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Corte costituzionale n. 114/2018: è incostituzionale il divieto di opporsi all’esecuzione tributaria “a valle” della cartella di pagamento

Brighton, agosto 2018
Ph. Francesca Russo / Brighton, agosto 2018

Indice

1. Premessa

2. L’ordinanza di rimessione

3. L’iter logico della sentenza

 

1. Premessa

La Corte Costituzionale con sentenza n.114/2018 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 57, comma 1, lettera a), del D.P.R.n.602/1973, nella parte in cui prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria, di competenza del giudice ordinario, non sono ammesse le opposizioni all’esecuzione ex articolo 615 del c.p.c.

La limitazione dell’opposizione all’esecuzione solo alla pignorabilità del bene, comporta una limitazione alla tutela giurisdizionale del contribuente che contrasta, infatti, con gli articoli 24 e 113 della Costituzione e non è giustificabile nemmeno in considerazione della peculiarità dei crediti tributari oggetto della procedura.

 

2. L’ordinanza di rimessione

Il Giudice delle Leggi è stato chiamato a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale inerente l’articolo 57, comma 1 del D.P.R. n.602/1973 e successive modifiche, promossa dal giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Sulmona, con due ordinanze del 31 e dell’11 dicembre 2013, e dal giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Trieste, con due ordinanze del 19 agosto 2015 e del 28 marzo 2017.

Precisamente, il giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Sulmona ha eccepito che  l’articolo 57, comma 1, del D.P.R. n. 602 del 1973 limita le opposizioni regolate dagli articoli 615 e 617 c.p.c. a vizi ben specifici, tra cui non rientrerebbe l’inesistenza della notificazione del pignoramento.

Per tali ragioni, il giudice rimettente ha ritenuto che vi fosse un difetto assoluto di giurisdizione con conseguente violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione.

La disposizione censurata, altresì, violerebbe la “riserva di legge prevista dall’articolo 97 Costituzione e 111 Costituzione” e contrasterebbe sia con “gli articoli 3, 11, 117 Costituzione e 6 CEDU, nella parte in cui non garantisce al debitore di crediti erariali un processo equo quanto meno in misura pari agli altri debitori”; sia con l’articolo 113 Costituzione “atteso che si avrebbe una limitata impugnativa del cittadino per atti della pubblica amministrazione, sostanziantesi in forme di notificazione extra ordinem”.

Parimenti, il giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Trieste, in due procedimenti civili promossi da una società, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale relativamente all’articolo57 citato, ritenendo che tale articolo impedisce al debitore opponente la proponibilità dell’opposizione all’esecuzione, che è ammissibile solo per far valere l’impignorabilità dei beni, non anche,  per rilevare l’illegittimità dell’esecuzione o la carenza dei presupposti dell’esecuzione, costringendo il contribuente a subire in ogni caso l’esecuzione, sebbene ingiusta, con la sola possibilità di presentare ex post una richiesta di rimborso di quanto ingiustamente  percepito dall’Amministrazione Finanziaria o dal suo concessionario per la riscossione, ovvero di agire per il risarcimento  del danno.

Alla luce di tanto, secondo il giudice rimettente il succitato articolo 57 si porrebbe in contrasto con gli articoli 24 e 113 della Costituzione perché impedisce al contribuente, di chiedere e ottenere tutela giurisdizionale, riservando al contribuente la sola possibilità di agire ex post per il rimborso delle somme versate”, nonché “con l’articolo 3 della Costituzione in relazione alla differenza di trattamento che crea tra contribuenti che sono in grado di pagare immediatamente l’intero tributo e quelli che, invece, non hanno mezzi sufficienti per farlo”.

Inoltre, sarebbe violato l’articolo 24 Costituzione, poiché è preclusa al debitore opponente, in modo generalizzato ed irragionevole, ogni possibilità di difesa, consentendosi al medesimo di fare opposizione all’esecuzione solo ed esclusivamente per far valere l’impignorabilità dei beni, non anche per tutelarsi da esecuzioni illegittime. In ultimo, il giudice a quo ha sostenuto che sarebbe violato anche l’articolo 113 Costituzione, dal momento che la disposizione censurata limita e impedisce la tutela del contribuente contro una determinata categoria di atti della pubblica amministrazione e dei concessionari di quest’ultima, impedendo in modo indiscriminato e ingiustificato ogni difesa contro tutti gli atti dell’esecuzione.

La Consulta ha trattato congiuntamente le questioni di legittimità costituzionale de quibus, in quanto sovrapponibili, ritenendo infondate le questioni di legittimità sollevate dal Tribunale di Sulmona e accogliendo, invece, quelle poste con le ordinanze del Tribunale ordinario di Trieste per le ragioni che si esporranno di seguito.

 

3. L’iter logico della sentenza

La Consulta ha ritenuto fondate nel merito le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale ordinario di Trieste, in riferimento agli articoli 24 e 113 Costituzione in relazione all’articolo 57 del D.P.R. n. 602 del 1973, segnatamente il suo comma 1, lettera a).

La Corte Costituzionale, in via preliminare  ha messo in evidenza che con “la nuova disciplina del contenzioso tributario (d.lgs. n. 546 del 1992) e con quella della riscossione mediante ruolo (d.lgs. n. 46 del 1999), estesa a tutte le entrate dello Stato, anche diverse dalle imposte sui redditi, e di quelle degli altri enti pubblici, il quadro normativo muta radicalmente in termini di maggior tutela per il contribuente assoggettato ad esecuzione coattiva, seppur con una circoscritta carenza sulla quale  -come si viene ora a dire-  si appuntano le censure del giudice rimettente”.

Per prima cosa, in materia di riscossione coattiva, viene fissato uno specifico criterio di riparto della giurisdizione tra giudice tributario e giudice (ordinario) dell’esecuzione. Infatti l’articolo 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 dispone che “[r]estano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica”.

Da ciò si deduce, secondo la Corte Costituzionale, che “viene così tracciata una linea di demarcazione della giurisdizione, posta dalla cartella di pagamento e dall’eventuale successivo avviso recante l’intimazione ad adempiere: fino a questo limite la cognizione degli atti dell’amministrazione, espressione del potere di imposizione fiscale, è devoluta alla giurisdizione del giudice tributario; a valle, la giurisdizione spetta al giudice ordinario e segnatamente al giudice dell’esecuzione”.

L’articolo 57 cit., pur ammettendo l’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi, tuttavia non determina la generale ammissibilità delle opposizioni de quibus secondo le regole ordinarie del codice di rito.

Infatti, la disposizione in esame sottoposta al vaglio di legittimità della Consulta, dispone al primo comma:

“Non sono ammesse: a) le opposizioni regolate dall’articolo 615 del codice di procedura civile, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni; b) le opposizioni regolate dall’articolo 617 del codice di procedura civile relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo”.

Se da un lato l’opposizione agli atti esecutivi è piena, nel senso che sono ammesse tutte le opposizioni con la sola eccezione di quelle che riguardano la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo, lo stesso non può dirsi per le opposizioni all’esecuzione ovvero per quelle che vedono il contribuente contestare il diritto dell’agente della riscossione a procedere ad esecuzione forzata, giacché l’articolo 57 ammette solo le opposizioni che attengono alla pignorabilità dei beni, ma esclude tutte le altre.

La Consulta ha sottolineato che l’articolo 57, comma 1, lettera a), esprime, in parte qua, una duplice norma: una, che si sottrae alle censure del giudice rimettente, l’altra, che invece ne è attinta.

Infatti, l’articolo57 citato esclude che sia ammissibile l’opposizione all’esecuzione per il solo fatto che il contribuente opponente formuli un petitum con cui contesta il diritto dell’amministrazione finanziaria o dell’agente della riscossione di procedere ad esecuzione forzata, come sarebbe invece possibile secondo il canone ordinario dell’opposizione ex articolo 615 cod. proc. civ.

Pertanto, se il contribuente contesta il titolo della riscossione coattiva, la controversia così introdotta appartiene alla giurisdizione del giudice tributario e l’atto processuale di impulso è il ricorso ex articolo 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, proponibile avverso «il ruolo e la cartella di pagamento», e non già l’opposizione all’esecuzione ex articolo 615 cod. proc. civ.

A questo punto,  nel suo iter motivazionale, il Giudice delle Leggi ha messo in risalto che “la censurata disposizione dell’articolo 57, comma 1, lettera a), esprime anche un’altra norma: l’opposizione all’esecuzione ex articolo 615 cod. proc. civ. è inammissibile non solo nell’ipotesi in cui la tutela invocata dal contribuente, che contesti il diritto di procedere a riscossione esattoriale, ricada nella giurisdizione del giudice tributario e la tutela stessa sia attivabile con il ricorso ex articolo 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, ma anche allorché la giurisdizione del giudice tributario non sia invece affatto configurabile e non venga in rilievo perché si è a valle dell’area di quest’ultima. Il dato letterale della disposizione censurata non consente di ritenere che l’inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione sia sancita solo nella prima ipotesi e non anche nell’altra”.

Il giudice  a quo nella  sua ordinanza non dubita della propria giurisdizione (ex articolo 2 citato), perché il giudizio riguarda atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento, già impugnata innanzi al giudice tributario e reputa che la contestazione della società sia relativa al diritto di procedere alla riscossione e non attenga, al contrario,  alla mera regolarità formale del titolo esecutivo o di atti della procedura sicché deve qualificarsi come opposizione all’esecuzione e non già come opposizione agli atti esecutivi.

Ad ulteriore conferma di ciò, il Giudice delle Leggi elenca una serie di ipotesi che si collocano a valle della notifica della cartella di pagamento, in cui la doglianza del contribuente sia diretta a contestare il diritto di procedere a riscossione coattiva e non già la mera regolarità formale della procedura, come: l’intervenuto adempimento del debito tributario o di una sopravvenuta causa di estinzione dello stesso per essersi il contribuente avvalso di misure di favore per l’eliminazione del contenzioso tributario, quale, ad esempio, la cosiddetta “rottamazione” delle cartelle di pagamento.

In tutti questi casi, a parere della Consulta “si configura la giurisdizione del giudice ordinarioperché la controversia si colloca a valle della giurisdizione del giudice tributario ex articolo 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 – e l’azione esercitata dal contribuente assoggettato alla riscossione deve qualificarsi come opposizione all’esecuzione ex articolo 615 cod. proc. civ., essendo contestato il diritto di procedere a riscossione coattiva, c’è una carenza di tutela giurisdizionale perché il censurato articolo 57 non ammette siffatta opposizione innanzi al giudice dell’esecuzione e non sarebbe possibile il ricorso al giudice tributario perché, in tesi, carente di giurisdizione…”.

Per le ragioni innanzi esposte, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 57, comma 1, lettera a), limitatamente alla parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all’avviso di cui all’articolo 50 del d.P.R. n. 602 del 1973, siano ammesse le opposizioni regolate dall’articolo 615 c.p.c., poiché “ confligge frontalmente con il diritto alla tutela giurisdizionale riconosciuto in generale dall’articolo 24 Costituzione e nei confronti della pubblica amministrazione dall’articolo 113 Costituzione, dovendo essere assicurata in ogni caso una risposta di giustizia a chi si oppone alla riscossione coattiva”.