarvi le attività - anche diverse rispetto a quelle compiute in passato - che non siano vietate dal regolamento condominiale, poiché tale uso non può ritenersi condizionato né dalla natura dell’attività legittimamente svolta né dall’eventuale, più limitata forma di godimento del cortile comune praticata nel passato (Cass. 16 marzo 2006, n. 5848, in Giust. civ. Mass. 2006, 3).

Nel senso che il comproprietario di un cortile il quale, trasformando vani terranei di proprietà esclusiva, costruisca un ampio androne che consenta il transito nel cortile comune con mezzi pesanti, realizzando un uso che, per qualità ed intensità, è diverso da quello che, per la conformazione dei luoghi, era possibile in precedenza a tutti i comproprietari, viola il divieto ex art. 1102 c.c., ossia di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri proprietari di farne parimenti uso secondo il loro diritto (Cass. 25 luglio 1980 n. 4841).

In ultimo è stato ricordato come, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la distinzione tra modifica ed innovazione si ricollega all’entità e qualità dell’incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione della cosa comune, nel senso che per innovazione in senso tecnico-giuridico deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto. A tal uopo la Suprema Corte ha così escluso che costituisse "innovazione" vietata il restringimento di un viale di accesso pedonale, considerato che esso non integrava una sostanziale alterazione della destinazione e della funzionalità della cosa comune, non la rendeva inservibile o scarsamente utilizzabile per uno o più condomini, ma si limitava a ridurre in misura modesta la sua funzione di supporto al transito pedonale, restando immutata la destinazione originaria (Cass. 5 novembre 2002, n. 15460, in Dir. e giust. 2002, 41, 69; Cass. 23 ottobre 1999, n. 11963, in Giust. civ. Mass. 1999, 2142).