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Convenzioni contro la doppia imposizione e interpretazione analogica

Duomo di Amalfi
Ph. Maria Cristina Sica / Duomo di Amalfi

Abstract

In un recente accertamento l’Agenzia delle Entrate ha inteso tassare in Italia il gettone di presenza incassato da un contribuente fiscalmente residente in Italia erogato da una società con sede in Germania attribuendogli il credito per imposte assolte all’estero.

La tesi dell’Ufficio poggia sul confronto con la previsione normativa contenuta nell’articolo sulla tassazione dei redditi di lavoro dipendente tassati “soltanto” nello Stato della fonte, avverbio assente nell’articolo sui gettoni di presenza.

 

Il caso concreto

Per rispondere alla domanda: “Si può applicare in via analogica una norma di una Convenzione contro le doppie imposizioni per colmare un vuoto normativo riscontrato in un altro articolo della medesima Convenzione?” parto dal caso che mi è capitato in studio qualche settimana fa.

Un contribuente di nazionalità tedesca e fiscalmente residente in Italia aveva percepito dei gettoni di presenza per la partecipazione al consiglio di amministrazione di una società tedesca.

Per risolvere il problema di quale dei due Stati (Italia e Germania) fosse titolato a tassare i compensi occorre rifarsi alla Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Germania.

Al suo interno l’articolo 16 stabilisce che i gettoni di presenza sono tassati nello Stato dov’è residente la società che li eroga (cd. Stato della fonte del reddito).

Perciò, la doppia tassazione viene risolta a favore dello Stato della fonte e lo Stato di residenza fiscale (Italia) non ha titolo per pretendere nulla.

L’avviso di accertamento contesta questa interpretazione ed accerta il maggior reddito non dichiarato in Italia, riconoscendo il credito per l’imposta assolta in Germania.

In sostanza l’Agenzia sottrae dalle maggiori imposte accertate quelle pagate in Germania per quello stesso reddito.

Evidentemente questa interpretazione contrasta con l’articolo 16 della Convenzione, che è estremamente chiaro e non lascia spazio a dubbi interpretativi.

La bizzarra motivazione addotta dall’Agenzia delle Entrate è che il precedente articolo 15 della

Convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Germania, che riguarda la tassazione dei redditi di lavoro dipendente, prevede: “Fatte le disposizioni degli artt. 16, 18 e 19, i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un'attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell'altro Stato contraente.”

Poiché l’articolo 16 non contiene l’avverbio “soltanto”, i gettoni di presenza devono essere tassati anche in Italia.

Non mi soffermo sull’inconferenza di questo primo periodo dell’articolo 15, in quanto esula dal tema di questo articolo.

L’Agenzia delle Entrate tenta di motivare l’accertamento con una sorta di “analogia in negativo”.

Il ragionamento è questo: l’articolo 15 prevede l’avverbio “soltanto” che legittima la tassazione esclusivamente nello Stato della fonte del reddito, l’articolo 16 non contiene l’avverbio “soltanto”, ergo il gettone di presenza va tassato in entrambi gli Stati.

Questa motivazione, oltre che essere fantasiosa, è anche corretta?

 

Quali sono i rimedi applicabili in caso di vuoto normativo in una Convenzione contro le doppie imposizioni?

Occorre, innanzitutto, partire dal dato letterale delle due norme per escludere, nel caso di specie, un vuoto normativo.

Infatti, l’articolo 16 stabilisce: “Le partecipazioni agli utili, i gettoni di presenza ed altre analoghe retribuzioni che un residente di uno Stato contraente riceve in qualità di membro del Consiglio di amministrazione o del collegio sindacale di una società residente dell'altro Stato contraente sono imponibili in detto altro Stato.”

Il testo è lapalissiano nell’escludere la tassazione in Italia.

Immaginando, tuttavia, che tale vuoto normativo esista, altra considerazione importante è il rapporto di specialità tra l’articolo 15 e l’articolo 16.

Ciò è confermato dall’incipit del primo paragrafo dell’articolo 15: “Fatte le disposizioni degli artt. 16… (omissis)”: l’articolo 16 è norma speciale rispetto al 15 che si evidenzia come norma residuale.

Dunque, non è possibile l’applicazione analogica della norma generale, residuale, alla fattispecie disciplinata dalla norma speciale.

E se non vi fosse la previsione che indica la specialità dell’articolo 16 rispetto al 15?

La domanda sull’esperibilità dell’applicazione analogica di un articolo di una Convenzione contro le doppie imposizioni, in realtà, apre ad una domanda più estesa: come si devono interpretare le Convenzioni contro le doppie imposizioni?

 

Il Modello OCSE e il Commentario

La Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Germania ripropone il Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni, in particolare l’articolo 16 del Modello OCSE.

L’OCSE ha interpretato il Modello di Convenzione con il Commentario.

In relazione all’articolo 16, viene chiarito che il criterio di tassazione dei gettoni di presenza è legato allo Stato in cui i servizi vengono resi e il Modello OCSE ha scelto di fissare il luogo di svolgimento del servizio nello Stato di residenza della società che corrisponde i gettoni di presenza.

Il Commentario conferma la bontà della tesi che esclude la tassazione in Italia dei gettoni di presenza.

La validità del Commentario OCSE come strumento interpretativo è confermata anche dalla Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati.

L’art. 31 prevede che i trattati devono essere interpretati secondo buona fede, in base al senso comune da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto ed alla luce del suo oggetto e del suo scopo.

L’art. 32 individua dei mezzi complementari d’interpretazione, in particolare i lavori preparatori e le circostanze nelle quali il trattato è stato concluso, quando l’interpretazione di una disposizione data in base all’articolo 31 lasci il significato ambiguo od oscuro oppure porti ad un risultato assurdo o illogico.

La dottrina ritiene che il Commentario OCSE possa rientrare tra i mezzi supplementari di interpretazione, alla luce anche del fatto che la Convenzione di Vienna contiene una lista non esaustiva di tali mezzi.

 

Conclusione

In sintesi, non è ammesso interpretare un articolo (peraltro già chiaro) applicando in modo analogico un altro articolo della Convenzione, ma, semmai e solo se il testo è ambiguo (cosa che non è nell’articolo 16), il Commentario OCSE, che conferma il testo dell’articolo 16 della Convenzione Italia-Germania.