Corte d’Appello: risarcimento per divulgazione di messaggi inviati ad una mailing list
Lo ha stabilito la Corte d’Appello di Milano, confermando la pronuncia di primo grado del Tribunale di Milano che ha condannato una casa editrice, il direttore di un quotidiano e l’autore dell’articolo.
La causa traeva origine dalla richiesta di risarcimento danni promossa da un magistrato con funzioni di Presidente di Corte d’assise che lamentava la pubblicazione su un quotidiano di stralci dei messaggi di posta elettronica scambiati dai componenti di una mailing list, insieme ai nomi dei magistrati autori di alcuni di detti messaggi, con dettagli della loro attività.
I messaggi di posta elettronica inviati alla mailing list sono caratterizzati per avere una “pluralità di destinatari che non comporta, però, l’indeterminatezza degli stessi, in quanto il messaggio, grazie alla rete informatica, viene inoltrato contestualmente a più soggetti, i quali sono esattamente individuati negli aderenti alla mailing list medesima”, in ciò distinguendosi dai sistemi di comunicazione a circuito aperto, come possono essere le chat multiple ed i newsgroup.
La Corte d’Appello fa propri tali argomentazioni del Tribunale e conviene che “il mittente del messaggio può conoscere il nome degli utenti iscritti e, dunque, dei destinatari” e che i messaggi costituiscono, quindi, “corrispondenza epistolare privata”.
I reati di cui agli articoli 616 e 618 Codice Penale non sarebbero stati contestati nel caso in cui l’autore dell’articolo si fosse limitato alla presa di conoscenza dei messaggi di posta in questione, mentre di questi ultimi era stata data divulgazione mediante pubblicazione su un quotidiano a tiratura nazionale, con precisazioni in ordine ai mittenti.
Infatti “non risulta sufficiente il consenso di uno dei destinatari per la divulgazione dei messaggi inviati, sembrando prevalente il diritto alla riservatezza dell’autore riconosciuto e tutelato dalle fonti normative sopra citate”.
Ulteriore motivo di contestazione riguarda la pubblicazione dei dati personali (nome, cognome, professione, ufficio, sede dell’attività professionale) dei mittenti dei messaggi in questione.
A nulla valgono, per la Corte, le esimenti di cui al Decreto Legislativo 196/2003, che consente il trattamento dei dati personali nell’esercizio della professione giornalistica per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità, perché tale esimente opera comunque “nei limiti del diritto di cronaca e nel rispetto del codice di deontologia giornalistica”.
In particolare, la Corte non ha riconosciuto nella pubblicazione delle generalità del mittente dei messaggi riportati né l’interesse pubblico, né l’utilità sociale e nemmeno la proporzionalità tra l’esercizio del diritto di cronaca e la compressione del diritto alla riservatezza.
Se, infine, “il comportamento dei destinatari del messaggio inviato attraverso la mailing list, che comunicano all’esterno il testo, non è disciplinato direttamente dalla L. n. 675/1996 [sulla protezione dei dati personali], né incontra uno specifico divieto normativo”, tuttavia “le predette disposizioni trovano applicazione, invece, quando coloro che vengono a conoscenza di dati personali riconducibili a una corrispondenza, per fini personali, diffondano a persone indeterminate o in modo sistematico”.
La Corte ha pertanto confermato la condanna al risarcimento dei danni liquidati in via equitativa nella misura di euro 15.000: “provata essendo la violazione del diritto alla riservatezza per l’illecita diffusione di corrispondenza privata e per l’illecito trattamento dei dati personali e, dunque, la lesione di diritti costituzionalmente tutelati, il danno è in re ipsa perché si realizza una perdita analoga a quella indicata dall’art. 1223 c.c. costituita dalla diminuzione o dalla privazione di un valore della persona umana alla quale il risarcimento deve essere commisurato”.
(Corte Appello di Milano - Sezione Seconda Civile, Sentenza 10 novembre 2010, n. 3340)
Lo ha stabilito la Corte d’Appello di Milano, confermando la pronuncia di primo grado del Tribunale di Milano che ha condannato una casa editrice, il direttore di un quotidiano e l’autore dell’articolo.
La causa traeva origine dalla richiesta di risarcimento danni promossa da un magistrato con funzioni di Presidente di Corte d’assise che lamentava la pubblicazione su un quotidiano di stralci dei messaggi di posta elettronica scambiati dai componenti di una mailing list, insieme ai nomi dei magistrati autori di alcuni di detti messaggi, con dettagli della loro attività.
I messaggi di posta elettronica inviati alla mailing list sono caratterizzati per avere una “pluralità di destinatari che non comporta, però, l’indeterminatezza degli stessi, in quanto il messaggio, grazie alla rete informatica, viene inoltrato contestualmente a più soggetti, i quali sono esattamente individuati negli aderenti alla mailing list medesima”, in ciò distinguendosi dai sistemi di comunicazione a circuito aperto, come possono essere le chat multiple ed i newsgroup.
La Corte d’Appello fa propri tali argomentazioni del Tribunale e conviene che “il mittente del messaggio può conoscere il nome degli utenti iscritti e, dunque, dei destinatari” e che i messaggi costituiscono, quindi, “corrispondenza epistolare privata”.
I reati di cui agli articoli 616 e 618 Codice Penale non sarebbero stati contestati nel caso in cui l’autore dell’articolo si fosse limitato alla presa di conoscenza dei messaggi di posta in questione, mentre di questi ultimi era stata data divulgazione mediante pubblicazione su un quotidiano a tiratura nazionale, con precisazioni in ordine ai mittenti.
Infatti “non risulta sufficiente il consenso di uno dei destinatari per la divulgazione dei messaggi inviati, sembrando prevalente il diritto alla riservatezza dell’autore riconosciuto e tutelato dalle fonti normative sopra citate”.
Ulteriore motivo di contestazione riguarda la pubblicazione dei dati personali (nome, cognome, professione, ufficio, sede dell’attività professionale) dei mittenti dei messaggi in questione.
A nulla valgono, per la Corte, le esimenti di cui al Decreto Legislativo 196/2003, che consente il trattamento dei dati personali nell’esercizio della professione giornalistica per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità, perché tale esimente opera comunque “nei limiti del diritto di cronaca e nel rispetto del codice di deontologia giornalistica”.
In particolare, la Corte non ha riconosciuto nella pubblicazione delle generalità del mittente dei messaggi riportati né l’interesse pubblico, né l’utilità sociale e nemmeno la proporzionalità tra l’esercizio del diritto di cronaca e la compressione del diritto alla riservatezza.
Se, infine, “il comportamento dei destinatari del messaggio inviato attraverso la mailing list, che comunicano all’esterno il testo, non è disciplinato direttamente dalla L. n. 675/1996 [sulla protezione dei dati personali], né incontra uno specifico divieto normativo”, tuttavia “le predette disposizioni trovano applicazione, invece, quando coloro che vengono a conoscenza di dati personali riconducibili a una corrispondenza, per fini personali, diffondano a persone indeterminate o in modo sistematico”.
La Corte ha pertanto confermato la condanna al risarcimento dei danni liquidati in via equitativa nella misura di euro 15.000: “provata essendo la violazione del diritto alla riservatezza per l’illecita diffusione di corrispondenza privata e per l’illecito trattamento dei dati personali e, dunque, la lesione di diritti costituzionalmente tutelati, il danno è in re ipsa perché si realizza una perdita analoga a quella indicata dall’art. 1223 c.c. costituita dalla diminuzione o dalla privazione di un valore della persona umana alla quale il risarcimento deve essere commisurato”.
(Corte Appello di Milano - Sezione Seconda Civile, Sentenza 10 novembre 2010, n. 3340)