Contact Tracing e COVID-19

Abstract
Fino a che punto possono (devono) essere sacrificati diritti individuali fondamentali, al fine di contrastare la diffusione di una malattia contagiosa? Fino a che punto, operatori del settore gastronomico possono essere obbligati a comunicare ad autorità amministrative (locali) dati, che riguardano clienti frequentanti locali da essi gestiti? Una risposta l’ha data la Corte costituzionale austriaca.
Indice:
1. Motivi del ricorso
2. Limiti della discrezionalità
3. Diritti fondamentali della persona e attività della PA
4. La “Gesetzwidrigkeit” della “Contact Tracing Verordnung”
1. Motivi del ricorso
Il ricorrente, gestore di un ristorante, si era rivolto alla Corte costituzionale (“Verfassungsgerichtshof – VfGH”) in quanto riteneva di essere stato leso nei suoi diritti - per effetto di un decreto emanato dall`amministrazione comunale di Vienna – in conseguenza del quale era obbligato, in qualità di “Betreiber einer Gastronomiestätte”, a fornire nei casi di sospetto di infezione COVID-19, da cui potesse essere affetto qualche avventore, informazioni all’autorità amministrativa circondariale (“Bezirksverwaltungsbehörde”) a seguito di richiesta della stessa; informazioni concernenti dati personali sensibili del “sospettato”.
Il provvedimento del “Magistrat” era noto come “Contact Tracing Verordnung”. I dati, alla cui trasmissione i gestori di ristoranti erano obbligati, qualora l’ospite si fosse trattenuto per più di 15 minuti nel locale, potevano essere conservati dall’autorità per non più di 4 settimane.
Il “Magistrat der Stadt Wien” aveva ritenuto di essere autorizzato a emanare il provvedimento suddetto, sulla base del disposto del § 5 c dell’“Epidemiegesetz”, norma che era entrata in vigore il 19.12.2020. Prevedeva, questa norma, che l’inosservanza della predetta “Verpflichtung” era punita con la sanzione amministrativa fino a 1.450 Euro e, in caso di mancato pagamento della stessa, con la detenzione fino a 4 settimane.
Deduceva il ricorrente dinanzi alla Corte costituzionale, che il § 5 c, comma 3, dell’“Epidemiegesetz”, non consentiva l’emanazione della predetta “Verordnung” (decreto); palese era la violazione dell’articolo 18 “B-VG – Bundesverfassungsgesetz” (Legge, che contiene le principali norme costituzionali federali).
Inoltre veniva dedotta, sempre con riferimento all’articolo 18 del citato “B-VG”, l’indeterminatezza dell’impugnata “Contact Tracing Verordnung”; in particolare, non era stato specificato, sulla base di quali sintomi dovesse essere ravvisabile il sospetto, che uno degli avventori fosse affetto dall’infezione COVID-19.
Vi era poi disparità di trattamento tra ristoratori e gestori di esercizi commerciali, senza che quest’“Ungleichbehandlung” avesse una giustificazione razionale (basata su criteri oggettivi).
Gli esercizi commerciali e, in ispecie, i centri commerciali, venivano – notoriamente – frequentati da un numero di persone considerevolmente superiore (“höhere Kundenfrequenz”) rispetto a quello dei ristoranti.
Il “Contact Tracing”, come previsto dalla suddetta “Verordnung”, non era proporzionato allo scopo, che con il medesimo la PA si era proposta di conseguire; era in contrasto con il diritto fondamentale “auf Datenschutz” (protezione dei dati), come previsto dal § 1 del “Datenschutzgesetz”, con l’articolo 10 a dello “StGG – Staatsgrundgesetz” e con l’articolo 8 della CEDU.
2. Limiti della discrezionalità
È ben vero, ha esordito la Corte costituzionale (“Verfassungsgerichtshof – VfGH”) nella propria sentenza, che il legislatore è facoltizzato a riservare alla PA spazi, anche considerevoli, di discrezionalità, nei casi in cui, i provvedimenti vengono adottati per far fronte a situazioni caratterizzate da gravità e da urgenza. Il principio della “Vorherbestimmung verwaltungsbehördlichen Handelns” non deve essere interpretato in modo troppo rigoroso.
Quando però un provvedimento della PA viene a incidere in modo grave su diritti fondamentali e costituzionalmente garantiti, dall’iter del procedimento amministrativo, deve risultare, in modo certo, quali sono stati gli elementi fattuali e i criteri seguiti, che hanno “presieduto” all’emanazione del provvedimento. Altrimenti, non è possibile la cosiddetta Nachprüfung (“riesame”), che è essenziale ai fini della verifica della legittimità dell’emanato provvedimento.
Ha osservato, il VfGH, che il § 5 c dell’“Epidemiegesetz” prevede l’obbligo dei gestori di ristoranti (obbligo, di cui sopra abbiamo parlato), “soweit und solange dies aufgrund del COVID-19–Pandemie unbedingt erforderlich und verhältnismäßig ist” (nei limiti e fino a quando ciò, a causa della pandemia COVID -19, è assolutamente necessario e proporzionato).
La PA, in sede di adozione delle “Verordnungen”, è quindi tenuta a operare una previsione di carattere prognostico (“prognosenhaft”) e, al contempo, deve tenere debitamente conto delle restrizioni, che i propri provvedimenti comportano per i diritti fondamentali, costituzionalmente garantiti, dei destinatari (nel caso de quo, dei ristoratori) dei provvedimenti, che devono essere necessari, idonei e “insgesamt angemessen” (complessivamente proporzionati; allo scopo avuto di mira).
3. Diritti fondamentali della persona e attività della PA
Inoltre, “schwerwiegende Eingriffe in das Grundrecht auf Datenschutz” possono consentire, unitamente ad altri dati di cui dispone la PA, “Rückschlüsse auf die persönliche Lebensführung” der betroffenen Person (condotta di vita della persona).
Più un provvedimento della PA incide sui diritti fondamentali delle persone, più la stessa, è obbligata a esporre e a documentare, l’iter formativo della “Verordnung” nel senso di evidenziare tutti i fatti rilevanti posti a base dell’adozione del provvedimento.
È, questa, una garanzia irrinunciabile per prevenire, che prevalga la vischiosità di rapporti, non di rado esistenti, tra certi individui (che non brillano per la loro trasparenza), vischiosità, che inficia condotte e decisioni e che mortifica chi ha un’idea – netta e precisa – della Legge.
Non ogni cosa, che ha forza e potere, deve essere temibile e portare alla sottomissione o alla dipendenza di fatto. Di facce con posticcia espressione di ossequio, ci sono (state) fin troppe, con risultati sotto gli occhi di tutti (che vogliono aprirli). Ci sono lacchè per funzione e quelli che lo sono nell’anima.
Devono altresí risultare gli eseguiti bilanciamenti degli interessi, di cui si è adeguatamente conto in sede di deliberazione. Soltanto in tal modo è possibile “ripercorrere” l’iter logico dell’organo della PA e verificare la legittimità “des Verwaltungshandelns” (dell’attività della PA).
4. La “Gesetzwidrigkeit” della “Contact Tracing Verordnung”
Ad avviso del VfGH, in sede di emanazione della “Contact Tracing Verordnung” da parte dell’amministrazione comunale di Vienna, non si è tenuto conto dei criteri sopra esposti.
Difettano completamente gli “elementi” posti “a base” dell’impugnata “Verordnung”.
Pertanto il VfGH ha osservato, che non è in grado di esaminare, sulla base di quali circostanze concrete, la PA abbia ritenuto necessaria e proporzionata l’impugnata “Contact Tracing Verordnung”. Di conseguenza, questo provvedimento non è stato emanato legittimamente (“war gesetzwidrig”).
Ha rilevato, infine, il VfGH, che la sussistenza della documentazione necessaria “im Verordnungserlassungsverfahren” (in sede di procedimento amministrativo), non è ravvisabile semplicemente sulla base di un complesso di atti, anche di carattere scientifico (e riferentisi alle conseguenze della diffusione dell’infezione COVD-19). Nel caso sottoposto al vaglio del VfGH, non sono stati documentati i fatti, sulla base dei quali, l’impugnato decreto è stato adottato e che avrebbero dovuto – al momento dell’emanazione del provvedimento – essere di rilevanza decisiva.
Non è stato possibile, per la Corte costituzionale, di riesaminare i presupposti legittimanti il decreto de quo, in particolare, quelli che hanno costituito la “Grundlage für die Willensbildung” (la base per la determinazione volitiva dell’autorità amministrativa emanate).
Nella parte V^ della propria sentenza, la Corte costituzionale ha dato atto, che la “Contact Tracing Verordnung des Magistrats der Stadt Wien”, da circa tre mesi, non era più in vigore, per cui, ai sensi dell’articolo 139, comma 4, del B-VG, essa Corte si è limitata alla constatazione, che i disposti di cui ai §§ 1, numero 2, lettera E nonché 2, dell’impugnata “Verordnung” erano illegittimi.
Al ministro della Sanità veniva rammentato l’obbligo di provvedere immediatamente alla pubblicazione di quanto statuito da esso VfGH.
Seguiva la condanna del ministero della Sanità, a rifondere al ricorrente – entro 14 giorni e “a scanso” di esecuzione – la somma complessiva di Euro 2.856 (a titolo di spese processuali).
Lascia, questa sentenza, un po’ di amaro in bocca, dato che per il ricorrente, l’“Urteil” non è stato di utilità pratica, non essendo, al momento della pronunzia, da parte del VfGH, la “Verordnung” più in vigore. La “vittoria”, se cosi vogliamo dire, è stata meramente “morale”. Comunque, meglio tardi che mai…. e “wenigstens wurde das Recht gewahrt”.
La dichiarazione d’incostituzionalità di cui sopra, è stata soltanto una delle tante emanate dalla Corte costituzionale da quando è entrata in vigore la normativa anti-Covid -19 in Austria.
Il 13.3.2020 è stato disposto il cosiddetto Lockdown. La Corte costituzionale (“Verfassungsgerichtshof – VfGH”) ha però sentenziato, che il ministro della Sanità, nella propria “Verordnung” (regolamento), non aveva osservato i limiti, che la legge gli aveva imposti. Aveva disposto, il predetto ministro, un “allgemeines Betretungsverbot” (divieto di accesso generale vigente per i luoghi pubblici).
Il 20.3.2020, il Governatore di un “Land” aveva vietato ai cittadini di lasciare il territorio del loro comune di residenza. È intervenuto il VfGH, osservando che il Governatore non aveva (neppure) la competenza… di emanare una misura del genere.
Altra batosta subita dal ministro della Sanità. Per determinati esercizi commerciali, era stato previsto il divieto di accesso, qualora lo spazio disponibile per la clientela fosse superiore a 400 m2. Secondo la Corte costituzionale, non vi erano motivi validi per la predetta limitazione, la quale costituiva disparità di trattamento non basata su ragioni oggettive.
Come vediamo, la Corte costituzionale ha avuto un gran da fare, per tracciare i limiti da rispettare…
Lasciamo l’Austria e ci spostiamo in un altro Stato dell’UE.
Di rilievo è una sentenza emanata nella capitale del Belgio, a seguito di un ricorso inoltrato dalla “Lega per i diritti dell’uomo del Belgio”. Ha motivato, quest’organizzazione, il proprio ricorso, con il fatto, che le misure non avevano fondamento in norme di legge. È da notare, che questa sentenza ha per oggetto tutta una serie di misure (elencate sotto) adottate per circoscrivere il diffondersi dell’epidemia COVID-19: divieto di avere contatti cono più persone fuori dalla propria residenza; all’aperto possono riunirsi soltanto 4 persone, se dottate di maschera; acquisti nei negozi soltanto previa prenotazione; divieto di uscire durante la notte; chiusura di ristoranti e alberghi; ingresso nel territorio dello Stato e uscita dallo stesso soltanto per validi motivi.
La sentenza contiene anche la condanna dello Stato del Belgio, alla pena pecuniaria di 5.000 Euro il giorno, fino a quando non saranno revocate le misure ora elencate, ma con un ammontare massimo di 200.000 Euro.
Contro la sentenza è ammissibile appello, che non ha, però, effetto sospensivo.