Coronavirus e pandemia: il paradosso svedese
Coronavirus e pandemia: il paradosso svedese
Pandemia: alcuni giorni fa, durante le mie letture “impegnate” in rete, mi sono imbattuto in un bellissimo articolo scritto dai Mallory Pickett e pubblicato su “The Newyorker” il 6 aprile 2021 dal titolo “Sweden’s Pandemic Experiment” e consultabile in inglese a questo link.
La lettura di questo interessante e ben fatto articolo mi ha fatto assai riflettere e ho cercato di tradurre e rielaborare buona parte del contenuto dell’articolo di Mallory Pickett in questo contributo, ragionando sugli aspetti europei e su quello che ancora non si conosce del Coronavirus, che è ancora tantissimo.
Troppo.
Coronavirus e pandemia: l’approccio della Svezia
La Svezia è uno dei paesi che ha scelto l’approccio meno restrittivo al mondo, senza imposizione di mascherine o lockdown totali, cercando di salvaguardare le attività economiche, confidando sul naturale distanziamento sociale messo in atto dalla popolazione e realizzando quello che, per alcuni mesi, è stato da più parti citato, non senza enfasi, come il “modello svedese”.
Ma da cosa nasce tutto ciò? Meglio, da chi?
Il fautore di questa politica a maglie larghe ha un nome e un cognome: si chiama Anders Tegnell, classe 1956, medico infettivologo, dal 2013 capo epidemiologo del Paese. Tegnell ha lavorato a lungo in Zaire con Medici senza Frontiere durante l'epidemia di Ebola del 1995, e dal 2003 ha la collaborato con l’Unione europea quale esperto di malattie infettive, prima di essere assunto otto anni fa dall'Agenzia di Sanità Pubblica svedese.
Coronavirus e pandemia: la legislazione svedese
Come è possibile che il potere e la gestione di una pandemia mondiale possa essere in mano a una sola persona? In Svezia accade proprio così. Difatti, nel paese scandinavo la Costituzione attribuisce molti poteri alle Agenzie governative. In particolare, l’Agenzia di Sanità Pubblica ha una grande autonomia rispetto al potere politico, e le decisioni che vengono prese da questo Ente sono vincolanti per il Paese, lasciando al Governo nazionale poterei davvero limitati. Ecco il motivo di una situazione così confusa e, appunto, paradossale come quella vissuta dal paese scandinavo.
Coronavirus e pandemia: le convinzioni di Aders Tegnell
Anders Tegnell si è approcciato alla situazione con una sorta di credo anti scientifico, che, venendo da uno scienziato esperto in infettivologia, ha destato molto sconcerto in tutti, a partire dalla popolazione svedese. È sempre stato convinto che le evidenze scientifiche rispetto all’efficacia dell’uso della mascherina fossero nulle, avanzando addirittura l’ipotesi di un possibile effetto ancor più negativo (per la verità suffragato da altri scienziati) dovuto allo scorretto utilizzo delle stesse.
Rispetto poi alle chiusure per limitare contati e contagi, anche su quelle si è spesso espresso in maniera contraria, ritenendo che non vi fossero prove scientificamente certa di una correlazione tra lockdown e diminuzione della diffusione del virus.
L’unica cosa che ha sempre propugnato è stata, ove possibile, la distanza sociale tra le persone, anche se, di fatto, fino alla fine del mese di marzo 2020 ha permesso la libera partecipazione a feste con cinquecento partecipanti.
Un potere scientifico (meglio, antiscientifico) contrapposto a quello politico, dunque, che ha fatto di Tegnell un vero e proprio simbolo, invocato a gran voce in molti Stati anche extra europei, in particolare dalle formazioni di destra liberiste che chiedevano (e continuano a chiedere) a gran voce la riapertura delle attività economiche. Anche in Minnesota, infatti, attivisti di destra hanno mostrato cartelli durante le proteste anti-blocco con la scritta "Be Like Sweden".
Un modello, dunque, portato avanti con tenacia e durezza. Un modello, però, che non ha funzionato, e che, col trascorrere del tempo, ha mostrato le tante pecche e contraddizioni.
Ma cosa non ha funzionato della teoria svedese?
L’opinione pubblica, almeno all’inizio, era tutta con lui, forse anche per le caratteristiche insite nella natura degli svedesi, meno espansivi dei sud europei, con una popolazione che vive in maggioranza in poche città e il resto in borghi sperduti, formata da persone meno anziane di quelle del resto dell’Europa, in cui i figli si staccano presto dai genitori, abbandonano la casa familiare e costituiscono nuclei familiari a sé stanti, limitando naturalmente in questo modo i contatti sociali tra famiglie.
Coronavirus e pandemia: le affinità con l’Inghilterra di Boris Johnson
L’idea di Tegnell, almeno all’inizio, collimava con quella inglese di Boris Johnson: l’immunità di gregge sarebbe stata presto raggiunta, e per farlo nel minor tempo possibile le chiusure e i blocchi non sarebbero stati concepibili.
Avrebbero, insomma, dovuto ammalarsi in tanti e in fretta.
Johnson però, dopo un iniziale approccio leggero, ha subito cambiato rotta, complice l’ondata di morti e di ricoveri che hanno travolto l’Inghilterra. Tegnell è quindi rimasto solo, l’unico che ha portato avanti un sistema a maglie larghe nonostante la situazione peggiorasse a vista d’occhio.
Tra le altre cose un po’ ardite, Tegnell ha sostenuto che mantenere aperte le scuole avrebbe potuto aiutare i giovani sani a sviluppare prima l'immunità. I vicini finlandesi, al contrario, hanno rilevato che la chiusura delle scuole avrebbe ridotto il tasso di infezione tra gli anziani del dieci per cento.
Quando la cosa gli è stata fatta notare, Tegnell ha così risposto: "Il dieci percento: potrebbe valerne la pena?"
Insomma, un atteggiamento davvero sprezzante e pericoloso, fatto di rifiuti, approcci scientifici non ortodossi e un vivido folklore nordico, quello che in Svezia chiamano “Folkvett”.
Alla base della piramide assurda proposta da Tegnell c’è il rifiuto della mascherina.
I dati all’inizio della pandemia erano pochi, è vero. Ma un'analisi effettuata in Germania poco tempo dopo ha stabilito che l’uso delle mascherine di protezione potrebbe aver ridotto le infezioni di circa il 45%. Un altro studio statunitense ha scoperto che la crescita giornaliera delle infezioni era inferiore del 2% negli stati in cui era in vigore l’utilizzo delle protezioni delle vie aeree da alcune settimane.
Ad aprile 2020, il W.H.O., i Centers for Disease Control e altre istituzioni hanno deciso che c'erano prove sufficienti e hanno pertanto raccomandato le protezioni da indossare sul viso. Nonostante questo, Tegnell è rimasto sulle sue isolate (e non suffragate) idee.
Il risultato è che la Svezia, un paese con una popolazione di circa dieci milioni di persone (si consideri che il 20% degli svedesi vive a Stoccolma) si è trovata a dover affrontare una vera e propria emergenza sanitaria.
Nell'aprile 2020, i ricercatori dell'Università di Uppsala, adattando il modello dell'Imperial College, hanno previsto che, seguendo la scellerata strategia svedese, il 50% per cento degli svedesi sensibili si sarebbe infettato entro trenta giorni, provocando oltre ottantamila morti entro luglio. Quella primavera, il virus iniziò a diffondersi in maniera incontrollata in Svezia.
Ben presto, il bilancio delle vittime pro capite divenne tra i più alti d'Europa. A quel punto Tegnell ha apportato leggere modifiche al protocollo: il 30 marzo sono state vietate le visite alle case di riposo, mentre le riunioni autorizzate sono state concesse solo per un numero più ridotto, passando da 500 a 50 persone contemporaneamente.
Nonostante questo i dati peggioravano, ma l’infettivologo capo ha tenuto duro.
"Giudicami tra un anno" ha commentato Tegnell.
E un anno, ora, è davvero trascorso. Qual è il bilancio?
Coronavirus e pandemia: il bilancio dopo un anno dall’inizio della catastrofe
L’opinione pubblica dopo dodici mesi ha cambiato parere e qualcosa nel comportamento degli svedesi si è lentamente modificato.
La previsione di Tegnell di una curva epidemica affievolita e del raggiungimento di una rapida immunità di gregge non si è mai avverata. Il conteggio dei casi pro capite e il tasso di mortalità della Svezia sono rimasti altissimi, e questi dati si sono rivelati decisamente superiori a quelli dei vicini nordici, che sin dall’inizio hanno adottato blocchi, limitazioni, uso delle protezioni, divieti di viaggio e riunioni limitate.
Complessivamente in Svezia sono morte tredicimila persone a causa del COVID-19. In Norvegia, dove sono stati applicati blocchi più severi, e dove la popolazione è più o meno la metà di quella svedese, i morti sono stati all’incirca seicento. Più di dieci volte in meno.
Sì, è vero, ma Tegnell propugnava la salvaguardia dell’economia svedese.
È successo davvero?
Coronavirus e pandemia: gli effetti sull’economia svedese
Purtroppo, nonostante tutto questo, la strategia adottata non sembra aver aiutato molto l'economia: il PIL svedese è diminuito di circa il tre per cento, meno della media europea, è vero, ma simile al calo subito da altri paesi nordici che pure hanno chiuso le attività non essenziali e hanno notevolmente limitato casi e decessi.
Le vittime nelle case di riposo, che rappresentano circa il cinquanta per cento delle morti per COVID-19 in Svezia, potevano essere evitate; se, infatti, le visite a queste strutture fossero state vietate prima, se agli operatori che vi lavorano fosse stato consigliato di indossare mascherine e protezioni e fossero stati sottoposti a frequenti controlli, è possibile che migliaia di vite avrebbero potuto essere salvate.
"La strategia svedese volta a proteggere gli anziani ha fallito", ha detto Mats Melin, ex capo della giustizia del Paese e ora a capo della Commissione di indagine sul coronavirus.
A dicembre, anche il re di Svezia, Carlo XVI Gustavo, ha criticato le politiche del paese, affermando all'emittente statale: "Il popolo svedese ha sofferto enormemente e vissuto in condizioni difficili" aggiungendo che, rispetto alla strategia adottata dal paese, "penso abbiamo fallito".
Patrick Heuveline, professore di sociologia presso la U.C.L.A. (Università della California in Los Angeles) che studia i tassi di mortalità pandemica, ha dichiarato: "Non è andata così male in Svezia se facciamo il confronto con Italia, Spagna, Regno Unito e Belgio". Ma aggiunge anche che il confronto non va fatto con questi Paesi, troppo diversi come modalità di vita e attitudini sociali, ma con gli altri della penisola scandinava.
Se si guarda, dunque, ai cugini vicini di casa, il bilancio vede nettamente penalizzata la Svezia rispetto a Norvegia, Danimarca o Finlandia, paesi che hanno adottato politiche restrittive tempestive.
Ad ogni modo, nonostante tutto, il bilancio delle vittime in Svezia non è stato così alto come era stato preconizzato. Per quali motivi?
Non sarà facile stabilire le ragioni precise di questo contraddittorio risultato.
In un recente articolo comparso sempre su “The Newyorker”, Siddhartha Mukherjee ha osservato che, mentre alcuni paesi sono stati devastati dalla pandemia, altri hanno avuto tassi di mortalità molto più bassi del previsto. Le ragioni di ciò, ha osservato, rimangono un "mistero epidemiologico".
Rispetto alla Svezia, può darsi, ad esempio, che le politiche svedesi siano apparse più leggere di quanto poi non siano state realmente. In effetti erano consentite piccole libertà, è vero, come la possibilità di frequentare ristoranti, bar, feste. Ma la maggior parte delle scuole superiori e delle università in Svezia ha chiuso e l’attività si è svolta online. Rimanere a casa non era obbligatorio, ma i dati su traffico e mobilità tracciati mostrano che gli svedesi hanno ridotto significativamente i loro movimenti. Inoltre, due delle restrizioni adottate, seppur tardivamente, dalla Svezia, ovvero la limitazione delle dimensioni delle riunioni e la regolamentazione delle visite alle case di cura, hanno ridotto notevolmente la diffusione del virus. Infine, le restrizioni adottate dalla Svezia, sebbene relativamente leggere, sono rimaste abbastanza stabili.
Coronavirus e pandemia: perché in Svezia i morti sono meno che in altri paesi?
Potrebbero esserci anche fattori di cui non siamo ancora a conoscenza. Ciò che non sappiamo del virus è ancora tanto, troppo, a dire la verità. Un Paese come la Germania, che ha agito subito con restrizioni, usato protezioni, usufruito di grandi e organizzati ospedali, ha ridotto molto, nella prima ondata, le infezioni. Ma adesso la Germania è molto provata, e non sta facendo meglio dei suoi vicini. Come mai?
Dati alla mano, i motivi restano ignoti.
A un anno esatto dall'inizio della pandemia, Tegnell ha affermato di ritenere che le persone dovrebbero ancora evitare di giudicare le sue politiche. "La pandemia non è finita, lo faranno più avanti, quando tutto sarà passato".
Coronavirus e pandemia: le mascherine di protezione e le prospettive
Il 18 dicembre, visti i dati allarmanti della seconda paurosa ondata, Tegnell e l'Agenzia Sanitaria pubblica hanno finalmente raccomandato l’uso di mascherine, ma solo sui mezzi pubblici e solo nelle ore di punta.
Da quel 18 dicembre, però, qualcosa negli svedesi è cambiato. Hanno modificato le loro abitudini e da allora stanno lentamente introducendo le maschere nella loro routine pandemiche.
Cosa succederà alla Svezia? Riuscirà Tegnell a resistere e, a pandemia terminata, ad avere ragione, con i dati alla mano, del suo approccio leggero contro il virus? È ancora presto per saperlo, quello che è chiaro è che si è detto tutto e il contrario di tutto, e non sono chiare ancora moltissime cose, talmente tante che per qualcuno pare comunque ancora sostenibile un atteggiamento così leggero come quello tenuto dalla Svezia, che alla fine non ha portato la catastrofe così facilmente prevista. Staremo a vedere, il tempo è galantuomo (ma speriamo sia soprattutto un gran dottore…).
Coronavirus e pandemia: la storia emblematica di Tara Twana, una svedese irachena
Voglio chiudere l’articolo con questa storia raccontata nell’articolo di Mallory Pickett su “The Newyorker” ed emblematico di questo paradosso svedese e della sua popolazione.
Tara Twana è una donna nata in Iraq quarantanove anni fa e oggi membro del Consiglio della Contea di Stoccolma. Il papà di Twana era uno dei leader del movimento peshmerga per l'indipendenza curda e lui, con la sua famiglia, è fuggito dall'Iraq nel 1988 e ha chiesto asilo politico alla Svezia. Il Paese li ha accolti subito con calore. Dice Tara Twana: "Le persone a Sala (città svedese) erano molto gentili". Da quando Twana è entrata a far parte del Consiglio di Contea, ha concentrato i suoi sforzi sulla salute pubblica e sui problemi delle donne.
All'inizio della pandemia, Twana era "molto felice" della risposta morbida di Tegnell. Su consiglio del governo, lei e la sua famiglia hanno limitato i loro movimenti, cercando di rispettare il distanziamento, ma non hanno mai indossato le mascherine. Poi, alla fine di marzo, la madre di Twana, Pari, 77 anni, si è ammalata. Twana ha cercato di farla ricoverare per tenerla lontana da suo padre Abdulla, 83 anni, ma i medici hanno detto che il ricovero non era necessario. Secondo loro non c'era bisogno di indossare mascherine ma avrebbero dovuto cercare di restare separati in casa. E così fecero, vivendo separati e parlandosi al telefono da stanze diverse.
Una settimana dopo, Abdulla entrò nella sua camera da letto, con l’aria confusa, e chiese a Pari dove si trovasse e se in quel luogo sconosciuto ci fosse un bagno. Pari ha chiamato un'ambulanza e, una volta arrivato in ospedale, hanno subito diagnosticato il Covid ad Abdulla. Anche la madre di Twana fu presto ricoverata, poiché i suoi sintomi peggioravano e marito e moglie condividevano la stessa stanza. Due giorni dopo, i livelli di ossigeno del padre di Twana iniziarono a diminuire.
Poco dopo Twana lo ha chiamato al telefono per salutarlo, usando il suo smartphone e la telecamera. A Natale lui le aveva regalato un libro sulla storia curda in Mesopotamia che aveva scritto interamente a mano, e aveva chiesto il suo parere. Twana non aveva avuto il tempo di leggerlo, ma mentì dicendogli che le era piaciuto molto. Il padre pareva al settimo cielo, e, con le lacrime agli occhi, gli ha promesso che lo avrebbe aiutato a pubblicare il suo libro.
Abdulla morì sedici ore dopo.
Chissà se Twana riuscirà a pubblicare il libro di papà Abdulla.