Corte di Giustizia UE: limiti ai motori di ricerca su internet
Nei procedimenti riuniti da C‑236/08 a C‑238/08,
aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla Cour de cassation (Francia) con decisioni 20 maggio 2008, pervenute in cancelleria il 3 giugno 2008, nelle cause
Google France SARL,
Google Inc.
contro
Louis Vuitton Malletier SA (C‑236/08),
e
Google France SARL
contro
Viaticum SA,
Luteciel SARL (C‑237/08),
e
Google France SARL
contro
Centre national de recherche en relations humaines (CNRRH) SARL,
Pierre-Alexis Thonet,
Bruno Raboin,
Tiger SARL (C‑238/08),
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts e E. Levits, presidenti di sezione, dai sigg. C.W.A. Timmermans, A. Rosas, A. Borg Barthet, M. Ilešič (relatore), J. Malenovský, U. Lõhmus, A. Ó Caoimh e J.‑J. Kasel, giudici,
avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro
cancelliere: sig. H. von Holstein, cancelliere aggiunto
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 marzo 2009,
considerate le osservazioni presentate:
– per la Google France SARL e la Google Inc., dagli avv.ti A. Néri e S. Proust, avocats, nonché dal sig. G. Hobbs, QC;
– per la Louis Vuitton Malletier SA, dall’avv. P. De Candé, avocat;
– per la Viaticum SA e la Luteciel SARL, dall’avv. C. Fabre, avocat;
– per il Centre national de recherche en relations humaines (CNRRH) SARL e il sig. Thonet, dagli avv.ti L. Boré e P. Buisson, avocats;
– per la Tiger SARL, dall’avv. O. de Nervo, avocat;
– per il governo francese, dai sigg. G. de Bergues e B. Cabouat, in qualità di agenti;
– per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. H. Krämer, in qualità di agente,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 22 settembre 2009,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione dell’art. 5, nn. 1 e 2, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), dell’art. 9, n. 1, del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), e dell’art. 14 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico») (GU L 178, pag. 1).
2 Tali domande sono state presentate nell’ambito di controversie che vedono contrapposte, nella causa C‑236/08, le società Google France SARL e Google Inc. (in prosieguo, singolarmente o congiuntamente: la «Google») alla società Louis Vuitton Malletier SA (in prosieguo: la «Vuitton») e, nelle cause C‑237/08 e C‑238/08, la Google alle società Viaticum SA (in prosieguo: la «Viaticum»), Luteciel SARL (in prosieguo: la «Luteciel»), Centre national de recherche en relations humaines (CNRRH) SARL (in prosieguo: il «CNRRH») e Tiger SARL (in prosieguo: la «Tiger»), nonché a due privati, i sigg. Thonet e Raboin, in ordine alla visualizzazione su Internet di link pubblicitari a partire da parole chiave corrispondenti a marchi di impresa.
I – Contesto normativo
A – La direttiva 89/104
3 L’art. 5 della direttiva 89/104, rubricato «Diritti conferiti dal marchio di impresa», dispone quanto segue:
«1. Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. II titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:
a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;
b) un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa.
2. Uno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi.
3. Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte:
a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;
b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;
c) di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;
d) di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.
(…)».
4 L’art. 6 della direttiva 89/104, rubricato «Limitazione degli effetti del marchio di impresa», dispone quanto segue:
«1. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio:
a) del loro nome e indirizzo;
b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio;
c) del marchio di impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio,
purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.
(…)».
5 L’art. 7 della direttiva 89/104, rubricato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio di impresa», nella sua versione iniziale, così recitava:
«1. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare l’uso del marchio di impresa per prodotti immessi in commercio nella Comunità con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.
2. Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».
6 In conformità all’art. 65, n. 2, dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3), in combinato disposto con l’allegato XVII, punto 4, di tale Accordo, l’art. 7, n. 1, della direttiva 89/104, nella sua versione iniziale, è stato modificato ai fini di detto Accordo, cosicché l’espressione «nella Comunità» è stata sostituita dai termini «in una Parte contraente».
7 La direttiva 89/104 è stata abrogata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 ottobre 2008, 2008/95/CE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (versione codificata) (GU L 299, pag. 25), entrata in vigore il 28 novembre 2008. Ciò nondimeno, tenuto conto della data cui risalgono i fatti, alle cause principali resta applicabile la direttiva 89/104.
B – Il regolamento n. 40/94
8 L’art. 9 del regolamento n. 40/94, rubricato «Diritti conferiti dal marchio comunitario», dispone quanto segue:
«1. Il marchio comunitario conferisce al suo titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare in commercio:
a) un segno identico al marchio comunitario per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;
b) un segno che a motivo della sua identità o somiglianza col marchio comunitario e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio comunitario e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra il segno e il marchio;
c) un segno identico o simile al marchio comunitario per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali questo è stato registrato, se il marchio comunitario gode di notorietà nella Comunità e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio comunitario o reca pregiudizio agli stessi.
2. Possono essere in particolare vietati, a norma del paragrafo 1:
a) l’apposizione del segno sui prodotti o sul loro confezionamento;
b) l’offerta, l’immissione in commercio o lo stoccaggio dei prodotti a tali scopi oppure l’offerta o la fornitura di servizi sotto la copertura del segno;
c) l’importazione o l’esportazione dei prodotti sotto la copertura del segno;
d) l’uso del segno nella corrispondenza commerciale o nella pubblicità.
(…)».
9 L’art. 12 del regolamento n. 40/94, rubricato «Limitazione degli effetti del marchio comunitario», dispone quanto segue:
«Il diritto conferito dal marchio comunitario non consente al titolare di impedire ai terzi l’uso in commercio:
a) del loro nome o indirizzo;
b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o servizio;
c) del marchio, se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o di un servizio, in particolare accessori o pezzi di ricambio;
purché questo uso sia conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale o commerciale».
10 L’art. 13 del medesimo regolamento, rubricato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio comunitario», così recita:
«1. Il diritto conferito dal marchio comunitario non permette al titolare di impedirne l’uso per prodotti immessi in commercio nella Comunità con tale marchio dal titolare stesso [o] con il suo consenso.
2. Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga alla successiva immissione in commercio dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».
11 Il regolamento n. 40/94 è stato abrogato dal regolamento (CE) del Consiglio 26 febbraio 2009, n. 207, sul marchio comunitario (versione codificata) (GU L 78, pag. 1), entrato in vigore il 13 aprile 2009. Ciò nondimeno, tenuto conto della data cui risalgono i fatti, alle cause principali resta applicabile il regolamento n. 40/94.
C – La direttiva 2000/31
12 Il ventinovesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/31 così recita:
«Le comunicazioni commerciali sono essenziali per il finanziamento dei servizi della società dell’informazione e per lo sviluppo di un’ampia gamma di nuovi servizi gratuiti. Nell’interesse dei consumatori e della correttezza delle operazioni, le comunicazioni commerciali (…) devono ottemperare a numerosi obblighi di trasparenza. (…)».
13 I ‘considerando’ dal quarantesimo al quarantaseiesimo della direttiva 2000/31 recitano quanto segue:
«(40) Le attuali o emergenti divergenze tra le normative e le giurisprudenze nazionali, nel campo della responsabilità dei prestatori di servizi che agiscono come intermediari, impediscono il buon funzionamento del mercato interno, soprattutto ostacolando lo sviluppo dei servizi transnazionali (…). In taluni casi, i prestatori di servizi hanno il dovere di agire per evitare o per porre fine alle attività illegali. La presente direttiva dovrebbe costituire la base adeguata per elaborare sistemi rapidi e affidabili idonei a rimuovere le informazioni illecite e disabilitare l’accesso alle medesime. (…)
(41) La direttiva rappresenta un equilibrio tra i vari interessi in gioco e istituisce principi su cui possono essere basati gli accordi e gli standard delle imprese del settore.
(42) Le deroghe alla responsabilità stabilita nella presente direttiva riguardano esclusivamente il caso in cui l’attività di prestatore di servizi della società dell’informazione si limiti al processo tecnico di attivare e fornire accesso ad una rete di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a disposizione da terzi al solo scopo di rendere più efficiente la trasmissione. Siffatta attività è di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, il che implica che il prestatore di servizi della società dell’informazione non conosce né controlla le informazioni trasmesse o memorizzate.
(43) Un prestatore può beneficiare delle deroghe previste per il semplice trasporto (“mere conduit”) e per la memorizzazione temporanea detta “caching” se non è in alcun modo coinvolto nell’informazione trasmessa. (…)
(44) Il prestatore che deliberatamente collabori con un destinatario del suo servizio al fine di commettere atti illeciti non si limita alle attività di semplice trasporto (“mere conduit”) e di “caching” e non può pertanto beneficiare delle deroghe in materia di responsabilità previste per tali attività.
(45) Le limitazioni alla responsabilità dei prestatori intermedi previste nella presente direttiva lasciano impregiudicata la possibilità di azioni inibitorie di altro tipo. (…)
(46) Per godere di una limitazione della responsabilità, il prestatore di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni deve agire immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitare l’accesso alle medesime non appena sia informato o si renda conto delle attività illecite. (…)».
14 L’art. 2, lett. a), della direttiva 2000/31 definisce i «servizi della società dell’informazione» mediante richiamo all’art. 1, n. 2, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 1998, 98/34/CE, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione (GU L 204, pag. 37), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 luglio 1998, 98/48/CE, (GU L 217, pag. 18), e quindi come:
«qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi».
15 L’art. 1, n. 2, della direttiva 98/34, nella sua versione modificata con direttiva 98/48, dispone inoltre quanto segue:
«(…)
Ai fini della presente definizione si intende:
– “a distanza”: un servizio fornito senza la presenza simultanea delle parti;
– “per via elettronica”: un servizio inviato all’origine e ricevuto a destinazione mediante attrezzature elettroniche di trattamento (…) e di memorizzazione di dati, e che è interamente trasmesso, inoltrato e ricevuto mediante fili, radio, mezzi ottici od altri mezzi elettromagnetici;
– “a richiesta individuale di un destinatario di servizi”: un servizio fornito mediante trasmissione di dati su richiesta individuale.
(…)».
16 L’art. 6 della direttiva 2000/31 è del seguente tenore:
«Oltre agli altri obblighi di informazione posti dal diritto comunitario, gli Stati membri provvedono affinché le comunicazioni commerciali che costituiscono un servizio della società dell’informazione (…) rispettino le seguenti condizioni minime:
(…)
b) la persona fisica o giuridica per conto della quale viene effettuata la comunicazione commerciale è chiaramente identificabile;
(…)».
17 Nel capo II della direttiva 2000/31 è contenuta la sezione 4, recante l’intestazione «Responsabilità dei prestatori intermediari», la quale comprende gli artt. 12‑15.
18 L’art. 12 della direttiva 2000/31, rubricato «Semplice trasporto (“mere conduit”)», dispone quanto segue:
«1. Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, o nel fornire un accesso alla rete di comunicazione, il prestatore non sia responsabile delle informazioni trasmesse a condizione che egli:
a) non dia origine alla trasmissione;
b) non selezioni il destinatario della trasmissione; e
c) non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse.
2. Le attività di trasmissione e di fornitura di accesso di cui al paragrafo 1 includono la memorizzazione automatica, intermedia e transitoria delle informazioni trasmesse, a condizione che questa serva solo alla trasmissione sulla rete di comunicazione e che la sua durata non ecceda il tempo ragionevolme
Nei procedimenti riuniti da C‑236/08 a C‑238/08,
aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla Cour de cassation (Francia) con decisioni 20 maggio 2008, pervenute in cancelleria il 3 giugno 2008, nelle cause
Google France SARL,
Google Inc.
contro
Louis Vuitton Malletier SA (C‑236/08),
e
Google France SARL
contro
Viaticum SA,
Luteciel SARL (C‑237/08),
e
Google France SARL
contro
Centre national de recherche en relations humaines (CNRRH) SARL,
Pierre-Alexis Thonet,
Bruno Raboin,
Tiger SARL (C‑238/08),
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts e E. Levits, presidenti di sezione, dai sigg. C.W.A. Timmermans, A. Rosas, A. Borg Barthet, M. Ilešič (relatore), J. Malenovský, U. Lõhmus, A. Ó Caoimh e J.‑J. Kasel, giudici,
avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro
cancelliere: sig. H. von Holstein, cancelliere aggiunto
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 marzo 2009,
considerate le osservazioni presentate:
– per la Google France SARL e la Google Inc., dagli avv.ti A. Néri e S. Proust, avocats, nonché dal sig. G. Hobbs, QC;
– per la Louis Vuitton Malletier SA, dall’avv. P. De Candé, avocat;
– per la Viaticum SA e la Luteciel SARL, dall’avv. C. Fabre, avocat;
– per il Centre national de recherche en relations humaines (CNRRH) SARL e il sig. Thonet, dagli avv.ti L. Boré e P. Buisson, avocats;
– per la Tiger SARL, dall’avv. O. de Nervo, avocat;
– per il governo francese, dai sigg. G. de Bergues e B. Cabouat, in qualità di agenti;
– per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. H. Krämer, in qualità di agente,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 22 settembre 2009,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione dell’art. 5, nn. 1 e 2, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), dell’art. 9, n. 1, del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), e dell’art. 14 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico») (GU L 178, pag. 1).
2 Tali domande sono state presentate nell’ambito di controversie che vedono contrapposte, nella causa C‑236/08, le società Google France SARL e Google Inc. (in prosieguo, singolarmente o congiuntamente: la «Google») alla società Louis Vuitton Malletier SA (in prosieguo: la «Vuitton») e, nelle cause C‑237/08 e C‑238/08, la Google alle società Viaticum SA (in prosieguo: la «Viaticum»), Luteciel SARL (in prosieguo: la «Luteciel»), Centre national de recherche en relations humaines (CNRRH) SARL (in prosieguo: il «CNRRH») e Tiger SARL (in prosieguo: la «Tiger»), nonché a due privati, i sigg. Thonet e Raboin, in ordine alla visualizzazione su Internet di link pubblicitari a partire da parole chiave corrispondenti a marchi di impresa.
I – Contesto normativo
A – La direttiva 89/104
3 L’art. 5 della direttiva 89/104, rubricato «Diritti conferiti dal marchio di impresa», dispone quanto segue:
«1. Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. II titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:
a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;
b) un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa.
2. Uno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi.
3. Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte:
a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;
b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;
c) di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;
d) di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.
(…)».
4 L’art. 6 della direttiva 89/104, rubricato «Limitazione degli effetti del marchio di impresa», dispone quanto segue:
«1. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio:
a) del loro nome e indirizzo;
b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio;
c) del marchio di impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio,
purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.
(…)».
5 L’art. 7 della direttiva 89/104, rubricato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio di impresa», nella sua versione iniziale, così recitava:
«1. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare l’uso del marchio di impresa per prodotti immessi in commercio nella Comunità con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.
2. Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».
6 In conformità all’art. 65, n. 2, dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3), in combinato disposto con l’allegato XVII, punto 4, di tale Accordo, l’art. 7, n. 1, della direttiva 89/104, nella sua versione iniziale, è stato modificato ai fini di detto Accordo, cosicché l’espressione «nella Comunità» è stata sostituita dai termini «in una Parte contraente».
7 La direttiva 89/104 è stata abrogata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 ottobre 2008, 2008/95/CE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (versione codificata) (GU L 299, pag. 25), entrata in vigore il 28 novembre 2008. Ciò nondimeno, tenuto conto della data cui risalgono i fatti, alle cause principali resta applicabile la direttiva 89/104.
B – Il regolamento n. 40/94
8 L’art. 9 del regolamento n. 40/94, rubricato «Diritti conferiti dal marchio comunitario», dispone quanto segue:
«1. Il marchio comunitario conferisce al suo titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare in commercio:
a) un segno identico al marchio comunitario per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;
b) un segno che a motivo della sua identità o somiglianza col marchio comunitario e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio comunitario e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra il segno e il marchio;
c) un segno identico o simile al marchio comunitario per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali questo è stato registrato, se il marchio comunitario gode di notorietà nella Comunità e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio comunitario o reca pregiudizio agli stessi.
2. Possono essere in particolare vietati, a norma del paragrafo 1:
a) l’apposizione del segno sui prodotti o sul loro confezionamento;
b) l’offerta, l’immissione in commercio o lo stoccaggio dei prodotti a tali scopi oppure l’offerta o la fornitura di servizi sotto la copertura del segno;
c) l’importazione o l’esportazione dei prodotti sotto la copertura del segno;
d) l’uso del segno nella corrispondenza commerciale o nella pubblicità.
(…)».
9 L’art. 12 del regolamento n. 40/94, rubricato «Limitazione degli effetti del marchio comunitario», dispone quanto segue:
«Il diritto conferito dal marchio comunitario non consente al titolare di impedire ai terzi l’uso in commercio:
a) del loro nome o indirizzo;
b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o servizio;
c) del marchio, se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o di un servizio, in particolare accessori o pezzi di ricambio;
purché questo uso sia conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale o commerciale».
10 L’art. 13 del medesimo regolamento, rubricato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio comunitario», così recita:
«1. Il diritto conferito dal marchio comunitario non permette al titolare di impedirne l’uso per prodotti immessi in commercio nella Comunità con tale marchio dal titolare stesso [o] con il suo consenso.
2. Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga alla successiva immissione in commercio dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».
11 Il regolamento n. 40/94 è stato abrogato dal regolamento (CE) del Consiglio 26 febbraio 2009, n. 207, sul marchio comunitario (versione codificata) (GU L 78, pag. 1), entrato in vigore il 13 aprile 2009. Ciò nondimeno, tenuto conto della data cui risalgono i fatti, alle cause principali resta applicabile il regolamento n. 40/94.
C – La direttiva 2000/31
12 Il ventinovesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/31 così recita:
«Le comunicazioni commerciali sono essenziali per il finanziamento dei servizi della società dell’informazione e per lo sviluppo di un’ampia gamma di nuovi servizi gratuiti. Nell’interesse dei consumatori e della correttezza delle operazioni, le comunicazioni commerciali (…) devono ottemperare a numerosi obblighi di trasparenza. (…)».
13 I ‘considerando’ dal quarantesimo al quarantaseiesimo della direttiva 2000/31 recitano quanto segue:
«(40) Le attuali o emergenti divergenze tra le normative e le giurisprudenze nazionali, nel campo della responsabilità dei prestatori di servizi che agiscono come intermediari, impediscono il buon funzionamento del mercato interno, soprattutto ostacolando lo sviluppo dei servizi transnazionali (…). In taluni casi, i prestatori di servizi hanno il dovere di agire per evitare o per porre fine alle attività illegali. La presente direttiva dovrebbe costituire la base adeguata per elaborare sistemi rapidi e affidabili idonei a rimuovere le informazioni illecite e disabilitare l’accesso alle medesime. (…)
(41) La direttiva rappresenta un equilibrio tra i vari interessi in gioco e istituisce principi su cui possono essere basati gli accordi e gli standard delle imprese del settore.
(42) Le deroghe alla responsabilità stabilita nella presente direttiva riguardano esclusivamente il caso in cui l’attività di prestatore di servizi della società dell’informazione si limiti al processo tecnico di attivare e fornire accesso ad una rete di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a disposizione da terzi al solo scopo di rendere più efficiente la trasmissione. Siffatta attività è di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, il che implica che il prestatore di servizi della società dell’informazione non conosce né controlla le informazioni trasmesse o memorizzate.
(43) Un prestatore può beneficiare delle deroghe previste per il semplice trasporto (“mere conduit”) e per la memorizzazione temporanea detta “caching” se non è in alcun modo coinvolto nell’informazione trasmessa. (…)
(44) Il prestatore che deliberatamente collabori con un destinatario del suo servizio al fine di commettere atti illeciti non si limita alle attività di semplice trasporto (“mere conduit”) e di “caching” e non può pertanto beneficiare delle deroghe in materia di responsabilità previste per tali attività. >SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
Nei procedimenti riuniti da C‑236/08 a C‑238/08,
aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla Cour de cassation (Francia) con decisioni 20 maggio 2008, pervenute in cancelleria il 3 giugno 2008, nelle cause
Google France SARL,
Google Inc.
contro
Louis Vuitton Malletier SA (C‑236/08),
e
Google France SARL
contro
Viaticum SA,
Luteciel SARL (C‑237/08),
e
Google France SARL
contro
Centre national de recherche en relations humaines (CNRRH) SARL,
Pierre-Alexis Thonet,
Bruno Raboin,
Tiger SARL (C‑238/08),
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts e E. Levits, presidenti di sezione, dai sigg. C.W.A. Timmermans, A. Rosas, A. Borg Barthet, M. Ilešič (relatore), J. Malenovský, U. Lõhmus, A. Ó Caoimh e J.‑J. Kasel, giudici,
avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro
cancelliere: sig. H. von Holstein, cancelliere aggiunto
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 marzo 2009,
considerate le osservazioni presentate:
– per la Google France SARL e la Google Inc., dagli avv.ti A. Néri e S. Proust, avocats, nonché dal sig. G. Hobbs, QC;
– per la Louis Vuitton Malletier SA, dall’avv. P. De Candé, avocat;
– per la Viaticum SA e la Luteciel SARL, dall’avv. C. Fabre, avocat;
– per il Centre national de recherche en relations humaines (CNRRH) SARL e il sig. Thonet, dagli avv.ti L. Boré e P. Buisson, avocats;
– per la Tiger SARL, dall’avv. O. de Nervo, avocat;
– per il governo francese, dai sigg. G. de Bergues e B. Cabouat, in qualità di agenti;
– per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. H. Krämer, in qualità di agente,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 22 settembre 2009,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione dell’art. 5, nn. 1 e 2, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), dell’art. 9, n. 1, del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), e dell’art. 14 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico») (GU L 178, pag. 1).
2 Tali domande sono state presentate nell’ambito di controversie che vedono contrapposte, nella causa C‑236/08, le società Google France SARL e Google Inc. (in prosieguo, singolarmente o congiuntamente: la «Google») alla società Louis Vuitton Malletier SA (in prosieguo: la «Vuitton») e, nelle cause C‑237/08 e C‑238/08, la Google alle società Viaticum SA (in prosieguo: la «Viaticum»), Luteciel SARL (in prosieguo: la «Luteciel»), Centre national de recherche en relations humaines (CNRRH) SARL (in prosieguo: il «CNRRH») e Tiger SARL (in prosieguo: la «Tiger»), nonché a due privati, i sigg. Thonet e Raboin, in ordine alla visualizzazione su Internet di link pubblicitari a partire da parole chiave corrispondenti a marchi di impresa.
I – Contesto normativo
A – La direttiva 89/104
3 L’art. 5 della direttiva 89/104, rubricato «Diritti conferiti dal marchio di impresa», dispone quanto segue:
«1. Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. II titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:
a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;
b) un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa.
2. Uno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi.
3. Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte:
a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;
b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;
c) di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;
d) di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.
(…)».
4 L’art. 6 della direttiva 89/104, rubricato «Limitazione degli effetti del marchio di impresa», dispone quanto segue:
«1. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio:
a) del loro nome e indirizzo;
b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio;
c) del marchio di impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio,
purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.
(…)».
5 L’art. 7 della direttiva 89/104, rubricato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio di impresa», nella sua versione iniziale, così recitava:
«1. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare l’uso del marchio di impresa per prodotti immessi in commercio nella Comunità con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.
2. Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».
6 In conformità all’art. 65, n. 2, dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3), in combinato disposto con l’allegato XVII, punto 4, di tale Accordo, l’art. 7, n. 1, della direttiva 89/104, nella sua versione iniziale, è stato modificato ai fini di detto Accordo, cosicché l’espressione «nella Comunità» è stata sostituita dai termini «in una Parte contraente».
7 La direttiva 89/104 è stata abrogata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 ottobre 2008, 2008/95/CE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (versione codificata) (GU L 299, pag. 25), entrata in vigore il 28 novembre 2008. Ciò nondimeno, tenuto conto della data cui risalgono i fatti, alle cause principali resta applicabile la direttiva 89/104.
B – Il regolamento n. 40/94
8 L’art. 9 del regolamento n. 40/94, rubricato «Diritti conferiti dal marchio comunitario», dispone quanto segue:
«1. Il marchio comunitario conferisce al suo titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare in commercio:
a) un segno identico al marchio comunitario per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;
b) un segno che a motivo della sua identità o somiglianza col marchio comunitario e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio comunitario e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra il segno e il marchio;
c) un segno identico o simile al marchio comunitario per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali questo è stato registrato, se il marchio comunitario gode di notorietà nella Comunità e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio comunitario o reca pregiudizio agli stessi.
2. Possono essere in particolare vietati, a norma del paragrafo 1:
a) l’apposizione del segno sui prodotti o sul loro confezionamento;
b) l’offerta, l’immissione in commercio o lo stoccaggio dei prodotti a tali scopi oppure l’offerta o la fornitura di servizi sotto la copertura del segno;
c) l’importazione o l’esportazione dei prodotti sotto la copertura del segno;
d) l’uso del segno nella corrispondenza commerciale o nella pubblicità.
(…)».
9 L’art. 12 del regolamento n. 40/94, rubricato «Limitazione degli effetti del marchio comunitario», dispone quanto segue:
«Il diritto conferito dal marchio comunitario non consente al titolare di impedire ai terzi l’uso in commercio:
a) del loro nome o indirizzo;
b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o servizio;
c) del marchio, se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o di un servizio, in particolare accessori o pezzi di ricambio;
purché questo uso sia conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale o commerciale».
10 L’art. 13 del medesimo regolamento, rubricato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio comunitario», così recita:
«1. Il diritto conferito dal marchio comunitario non permette al titolare di impedirne l’uso per prodotti immessi in commercio nella Comunità con tale marchio dal titolare stesso [o] con il suo consenso.
2. Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga alla successiva immissione in commercio dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».
11 Il regolamento n. 40/94 è stato abrogato dal regolamento (CE) del Consiglio 26 febbraio 2009, n. 207, sul marchio comunitario (versione codificata) (GU L 78, pag. 1), entrato in vigore il 13 aprile 2009. Ciò nondimeno, tenuto conto della data cui risalgono i fatti, alle cause principali resta applicabile il regolamento n. 40/94.
C – La direttiva 2000/31
12 Il ventinovesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/31 così recita:
«Le comunicazioni commerciali sono essenziali per il finanziamento dei servizi della società dell’informazione e per lo sviluppo di un’ampia gamma di nuovi servizi gratuiti. Nell’interesse dei consumatori e della correttezza delle operazioni, le comunicazioni commerciali (…) devono ottemperare a numerosi obblighi di trasparenza. (…)».
13 I ‘considerando’ dal quarantesimo al quarantaseiesimo della direttiva 2000/31 recitano quanto segue:
«(40) Le attuali o emergenti divergenze tra le normative e le giurisprudenze nazionali, nel campo della responsabilità dei prestatori di servizi che agiscono come intermediari, impediscono il buon funzionamento del mercato interno, soprattutto ostacolando lo sviluppo dei servizi transnazionali (…). In taluni casi, i prestatori di servizi hanno il dovere di agire per evitare o per porre fine alle attività illegali. La presente direttiva dovrebbe costituire la base adeguata per elaborare sistemi rapidi e affidabili idonei a rimuovere le informazioni illecite e disabilitare l’accesso alle medesime. (…)
(41) La direttiva rappresenta un equilibrio tra i vari interessi in gioco e istituisce principi su cui possono essere basati gli accordi e gli standard delle imprese del settore.
(42) Le deroghe alla responsabilità stabilita nella presente direttiva riguardano esclusivamente il caso in cui l’attività di prestatore di servizi della società dell’informazione si limiti al processo tecnico di attivare e fornire accesso ad una rete di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a disposizione da terzi al solo scopo di rendere più efficiente la trasmissione. Siffatta attività è di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, il che implica che il prestatore di servizi della società dell’informazione non conosce né controlla le informazioni trasmesse o memorizzate.
(43) Un prestatore può beneficiare delle deroghe previste per il semplice trasporto (“mere conduit”) e per la memorizzazione temporanea detta “caching” se non è in alcun modo coinvolto nell’informazione trasmessa. (…)
(44) Il prestatore che deliberatamente collabori con un destinatario del suo servizio al fine di commettere atti illeciti non si limita alle attività di semplice trasporto (“mere conduit”) e di “caching” e non può pertanto beneficiare delle deroghe in materia di responsabilità previste per tali attività.
(45) Le limitazioni alla responsabilità dei prestatori intermedi previste nella presente direttiva lasciano impregiudicata la possibilità di azioni inibitorie di altro tipo. (…)
(46) Per godere di una limitazione della responsabilità, il prestatore di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni deve agire immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitare l’accesso alle medesime non appena sia informato o si renda conto delle attività illecite. (…)».
14 L’art. 2, lett. a), della direttiva 2000/31 definisce i «servizi della società dell’informazione» mediante richiamo all’art. 1, n. 2, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 1998, 98/34/CE, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione (GU L 204, pag. 37), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 luglio 1998, 98/48/CE, (GU L 217, pag. 18), e quindi come:
«qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi».
15 L’art. 1, n. 2, della direttiva 98/34, nella sua versione modificata con direttiva 98/48, dispone inoltre quanto segue:
«(…)
Ai fini della presente definizione si intende:
– “a distanza”: un servizio fornito senza la presenza simultanea delle parti;
– “per via elettronica”: un servizio inviato all’origine e ricevuto a destinazione mediante attrezzature elettroniche di trattamento (…) e di memorizzazione di dati, e che è interamente trasmesso, inoltrato e ricevuto mediante fili, radio, mezzi ottici od altri mezzi elettromagnetici;
– “a richiesta individuale di un destinatario di servizi”: un servizio fornito mediante trasmissione di dati su richiesta individuale.
(…)».
16 L’art. 6 della direttiva 2000/31 è del seguente tenore:
«Oltre agli altri obblighi di informazione posti dal diritto comunitario, gli Stati membri provvedono affinché le comunicazioni commerciali che costituiscono un servizio della società dell’informazione (…) rispettino le seguenti condizioni minime:
(…)
b) la persona fisica o giuridica per conto della quale viene effettuata la comunicazione commerciale è chiaramente identificabile;
(…)».
17 Nel capo II della direttiva 2000/31 è contenuta la sezione 4, recante l’intestazione «Responsabilità dei prestatori intermediari», la quale comprende gli artt. 12‑15.
18 L’art. 12 della direttiva 2000/31, rubricato «Semplice trasporto (“mere conduit”)», dispone quanto segue:
«1. Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, o nel fornire un accesso alla rete di comunicazione, il prestatore non sia responsabile delle informazioni trasmesse a condizione che egli:
a) non dia origine alla trasmissione;
b) non selezioni il destinatario della trasmissione; e
c) non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse.
2. Le attività di trasmissione e di fornitura di accesso di cui al paragrafo 1 includono la memorizzazione automatica, intermedia e transitoria delle informazioni trasmesse, a condizione che questa serva solo alla trasmissione sulla rete di comunicazione e che la sua durata non ecceda il tempo ragionevolme