x

x

La rinnovata portata dell’art. 10-bis d.lgs. 74/2000 a seguito della pronuncia di illegittimità costituzionale n. 175/2022

Scorci serali
Ph. Niccolò Gurioli / Scorci serali

La rinnovata portata dell’art. 10-bis d.lgs. 74/2000 a seguito della pronuncia di illegittimità costituzionale n. 175/2022

ABSTRACT

Di estrema attualità la pronuncia della Consulta la quale, passata inosservata, affronta delicate tematiche di diritto penale tributario e di diritto costituzionale. In particolare, con la pronuncia in commento, la Corte Costituzionale, investita della questione di legittimità costituzionale, ha dichiarato l’incostituzionalità del vigente, sino ad allora, art. 10-bis d.lgs. 74/2000 così come riformulato nel 2015 dal Governo in attuazione della delega ricevuta con la legge finanziaria del 2014, nella parte in cui ha inserito le parole «dovute sulla base della stessa dichiarazione o» nel testo del citato articolo. Come si vedrà, una censura non solo di facciata ma densa di significato e di conseguenze applicative.
 

LA QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ SOLLEVATA

Il Tribunale ordinario di Monza sollevava questione di legittimità costituzionale con riferimento ad uno specifico rilievo concernente l’art. 10-bis d.lgs. 74/2000 (come novellato dal legislatore del 2015), questione che è stata ritenuta, dapprima, ammissibile e, successivamente, fondata, portando, come si dirà, la Corte alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma de qua.

Il rimettente, in particolare, censura la norma citata di violazione del principio di stretta legalità, di uguaglianza e di ragionevolezza di cui al dettato costituzionale nella parte della norma in cui si prevede la rilevanza penale degli omessi versamenti di ritenute dovute sulla base della mera dichiarazione annuale del sostituto d’imposta. L’art. 10-bis d.lgs. 74/2000, ante pronuncia, a seguito dell’attuazione della delega con il d.lgs. 158/2015, prevedeva (già a partire dalla rubrica: “Omesso versamento di ritenute dovute o certificate) che: “È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta”. Il delegato, mantenendo intatto il reato di cui all’omesso versamento delle ritenute certificate, avrebbe reinserito, a parere del rimettente, sotto forma di fattispecie penale ciò che fino ad allora era punito solo a titolo di illecito amministrativo tributario (attesa la minor gravità del fatto), ossia la condotta di cui all’omesso versamento di ritenute dovute in base alla dichiarazione del sostituto d’imposta (manifestato con l’introduzione del sintagma “dovute sulla base della stessa dichiarazione o”).

Il delegato avrebbe così introdotto, accanto alla già prevista fattispecie commissiva omissiva – il sostituto che consegna la certificazione della ritenuta al sostituito (effettuando la suddetta ritenuta) ma omettendo poi di versarla – una fattispecie propria meramente omissiva (mancato versamento di quanto dichiarato sul modello 770 da parte del sostituto).

La delega così recitava: «procedere [...] alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, prevedendo [...] la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative anziché penali, tenuto anche conto di adeguate soglie di punibilità».

Alla luce dei principi e criteri direttivi esposti, riteneva integrato il giudice a quo l’eccesso di delega (di cui si dirà infra) nonché la violazione del principio di uguaglianza e ragionevolezza.

In particolare, su tale ultimo aspetto, rappresenta il remittente l’assurdità e il paradosso della novella introdotta dal delegato nel 2015 in tutti quei casi in cui, in difetto del rilascio delle certificazioni, da un lato, si va a punire il contribuente che presenti un modello 770 veritiero omettendo di versare le ritenute per un importo superiore a 150.000 euro (soglia di punibilità prevista dall’art. 10-bis cit.) ma poi, dall’altro, si rende esente da pena il sostituto di imposta che, rendendosi ugualmente inadempiente a un debito tributario di pari entità, presenti una dichiarazione falsa indicando un debito inferiore alla soglia di punibilità. Ancora, ad avviso del rimettente, il legislatore avrebbe regolato in termini deteriori, con il ricorso al presidio penale, condotte meno gravi di quelle ricadenti sempre sulle ritenute del sostituto di imposta, caratterizzate da un più intenso disvalore e tuttavia sfornite di tutela penale. Inoltre, sussisterebbe una intrinseca irragionevolezza della fattispecie, come modificata, in quanto essa affiderebbe interamente alla dichiarazione del sostituto uno dei due alternativi criteri del calcolo dell’imposta evasa e, in conseguenza, di verifica del superamento della soglia di punibilità [per maggiori approfondimenti, v. F. BALLESI, La sentenza della Corte Costituzionale n. 175/2022 e la ridefinizione della fattispecie di omesso versamento di ritenute “dovute o” certificate di cui all’art. 10 bis d.lgs. 74/2000, in Giurisprudenza Penale Web].
 

LE CONCLUSIONI DELLA CONSULTA

La Corte, valutata l’ammissibilità e la rilevanza della questione sottopostale dal giudice a quo ai fini della decisione, procedeva preliminarmente ad una analisi del contesto normativo di riferimento sino  alla formulazione in allora vigente. Senza ripercorrere nel dettaglio tutta la normativa, appare tuttavia importante sottolineare il dato di fondo che ha accompagnato, negli anni, l’incriminazione delle condotte del sostituto d’imposta: inizialmente, accanto alla fattispecie dichiarativa dell’omessa e infedele dichiarazione, punita a titolo contravvenzionale, si poneva il delitto di chi non pagava all’erario le «ritenute effettivamente operate» a titolo di acconto o di imposta sulle somme pagate. Successivamente, ferma la contravvenzione in materia dichiarativa, si è specificato meglio l’omesso versamento delle ritenute con due fattispecie: la prima, di natura contravvenzionale, che sanzionava il mero omesso versamento entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di ritenute alle quali il sostituto di imposta era obbligato per legge relativamente a somme pagate per un ammontare complessivo per ciascun periodo di imposta superiore a cinquanta milioni di lire; la seconda, di natura delittuosa, sanzionava le condotte dell’omesso versamento del sostituto che ometteva di versare ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, oltre una certa soglia di imposta. Con l’intervento del d.lgs. 74/2000, poi, si è deciso di depenalizzare i comportamenti del sostituto di imposta e quindi la condotta dell’omesso versamento delle ritenute, rimanendo tale condotta sanzionata solo sul fronte amministrativo. Con la legge finanziaria del 2004 si è modificato il d.lgs. 74/2000 introducendo con l’art. 10-bis il delitto di omesso versamento di ritenute certificate lasciando priva di sanzione penale, ma solo amministrativa, la fattispecie di mancato versamento all’erario di ritenute che non fossero state certificate. Infine, la legge delega del 2014, in virtù della quale il Governo, dandone attuazione, introduceva nell’art. 10-bis anche il delitto di omesso versamento di ritenute dovute sulla scorta della dichiarazione annuale del sostituto di imposta, sempre oltre la soglia di punibilità.

La Consulta, accogliendo le censure mosse dal giudice rimettente, si convinceva dell’illegittimità costituzionale dell’introduzione del 2015, rilevando come il delegato abbia a tutti gli effetti introdotto una nuova e distinta fattispecie penale che si affianca a quella dell’omesso versamento, alle stesse condizioni, delle ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti, eccedendo la delega legislativa la quale non autorizzava all’introduzione di una fattispecie penale per sanzionare condotte di più lieve entità (che, infatti, rispetto alla normativa precedente, costituivano, dapprima, un reato punito a titolo contravvenzionale, poi depenalizzato, ed infine un mero illecito amministrativo).

In definitiva, come affermato dalla Consulta, al momento della delega del 2014, il reato previsto, concernente la condotta omissiva del sostituto, era solo quello dell’omesso versamento delle ritenute certificate, per effetto del ripristino della sanzione penale di dieci anni prima, mentre la condotta di omesso versamento delle ritenute dovute in base alla dichiarazione del sostituto rimaneva distinta e non sanzionata penalmente, pur costituendo anch’essa un illecito in ragione dell’inadempimento dell’obbligo fiscale, assoggettato a sanzione amministrativa tributaria. Sempre con riferimento alle censure la Consulta osserva, a sostegno del proprio convincimento, in un’ottica teleologica, che

la condotta di chi non versa le ritenute indicate nella relativa dichiarazione come sostituto d’imposta – che al momento della delega non costituiva reato, ma illecito amministrativo tributario, e solo in passato, fino alla riforma del 2000, è stata punita come reato contravvenzionale – non è certo ascrivibile a «comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa». Né è riconducibile al regime della «dichiarazione infedele» dal momento che ciò che rileva è l’omesso versamento delle ritenute «dovute in base alla dichiarazione», a prescindere dal fatto che essa sia fedele o infedele. Tale condotta – che, quando era penalmente rilevante (fino al 2000), integrava una mera contravvenzione punita con pena alternativa e che successivamente, e così al momento della delega in esame, costituiva un illecito assoggettato a sanzione amministrativa tributaria – sarebbe semmai rientrata tra le «fattispecie meno gravi» per le quali la pena, ove il fatto costituisse reato, avrebbe potuto essere mitigata e finanche trasformata in sanzione amministrativa.

Conclude la Corte, per effetto della presente dichiarazione di illegittimità costituzionale viene ripristinato il regime vigente prima del d.lgs. n. 158 del 2015, che ha introdotto la disposizione censurata, sicché da una parte l’integrazione della fattispecie penale dell’art. 10-bis richiede che il mancato versamento da parte del sostituto, per un importo superiore alla soglia di punibilità, riguardi le ritenute certificate; dall’altra il mancato versamento delle ritenute risultanti dalla dichiarazione, ma delle quali non c’è prova del rilascio delle relative certificazioni ai sostituiti, costituisce illecito amministrativo tributario. In definitiva, la Corte, tornando indietro, ha fatto un passo avanti (sic!).
 

SUL SINDACATO DI COSTITUZIONALITA’ IN MATERIA DI ECCESSO DI DELEGA IN AMBITO PENALE

Si è detto che il principale motivo censurato e sollevato dal giudice rimettente concerne l’eccesso di delega del Governo rispetto a quanto enucleato nei principi e criteri direttivi forniti dal Parlamento.

Nell’accogliere tale preminente rilievo il Giudice delle Leggi rileva, infatti, che il legislatore delegato ha introdotto nell’art. 10-bis una nuova fattispecie penale (omesso versamento di ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione del sostituto), affiancandola a quella già esistente (omesso versamento di ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti), senza essere autorizzato a farlo dalla legge di delega, mentre sarebbe stato necessario un criterio preciso e definito per poter essere rispettoso anche del principio di stretta legalità in materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.).

Proprio il giudice rimettente sottolinea la stringenza dell’obbligo del legislatore delegato di attenersi con scrupolo e rigore alla delega del Parlamento quando la materia cui viene delegato l’Esecutivo coinvolge il settore penale. Imprescindibile, infatti, come osserva correttamente il giudice rimettente, l’osservanza del principio di riserva di legge in materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.). Indubbio che nell’ambito dei principi e criteri direttivi il delegato abbia uno “spazio di manovra”, non potendo (e non dovendo) lo stesso limitarsi a recepire e trasporre automaticamente le norme già fissate nella legge delega. E, tuttavia, nel caso in esame il delegato è andato ben oltre là dove ha ampliato l’allora esistente art. 10 bis in totale assenza di copertura nei criteri direttivi della delega, arrogandosi scelte di politica criminale precluse, sulla scorta dello strumento normativo impiegato, all’Esecutivo.

Tombale la Consulta: “nella materia penale è più elevato il grado di determinatezza richiesto per le regole fissate nella legge delega; ciò perché il controllo del rispetto, da parte del Governo, dei «princìpi e criteri direttivi», è anche strumento di garanzia della riserva di legge e del rispetto del principio di stretta legalità, spettando al Parlamento l’individuazione dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni loro applicabili (sentenze n. 174 del 2021, n. 127 del 2017 e n. 5 del 2014)”.
 

CONCLUSIONI

Indubbia la portata della sentenza in commento, tanto perché riporta a ragionevolezza la norma tributaria esaminata, sulla quale da tempo i commentatori ponevano proprie perplessità, ma soprattutto riporta l’impiego dello strumento penale sui binari della legalità, della ragionevolezza e della proporzionalità.

Ne consegue l’indubbia rilevanza, non solo sul piano dell’ordinamento penale tributario, ma soprattutto su quello dei principi di diritto, della pronuncia della Consulta e dei ragionamenti di logica giuridica posti a fondamento dell’accoglimento delle censure di illegittimità costituzionale sollevate.