Corte Costituzionale: le libere tariffe professionali sono "giuste" e di competenza dello Stato

Sulle tariffe professionali degli avvocati deve decidere lo Stato e non le Regioni, posto che esse attengono alla materia «tutela della concorrenza», riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera e), Costituzione. E’ questa in sintesi la decisione della Consulta in merito al cosidetto Decreto Legge Bersani, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della lettera a) del comma 1 dell’art. 2 del decreto-legge n. 223 del 2006, nel testo originario ed in quello modificato dalla legge di conversione n. 248 del 2006.

Secondo la Corte Costituzionale "La norma sopra richiamata, nell’abrogare le disposizioni che prevedono «l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti», tende a stimolare una maggiore concorrenzialità nell’ambito delle attività libero-professionali e intellettuali, offrendo all’utente una più ampia possibilità di scelta tra le diverse offerte, maggiormente differenziate tra loro, con la nuova normativa, sia per i costi che per le modalità di determinazione dei compensi".

Tale conclusione è confermata in ambito comunitario. "Con particolare riferimento alle restrizioni alla concorrenza nel settore delle professioni, si deve, infatti, segnalare la Relazione sulla concorrenza nei servizi professionali presentata dalla Commissione il 9 febbraio 2004 [Com(2004)83]. Il 5 settembre 2005, la Commissione ha presentato il seguito della suddetta Relazione [Com(2005)405], in cui si giunge alla conclusione, tra l’altro, che gli Stati membri dovrebbero avviare un processo di revisione delle restrizioni esistenti, con riferimento sia alle tariffe fisse, sia alle limitazioni di pubblicità. In esito a tale relazione, il Parlamento europeo, il 12 ottobre 2006, ha approvato una risoluzione con la quale, tra l’altro, si invita la Commissione ad approfondire l’analisi delle differenze esistenti – in riferimento all’apertura del mercato – tra le diverse categorie professionali di ciascuno Stato membro, e, sul presupposto che l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime e il divieto di pattuire compensi legati al risultato raggiunto potrebbero costituire un ostacolo alla qualità dei servizi e alla concorrenza, si invitano gli Stati membri ad adottare misure meno restrittive e più adeguate rispetto ai principi di non discriminazione, necessità e proporzionalità. Con specifico riguardo alle professioni legali ed all’interesse generale al funzionamento dei sistemi giuridici, il Parlamento europeo ha adottato, il 23 marzo 2006, una risoluzione, nella quale si riconosce che «le tabelle degli onorari o altre tariffe obbligatorie» non violano gli artt. 10 e 81 del Trattato, purché la loro adozione sia giustificata dal perseguimento di un legittimo interesse pubblico".

Non solo: "Il medesimo orientamento emerge dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee. Quest’ultima, nella sentenza 5 dicembre 2006 (cause riunite Cipolla C-94/2004, Capodarte e Macrino, C-202/2004), ha statuito che «il divieto di derogare convenzionalmente ai minimi tariffari, come previsto dalla legislazione italiana, può rendere più difficile l’accesso degli avvocati stabiliti in uno Stato membro diverso dalla Repubblica italiana al mercato italiano dei servizi legali, ed è in grado quindi di ostacolare l’esercizio delle loro attività di prestazione di servizi in quest’ultimo Stato membro. Tale divieto si rivela pertanto una restrizione ai sensi dell’art. 49 CE»".

(Corte Costituzionale, Sentenza 21 dicembre 2007, n.443).

Sulle tariffe professionali degli avvocati deve decidere lo Stato e non le Regioni, posto che esse attengono alla materia «tutela della concorrenza», riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera e), Costituzione. E’ questa in sintesi la decisione della Consulta in merito al cosidetto Decreto Legge Bersani, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della lettera a) del comma 1 dell’art. 2 del decreto-legge n. 223 del 2006, nel testo originario ed in quello modificato dalla legge di conversione n. 248 del 2006.

Secondo la Corte Costituzionale "La norma sopra richiamata, nell’abrogare le disposizioni che prevedono «l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti», tende a stimolare una maggiore concorrenzialità nell’ambito delle attività libero-professionali e intellettuali, offrendo all’utente una più ampia possibilità di scelta tra le diverse offerte, maggiormente differenziate tra loro, con la nuova normativa, sia per i costi che per le modalità di determinazione dei compensi".

Tale conclusione è confermata in ambito comunitario. "Con particolare riferimento alle restrizioni alla concorrenza nel settore delle professioni, si deve, infatti, segnalare la Relazione sulla concorrenza nei servizi professionali presentata dalla Commissione il 9 febbraio 2004 [Com(2004)83]. Il 5 settembre 2005, la Commissione ha presentato il seguito della suddetta Relazione [Com(2005)405], in cui si giunge alla conclusione, tra l’altro, che gli Stati membri dovrebbero avviare un processo di revisione delle restrizioni esistenti, con riferimento sia alle tariffe fisse, sia alle limitazioni di pubblicità. In esito a tale relazione, il Parlamento europeo, il 12 ottobre 2006, ha approvato una risoluzione con la quale, tra l’altro, si invita la Commissione ad approfondire l’analisi delle differenze esistenti – in riferimento all’apertura del mercato – tra le diverse categorie professionali di ciascuno Stato membro, e, sul presupposto che l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime e il divieto di pattuire compensi legati al risultato raggiunto potrebbero costituire un ostacolo alla qualità dei servizi e alla concorrenza, si invitano gli Stati membri ad adottare misure meno restrittive e più adeguate rispetto ai principi di non discriminazione, necessità e proporzionalità. Con specifico riguardo alle professioni legali ed all’interesse generale al funzionamento dei sistemi giuridici, il Parlamento europeo ha adottato, il 23 marzo 2006, una risoluzione, nella quale si riconosce che «le tabelle degli onorari o altre tariffe obbligatorie» non violano gli artt. 10 e 81 del Trattato, purché la loro adozione sia giustificata dal perseguimento di un legittimo interesse pubblico".

Non solo: "Il medesimo orientamento emerge dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee. Quest’ultima, nella sentenza 5 dicembre 2006 (cause riunite Cipolla C-94/2004, Capodarte e Macrino, C-202/2004), ha statuito che «il divieto di derogare convenzionalmente ai minimi tariffari, come previsto dalla legislazione italiana, può rendere più difficile l’accesso degli avvocati stabiliti in uno Stato membro diverso dalla Repubblica italiana al mercato italiano dei servizi legali, ed è in grado quindi di ostacolare l’esercizio delle loro attività di prestazione di servizi in quest’ultimo Stato membro. Tale divieto si rivela pertanto una restrizione ai sensi dell’art. 49 CE»".

(Corte Costituzionale, Sentenza 21 dicembre 2007, n.443).