CORTE COSTITUZIONALE N. 121 DEL 24 APRILE 2009: DECLARATORIA DI ILLEGITTIMITA’ DEL COMMA 1-BIS DELL’ARTICOLO 405 DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE
CORTE COSTITUZIONALE N. 121 DEL 24 APRILE 2009: DECLARATORIA DI ILLEGITTIMITA’ DEL COMMA 1-BIS DELL’ARTICOLO 405 DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE
La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 1-bis dell’art. 405 c.p.p.: il pubblico ministero, ancorché non abbia acquisito ulteriori elementi a carico dell’indagato, può non chiedere l’archiviazione ed esercitare legittimamente l’azione penale anche qualora, in ambito cautelare, la Cassazione si sia pronunciata negativamente circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Ai sensi del comma 1-bis dell’articolo 405 del codice di procedura penale, introdotto dalla legge n. 46 del 2006, il pubblico ministero, al termine delle indagini, doveva formulare richiesta di archiviazione qualora la Corte di Cassazione si fosse pronunciata in ordine all’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ai sensi dell’articolo 273 e non fossero stati acquisiti, successivamente, ulteriori elementi a carico dell’indagato.
Come sottolineato da autorevole dottrina (Tonini), era stato così posto in capo al pubblico ministero un vincolo legale, il quale mirava, nell’intenzione del legislatore del 2006, a correggere casi anomali nei quali l’indagato veniva sottoposto inutilmente al processo.
Qualora infatti, in seguito al vaglio della Cassazione, risultasse accertato che non esistevano i gravi indizi sui quali si fondava la misura cautelare, si imponeva al magistrato inquirente, che non avesse acquisito ulteriori elementi a carico della persona sottoposta alle indagini, di chiedere l’archiviazione.
Il giudice aveva il potere di valutare la richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero in base agli ordinari criteri, ai sensi dell’articolo 408 del codice di procedura penale.
Tuttavia nell’ipotesi in cui il pubblico ministero non avesse osservato il suddetto obbligo, il sistema non prevedeva alcun rimedio, salvo un eventuale provvedimento disciplinare.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 121 del 24 aprile 2009, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma in esame.
Tale pronuncia ha osservato che, a prescindere dal giudizio sul fine avuto di mira dal legislatore del 2006 (evitare che il pubblico ministero esercitasse l’azione penale nei casi in cui essa fosse palesemente inutile), questo obiettivo è stato comunque perseguito con strumenti lesivi dei principi di uguaglianza e di obbligatorietà dell’azione penale (rispettivamente articoli 3 e 112 della Costituzione).
E’ stato leso, in primo luogo, il principio di uguaglianza in quanto sono state trattate in modo identico situazioni differenti.
Diverse sono infatti le regole di giudizio che, rispettivamente, legittimano l’esercizio dell’azione penale e presiedono alla cognizione cautelare.
Mentre la decisione sull’esercizio dell’azione penale si fonda su una valutazione di utilità del passaggio alla fase processuale (ai sensi dell’articolo 125 delle disposizioni attuative del codice di procedura il pubblico ministero chiede l’archiviazione per infondatezza della notizia di reato quando gli elementi acquisiti «non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio»), la regola di giudizio sulla cui base viene chiesta l’adozione di misure cautelari è diversa ed è rappresentata dalla valutazione circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Il primo è un giudizio dinamico, che viene effettuato al termine delle indagini ed è finalizzato a valutare l’effettiva utilità del dibattimento.
Il secondo è, al contrario, un giudizio statico, svolto sulla scorta delle indagini compiute fino a quel momento: si tratta di un giudizio prognostico di elevata probabilità di colpevolezza, basato sui soli elementi già acquisiti dal pubblico ministero ed essenzialmente funzionale agli scopi della misura, cioè alla soddisfazione delle esigenze cautelari allo stato degli atti e durante il procedimento.
Inoltre il criterio valido per il pubblico ministero nel momento in cui deve chiedere l’archiviazione ai sensi dell’articolo 405, comma 1-bis è diverso da quello che deve essere osservato dal giudice: tale ultimo criterio rimane infatti quello ordinario ex articolo 408.
In secondo luogo è stato ritenuto leso il principio di obbligatorietà dell’azione penale.
La Corte Costituzione ha infatti ritenuto inaccettabile che il dovere del pubblico ministero di esercitare l’azione penale potesse essere bloccato da una decisione quale quella emanata dalla Corte di Cassazione in materia cautelare: trattasi infatti di una decisione che si limita a valutare la correttezza della motivazione del provvedimento cautelare e che non ne può vagliare il merito.
Alla luce della pronuncia in oggetto, in conclusione, il pubblico ministero, ancorché non abbia acquisito ulteriori elementi a carico dell’indagato, potrà legittimamente esercitare l’azione penale (e dunque non richiedere l’archiviazione) anche qualora, in ambito cautelare, la Cassazione si sia pronunciata negativamente circa la sussistenza dei gravi indizi.
CORTE COSTITUZIONALE N. 121 DEL 24 APRILE 2009: DECLARATORIA DI ILLEGITTIMITA’ DEL COMMA 1-BIS DELL’ARTICOLO 405 DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE
La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 1-bis dell’art. 405 c.p.p.: il pubblico ministero, ancorché non abbia acquisito ulteriori elementi a carico dell’indagato, può non chiedere l’archiviazione ed esercitare legittimamente l’azione penale anche qualora, in ambito cautelare, la Cassazione si sia pronunciata negativamente circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Ai sensi del comma 1-bis dell’articolo 405 del codice di procedura penale, introdotto dalla legge n. 46 del 2006, il pubblico ministero, al termine delle indagini, doveva formulare richiesta di archiviazione qualora la Corte di Cassazione si fosse pronunciata in ordine all’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ai sensi dell’articolo 273 e non fossero stati acquisiti, successivamente, ulteriori elementi a carico dell’indagato.
Come sottolineato da autorevole dottrina (Tonini), era stato così posto in capo al pubblico ministero un vincolo legale, il quale mirava, nell’intenzione del legislatore del 2006, a correggere casi anomali nei quali l’indagato veniva sottoposto inutilmente al processo.
Qualora infatti, in seguito al vaglio della Cassazione, risultasse accertato che non esistevano i gravi indizi sui quali si fondava la misura cautelare, si imponeva al magistrato inquirente, che non avesse acquisito ulteriori elementi a carico della persona sottoposta alle indagini, di chiedere l’archiviazione.
Il giudice aveva il potere di valutare la richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero in base agli ordinari criteri, ai sensi dell’articolo 408 del codice di procedura penale.
Tuttavia nell’ipotesi in cui il pubblico ministero non avesse osservato il suddetto obbligo, il sistema non prevedeva alcun rimedio, salvo un eventuale provvedimento disciplinare.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 121 del 24 aprile 2009, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma in esame.
Tale pronuncia ha osservato che, a prescindere dal giudizio sul fine avuto di mira dal legislatore del 2006 (evitare che il pubblico ministero esercitasse l’azione penale nei casi in cui essa fosse palesemente inutile), questo obiettivo è stato comunque perseguito con strumenti lesivi dei principi di uguaglianza e di obbligatorietà dell’azione penale (rispettivamente articoli 3 e 112 della Costituzione).
E’ stato leso, in primo luogo, il principio di uguaglianza in quanto sono state trattate in modo identico situazioni differenti.
Diverse sono infatti le regole di giudizio che, rispettivamente, legittimano l’esercizio dell’azione penale e presiedono alla cognizione cautelare.
Mentre la decisione sull’esercizio dell’azione penale si fonda su una valutazione di utilità del passaggio alla fase processuale (ai sensi dell’articolo 125 delle disposizioni attuative del codice di procedura il pubblico ministero chiede l’archiviazione per infondatezza della notizia di reato quando gli elementi acquisiti «non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio»), la regola di giudizio sulla cui base viene chiesta l’adozione di misure cautelari è diversa ed è rappresentata dalla valutazione circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Il primo è un giudizio dinamico, che viene effettuato al termine delle indagini ed è finalizzato a valutare l’effettiva utilità del dibattimento.
Il secondo è, al contrario, un giudizio statico, svolto sulla scorta delle indagini compiute fino a quel momento: si tratta di un giudizio prognostico di elevata probabilità di colpevolezza, basato sui soli elementi già acquisiti dal pubblico ministero ed essenzialmente funzionale agli scopi della misura, cioè alla soddisfazione delle esigenze cautelari allo stato degli atti e durante il procedimento.
Inoltre il criterio valido per il pubblico ministero nel momento in cui deve chiedere l’archiviazione ai sensi dell’articolo 405, comma 1-bis è diverso da quello che deve essere osservato dal giudice: tale ultimo criterio rimane infatti quello ordinario ex articolo 408.
In secondo luogo è stato ritenuto leso il principio di obbligatorietà dell’azione penale.
La Corte Costituzione ha infatti ritenuto inaccettabile che il dovere del pubblico ministero di esercitare l’azione penale potesse essere bloccato da una decisione quale quella emanata dalla Corte di Cassazione in materia cautelare: trattasi infatti di una decisione che si limita a valutare la correttezza della motivazione del provvedimento cautelare e che non ne può vagliare il merito.
Alla luce della pronuncia in oggetto, in conclusione, il pubblico ministero, ancorché non abbia acquisito ulteriori elementi a carico dell’indagato, potrà legittimamente esercitare l’azione penale (e dunque non richiedere l’archiviazione) anche qualora, in ambito cautelare, la Cassazione si sia pronunciata negativamente circa la sussistenza dei gravi indizi.