Corte costituzionale, sentenza n.138 del 15.04.2010: no al matrimonio fra omosessuali ( sì ad altre forme regolamentate di convivenza omosessuale).
Il responso dato dalla Corte è stato negativo su tutti i fronti aperti dai rimettenti.
Negativo a causa della ravvisata ammissibilità delle prospettate censure di incostituzionalità, per contrasto con l’art. 2 Cost., delle norme di legge ordinaria che consentono il matrimonio fra soli individui di diverso sesso, laddove i remittenti avvano rilevato che tali norme negano agli omifili il diritto umano universalmente riconosciuto e tutelato di realizzare la loro personalità attraverso il matrimonio e nel matrimonio con persone dello stesso sesso.
Negativo anche sul fronte della fondatezza nel merito delle ulteriori censure portate contro quelle norme di legge sotto il profilo del contrasto con gli artt.3 e 29 Cost., avendo i remittenti individuato i termini di tale conflitto, per un verso, nel fatto che dette norme non riconoscono all’omosessuale una dignità pari all’eterosessuale per quanto riguarda la possibilità di realizzarsi attraverso il matrimonio (art. 3 Cost.) e, per altro verso, nel fatto che le stesse norme poggiano su una concezione precisa e determinata della famiglia e della relativa funzione sociale che, in realtà, l’art. 29 Cost. non cristallizza e non impone quale unico modello possibile di unione familiare.
Con riguardo alle ragioni della ravvisata inammissibilità delle eccezioni di costituzionalità incentrate sulla violazione dell’art. 2 Cost., esse vengono individuate nel fatto che un accoglimento di quelle eccezioni comporterebbe l’adozione, da parte del Giudice delle leggi, di una pronuncia a contenuto inammissibilmente innovativo del panorama legislativo, con conseguente usurpazione della funzione legiferante del Parlamento.
Difatti, spiega la Corte a questo proposito che, quando l’art.2 Cost. parla di diritti fondamentali dell’uomo nelle formazioni sociali, << per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico>> nozione in cui << è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri.>> ma dovendosi nel contempo << escludere che l’aspirazione a tale riconoscimento (...) possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio>>; sicché, << nell’ambito applicativo dell’art. 2 Cost., spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni. Può accadere, infatti, che, in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza.>>.
Il ragionamento della Corte, tuttavia, appare poco convincente.
Invero, se attualmente l’unico modello di unione affettiva che l’Ordinamento riconosce e disciplina è quello familiare e se - come riconosce la stessa Corte - l’art. 2 Cost. porta ad individuare un diritto inviolabile delle coppie omosessuali a realizzarsi all’interno di unioni regolamentate dall’Ordinamento, l’attuale assenza di previsione di un modello alternativo a quello familiare per le unioni fra omossessuali costituisce ex se un inammissibile vulnus, attuale e concreto, all’art. 2 Cost., vulnus che necessiterebbe di essere immediatamente riparato attraverso l’estensione alle coppie omosessuali dell’istituto matrimoniale, fatta salva la facoltà del Legislatore di stabilire eventuali profili di differente regolamentazione della famiglia omosessuale rispetto a quella eterosessuale .
Invece, la Corte inverte a pie’ pari i termini del problema, sostenendo che, fin quando il Legislatore non deciderà (semmai deciderà) di colmare detta lacuna, le coppie omosessuali non potranno realizzare quel diritto fondamentale, ricorrendo il Giudice delle leggi ad un ragionamento che potrebbe, tutt’ al più, essere condiviso nei soli casi - diversi da quello esaminato nella specie - in cui un diritto fondamentale ex art. 2 Cost. risulti privo di ogni disciplina giuridica e non possa essere realizzato dagli interessati senza la necessaria intermediazione di una normativa che di esso diritto determini e regoli le modalità di esplicazione.
Venendo, poi, alla giudicata infondatezza della questione relativa al contrasto con l’art. 3 e 29 Cost. della vigente legislazione matrimoniale, la Corte muove dalla considerazione che, volendo l’art. 29 riferirsi esclusivamente alla famiglia costituita fra persone di sesso diverso, << con riferimento all’art. 3 Cost., la censurata normativa del codice civile che contempla esclusivamente il matrimonio tra uomo e donna non può considerarsi illegittima sul piano costituzionale. Ciò, sia perché essa trova fondamento nel citato art. 29 Cost., sia perché la normativa medesima non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio.>>.
Anche qui la sentenza fa emergere un vis persuasiva debole.
La rilevata "non omogeneità al matrimonio delle coppie omosessuali" e la conseguente assenza di contrasto con l’art. 3 Cost. dell’odierno assetto legislativo della materia sono il precipitato di una discutibile premessa da cui la Corte muove nell’interpretare l’art. 29 Cost..
Il Giudice delle leggi, infatti, pur riconoscendo che << ....i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi >> , compie un inspiegabile "retro front" soggiungendo immediatamente dopo che << detta interpretazione, però, non può spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata. Infatti, come risulta dai citati lavori preparatori, la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea. I costituenti, elaborando l’art. 29 Cost., discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un’articolata disciplina nell’ordinamento civile. Pertanto, in assenza di diversi riferimenti, è inevitabile concludere che essi tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che, come sopra si è visto, stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso. In tal senso orienta anche il secondo comma della disposizione che, affermando il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale.>>.
La Corte, dunque, da un canto, ammette pienamente la possibilità di interpretare in senso evolutivo l’art. 29 Cost., riconoscendo che al modello di famiglia e di matrimonio avuto in mente dal Costituente del ’49 è possibile, oggi, affiancare altri modelli di tali realtà sulla base dell’evoluzione del sentire sociale; per altro verso, poi, la stessa Corte esclude, senza addurre alcuna congrua spiegazione al riguardo, che l’evoluzione dei costumi possa condurre anche a superare l’idea, storicamente caratterizzata, dei Padri costituenti secondo cui la famiglia ed il matrimonio presuppongono la diversità sessuale dei coniugi.
E’ proprio da questa curiosa ed immotivata eccezione ermeneutica che la sentenza addiviene a stabilire che, non essendovi omogeità fra l’istituto matrimoniale (pensato dal Costituente solo per le coppie eterosessuali) e le unioni omosessuali giuridicamente sancibili, la vigente normativa civilistica che esclude il matrimonio fra persone dello stesso sesso non è in contrasto nè con gli artt. 29 e 3 Cost.
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
- Giuseppe FRIGO “
- Alessandro CRISCUOLO “
- Paolo GROSSI “
ha pronunciato la seguente
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis e 156-bis del codice civile, promossi dal Tribunale di Venezia con ordinanza del 3 aprile 2009 e dalla Corte d’appello di Trento con ordinanza del 29 luglio 2009, iscritte ai nn. 177 e 248 del registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 26 e 41, prima serie speciale, dell’anno 2009.
Visti gli atti di costituzione di G. M. ed altro, di E. O. ed altri nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, dell’Associazione radicale Certi Diritti, e di C. M. ed altri (fuori termine);
udito nell’udienza pubblica del 23 marzo 2010 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;
uditi gli avvocati Alessandro Giadrossi per l’Associazione radicale Certi Diritti e per M. G. ed altro, Ileana Alesso e Massimo Clara per l’Associazione radicale Certi Diritti, per G. M. ed altro e per C. M. ed altri, Vittorio Angiolini, Vincenzo Zeno-Zencovich e Marilisa D’Amico per l’Associazione radicale Certi Diritti, per G. M. ed altro e per E. O. ed altri e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.— Il Tribunale di Venezia in composizione collegiale, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 29 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis del codice civile, «nella parte in cui, sistematicamente interpretati, non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso».
Il giudice a quo premette di essere chiamato a pronunciare in un giudizio promosso dai signori G. M. ed S. G., entrambi di sesso maschile, in opposizione, ai sensi dell’art. 98 di detto codice, avverso l’atto del 3 luglio 2008, col quale l’ufficiale di stato civile del Comune di Venezia ha rifiutato di procedere alla pubblicazione di matrimonio dagli stessi richiesta.
Il funzionario, infatti, ha ritenuto illegittima la pubblicazione, perché in contrasto con la normativa vigente, costituzionale e ordinaria, in quanto l’istituto del matrimonio nell’ordinamento giuridico italiano «è inequivocabilmente incentrato sulla diversità di sesso dei coniugi», come dovrebbe desumersi dall’insieme delle disposizioni che disciplinano l’istituto medesimo, del quale tale diversità «costituisce presupposto indispensabile, requisito fondamentale, a tal punto che l’ipotesi contraria, relativa a persone dello stesso sesso, è giuridicamente inesistente e certamente estranea alla definizione del matrimonio, almeno secondo l’insieme delle normative tuttora vigenti», anche secondo l’orientamento della giurisprudenza. L’atto oggetto dell’opposizione cita anche un parere del Ministero dell’interno, in data 28 luglio 2004, nel quale si legge che «in merito alla possibilità di trascrivere un atto di matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso, si precisa che in Italia tale atto non è trascrivibile in quanto nel nostro ordinamento non è previsto il matrimonio tra soggetti dello stesso sesso in quanto contrario all’ordine pubblico»; affermazione ribadita con circolare dello stesso Ministero in data 18 ottobre 2007.
Il Tribunale veneziano richiama gli argomenti svolti dai ricorrenti, i quali hanno rilevato che nel nostro ordinamento non esisterebbe una nozione di matrimonio, né un divieto espresso di matrimonio tra persone dello stesso sesso. Inoltre, i citati atti del Ministero dell’interno si riferirebbero all’ordine pubblico internazionale e non a quello pubblico interno e, comunque, sarebbero contrari alla Costituzione e alla Carta di Nizza, sicché andrebbero disapplicati. In ogni caso, l’interpretazione letterale delle norme del codice civile, posta a fondamento del diniego delle pubblicazioni, sarebbe in contrasto con la Costituzione italiana ed, in particolare, con gli artt. 2, 3, 10, secondo comma, 13 e 29 di questa.
Il rimettente prosegue osservando che, sulla base di tali argomenti, gli istanti hanno chiesto al Tribunale, in via principale, di ordinare all’ufficiale di stato civile del Comune di Venezia di procedere alla pubblicazione del matrimonio; in via subordinata, di sollevare questione di legittimità costituzionale degli artt. 107, 108, 143, 143-bis e 156-bis cod. civ., in riferimento agli artt. 2, 3, 10, secondo comma, 13 e 29 Cost.
Tanto premesso, il Tribunale di Venezia rileva che, nell’ordinamento vigente, il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è né previsto né vietato espressamente. È certo, tuttavia, che sia il legislatore del 1942, sia quello riformatore del 1975 non si sono posti la questione del matrimonio omosessuale, all’epoca ancora non dibattuta, almeno in Italia.
Peraltro, «pur non esistendo una norma definitoria espressa, l’istituto del matrimonio, così come previsto nell’attuale ordinamento italiano, si riferisce indiscutibilmente solo al matrimonio tra persone di sesso diverso. Se è vero che il codice civile non indica espressamente la differenza di sesso tra i requisiti per contrarre matrimonio, diverse sue norme, fra cui quelle menzionate nel ricorso e sospettate d’incostituzionalità, si riferiscono al marito e alla moglie come “attori” della celebrazione (artt. 107 e 108), protagonisti del rapporto coniugale (artt. 143 e ss.) e autori della generazione (artt. 231 e ss.)».
Ad avviso del Tribunale, proprio per il chiaro tenore delle norme indicate non è possibile, allo stato delle disposizioni vigenti, operare un’estensione dell’istituto del matrimonio anche a persone dello stesso sesso. Si tratterebbe di una forzatura non consentita ai giudici (diversi da quello costituzionale), «a fronte di una consolidata e ultramillenaria nozione di matrimonio come unione di un uomo e di una donna».
D’altra parte, prosegue il rimettente, «non si può ignorare il rapido trasformarsi della società e dei costumi avvenuto negli ultimi decenni, nel corso dei quali si è assistito al superamento del monopolio detenuto dal modello di famiglia
Il responso dato dalla Corte è stato negativo su tutti i fronti aperti dai rimettenti.
Negativo a causa della ravvisata ammissibilità delle prospettate censure di incostituzionalità, per contrasto con l’art. 2 Cost., delle norme di legge ordinaria che consentono il matrimonio fra soli individui di diverso sesso, laddove i remittenti avvano rilevato che tali norme negano agli omifili il diritto umano universalmente riconosciuto e tutelato di realizzare la loro personalità attraverso il matrimonio e nel matrimonio con persone dello stesso sesso.
Negativo anche sul fronte della fondatezza nel merito delle ulteriori censure portate contro quelle norme di legge sotto il profilo del contrasto con gli artt.3 e 29 Cost., avendo i remittenti individuato i termini di tale conflitto, per un verso, nel fatto che dette norme non riconoscono all’omosessuale una dignità pari all’eterosessuale per quanto riguarda la possibilità di realizzarsi attraverso il matrimonio (art. 3 Cost.) e, per altro verso, nel fatto che le stesse norme poggiano su una concezione precisa e determinata della famiglia e della relativa funzione sociale che, in realtà, l’art. 29 Cost. non cristallizza e non impone quale unico modello possibile di unione familiare.
Con riguardo alle ragioni della ravvisata inammissibilità delle eccezioni di costituzionalità incentrate sulla violazione dell’art. 2 Cost., esse vengono individuate nel fatto che un accoglimento di quelle eccezioni comporterebbe l’adozione, da parte del Giudice delle leggi, di una pronuncia a contenuto inammissibilmente innovativo del panorama legislativo, con conseguente usurpazione della funzione legiferante del Parlamento.
Difatti, spiega la Corte a questo proposito che, quando l’art.2 Cost. parla di diritti fondamentali dell’uomo nelle formazioni sociali, << per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico>> nozione in cui << è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri.>> ma dovendosi nel contempo << escludere che l’aspirazione a tale riconoscimento (...) possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio>>; sicché, << nell’ambito applicativo dell’art. 2 Cost., spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni. Può accadere, infatti, che, in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza.>>.
Il ragionamento della Corte, tuttavia, appare poco convincente.
Invero, se attualmente l’unico modello di unione affettiva che l’Ordinamento riconosce e disciplina è quello familiare e se - come riconosce la stessa Corte - l’art. 2 Cost. porta ad individuare un diritto inviolabile delle coppie omosessuali a realizzarsi all’interno di unioni regolamentate dall’Ordinamento, l’attuale assenza di previsione di un modello alternativo a quello familiare per le unioni fra omossessuali costituisce ex se un inammissibile vulnus, attuale e concreto, all’art. 2 Cost., vulnus che necessiterebbe di essere immediatamente riparato attraverso l’estensione alle coppie omosessuali dell’istituto matrimoniale, fatta salva la facoltà del Legislatore di stabilire eventuali profili di differente regolamentazione della famiglia omosessuale rispetto a quella eterosessuale .
Invece, la Corte inverte a pie’ pari i termini del problema, sostenendo che, fin quando il Legislatore non deciderà (semmai deciderà) di colmare detta lacuna, le coppie omosessuali non potranno realizzare quel diritto fondamentale, ricorrendo il Giudice delle leggi ad un ragionamento che potrebbe, tutt’ al più, essere condiviso nei soli casi - diversi da quello esaminato nella specie - in cui un diritto fondamentale ex art. 2 Cost. risulti privo di ogni disciplina giuridica e non possa essere realizzato dagli interessati senza la necessaria intermediazione di una normativa che di esso diritto determini e regoli le modalità di esplicazione.
Venendo, poi, alla giudicata infondatezza della questione relativa al contrasto con l’art. 3 e 29 Cost. della vigente legislazione matrimoniale, la Corte muove dalla considerazione che, volendo l’art. 29 riferirsi esclusivamente alla famiglia costituita fra persone di sesso diverso, << con riferimento all’art. 3 Cost., la censurata normativa del codice civile che contempla esclusivamente il matrimonio tra uomo e donna non può considerarsi illegittima sul piano costituzionale. Ciò, sia perché essa trova fondamento nel citato art. 29 Cost., sia perché la normativa medesima non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio.>>.
Anche qui la sentenza fa emergere un vis persuasiva debole.
La rilevata "non omogeneità al matrimonio delle coppie omosessuali" e la conseguente assenza di contrasto con l’art. 3 Cost. dell’odierno assetto legislativo della materia sono il precipitato di una discutibile premessa da cui la Corte muove nell’interpretare l’art. 29 Cost..
Il Giudice delle leggi, infatti, pur riconoscendo che << ....i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi >> , compie un inspiegabile "retro front" soggiungendo immediatamente dopo che << detta interpretazione, però, non può spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata. Infatti, come risulta dai citati lavori preparatori, la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea. I costituenti, elaborando l’art. 29 Cost., discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un’articolata disciplina nell’ordinamento civile. Pertanto, in assenza di diversi riferimenti, è inevitabile concludere che essi tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che, come sopra si è visto, stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso. In tal senso orienta anche il secondo comma della disposizione che, affermando il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale.>>.
La Corte, dunque, da un canto, ammette pienamente la possibilità di interpretare in senso evolutivo l’art. 29 Cost., riconoscendo che al modello di famiglia e di matrimonio avuto in mente dal Costituente del ’49 è possibile, oggi, affiancare altri modelli di tali realtà sulla base dell’evoluzione del sentire sociale; per altro verso, poi, la stessa Corte esclude, senza addurre alcuna congrua spiegazione al riguardo, che l’evoluzione dei costumi possa condurre anche a superare l’idea, storicamente caratterizzata, dei Padri costituenti secondo cui la famiglia ed il matrimonio presuppongono la diversità sessuale dei coniugi.
E’ proprio da questa curiosa ed immotivata eccezione ermeneutica che la sentenza addiviene a stabilire che, non essendovi omogeità fra l’istituto matrimoniale (pensato dal Costituente solo per le coppie eterosessuali) e le unioni omosessuali giuridicamente sancibili, la vigente normativa civilistica che esclude il matrimonio fra persone dello stesso sesso non è in contrasto nè con gli artt. 29 e 3 Cost.
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
- Giuseppe FRIGO “
- Alessandro CRISCUOLO “
- Paolo GROSSI “
ha pronunciato la seguente
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis e 156-bis del codice civile, promossi dal Tribunale di Venezia con ordinanza del 3 aprile 2009 e dalla Corte d’appello di Trento con ordinanza del 29 luglio 2009, iscritte ai nn. 177 e 248 del registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 26 e 41, prima serie speciale, dell’anno 2009.
Visti gli atti di costituzione di G. M. ed altro, di E. O. ed altri nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, dell’Associazione radicale Certi Diritti, e di C. M. ed altri (fuori termine);
udito nell’udienza pubblica del 23 marzo 2010 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;
uditi gli avvocati Alessandro Giadrossi per l’Associazione radicale Certi Diritti e per M. G. ed altro, Ileana Alesso e Massimo Clara per l’Associazione radicale Certi Diritti, per G. M. ed altro e per C. M. ed altri, Vittorio Angiolini, Vincenzo Zeno-Zencovich e Marilisa D’Amico per l’Associazione radicale Certi Diritti, per G. M. ed altro e per E. O. ed altri e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.— Il Tribunale di Venezia in composizione collegiale, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 29 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis del codice civile, «nella parte in cui, sistematicamente interpretati, non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso».
Il giudice a quo premette di essere chiamato a pronunciare in un giudizio promosso dai signori G. M. ed S. G., entrambi di sesso maschile, in opposizione, ai sensi dell’art. 98 di detto codice, avverso l’atto del 3 luglio 2008, col quale l’ufficiale di stato civile del Comune di Venezia ha rifiutato di procedere alla pubblicazione di matrimonio dagli stessi richiesta.
Il funzionario, infatti, ha ritenuto illegittima la pubblicazione, perché in contrasto con la normativa vigente, costituzionale e ordinaria, in quanto l’istituto del matrimonio nell’ordinamento giuridico italiano «è inequivocabilmente incentrato sulla diversità di sesso dei coniugi», come dovrebbe desumersi dall’insieme delle disposizioni che disciplinano l’istituto medesimo, del quale tale diversità «costituisce presupposto indispensabile, requisito fondamentale, a tal punto che l’ipotesi contraria, relativa a persone dello stesso sesso, è giuridicamente inesistente e certamente estranea alla definizione del matrimonio, almeno secondo l’insieme delle normative tuttora vigenti», anche secondo l’orientamento della giurisprudenza. L’atto oggetto dell’opposizione cita anche un parere del Ministero dell’interno, in data 28 luglio 2004, nel quale si legge che «in merito alla possibilità di trascrivere un atto di matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso, si precisa che in Italia tale atto non è trascrivibile in quanto nel nostro ordinamento non è previsto il matrimonio tra soggetti dello stesso sesso in quanto contrario all’ordine pubblico»; affermazione ribadita con circolare dello stesso Ministero in data 18 ottobre 2007.
Il Tribunale veneziano richiama gli argomenti svolti dai ricorrenti, i quali hanno rilevato che nel nostro ordinamento non esisterebbe una nozione di matrimonio, né un divieto espresso di matrimonio tra persone dello stesso sesso. Inoltre, i citati atti del Ministero dell’interno si riferirebbero all’ordine pubblico internazionale e non a quello pubblico interno e, comunque, sarebbero contrari alla Costituzione e alla Carta di Nizza, sicché andrebbero disapplicati. In ogni caso, l’interpretazione letterale delle norme del codice civile, posta a fondamento del diniego delle pubblicazioni, sarebbe in contrasto con la Costituzione italiana ed, in particolare, con gli artt. 2, 3, 10, secondo comma, 13 e 29 di questa.
Il rimettente prosegue osservando che, sulla base di tali argomenti, gli istanti hanno chiesto al Tribunale, in via principale, di ordinare all’ufficiale di stato civile del Comune di Venezia di procedere alla pubblicazione del matrimonio; in via subordinata, di sollevare questione di legittimità costituzionale degli artt. 107, 108, 143, 143-bis e 156-bis cod. civ., in riferimento agli artt. 2, 3, 10, secondo comma, 13 e 29 Cost.
Tanto premesso, il Tribunale di Venezia rileva che, nell’ordinamento vigente, il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è né previsto né vietato espressamente. È certo, tuttavia, che sia il legislatore del 1942, sia quello riformatore del 1975 non si sono posti la questione del matrimonio omosessuale, all’epoca ancora non dibattuta, almeno in Italia.
Peraltro, «pur non esistendo una norma definitoria espressa, l’istituto del matrimonio, così come previsto nell’attuale ordinamento italiano, si riferisce indiscutibilmente solo al matrimonio tra persone di sesso diverso. Se è vero che il codice civile non indica espressamente la differenza di sesso tra i requisiti per contrarre matrimonio, diverse sue norme, fra cui quelle menzionate nel ricorso e sospettate d’incostituzionalità, si riferiscono al marito e alla moglie come “attori” della celebrazione (artt. 107 e 108), protagonisti del rapporto coniugale (artt. 143 e ss.) e autori della generazione (artt. 231 e ss.)».
Ad avviso del Tribunale, proprio per il chiaro tenore delle norme indicate non è possibile, allo stato delle disposizioni vigenti, operare un’estensione dell’istituto del matrimonio anche a persone dello stesso sesso. Si tratterebbe di una forzatura non consentita ai giudici (diversi da quello costituzionale), «a fronte di una consolidata e ultramillenaria nozione di matrimonio come unione di un uomo e di una donna».
D’altra parte, prosegue il rimettente, «non si può ignorare il rapido trasformarsi della società e dei costumi avvenuto negli ultimi decenni, nel corso dei quali si è assistito al superamento del monopolio detenuto dal modello di famiglia