Credito d’imposta non spettante e inesistente

Cass.nn.3443/4/5 del 2021
Cortona, agosto 2021
Ph. Francesca Russo / Cortona, agosto 2021

Il principio di diritto

La Suprema Corte nella sentenza n.33445 depositata il 16 novembre 2021(e nelle analoghe sentenze n.3443 e n. 3445 del 2021) ha enucleato il seguente principio di diritto: “In tema di compensazione di crediti fiscali da parte del contribuente, l'applicazione del termine di decadenza ottenale, previsto dal Decreto Legge n. 185 del 2008, articolo 27, comma 16, conv. in L. n. 2 del 2009, presuppone l'utilizzo non già di un mero credito "non spettante", bensì di un credito "inesistente", per tale ultimo dovendo intendersi - ai sensi del Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 13, comma 5, terzo periodo, (introdotto dal Decreto Legislativo n. 158 del 2015, articolo 15) - il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (il credito che non è, cioè, "reale") e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articoli 36-bis e 36-ter e al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 54-bis".

 

Il caso

L’Agenzia delle Entrate ha notificato a una società agricola un avviso di recupero con cui si contestava l'indebito utilizzo in compensazione di un credito IVA maturato nel 2008 stante l'accertata natura di società di comodo della contribuente.

La società de qua ha impugnato l’avviso con ricorso dinanzi alla C.T.P. di Pavia che lo ha accolto, rilevando che la società operava in modo continuativo e che, nel caso di specie, non trattandosi di crediti inesistenti, non poteva trovare applicazione il termine decadenziale di otto anni previsto dall’art.27, comma 16 del D.L. n.185/2008 (conv. in L. n. 2 del 2009), bensì quello ordinario quadriennale, nel caso de quo non rispettato. Avverso detta sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso che è stato rigettato dalla CTR Lombardia, evidenziando, in particolare, che per effetto della novella apportata all’art.13 del D.lgs n. 471 del 1997, dal D.lgs n. 158 del 2015, si è al cospetto di compensazione di un credito "non spettante" e non già di un "credito inesistente", come pure implicitamente ritenuto dalla stessa Agenzia, laddove ha comminato la sanzione del 30% del credito utilizzato, ai sensi dell’art.13, comma 4 D.Lgs n. 471 del 1997, anziché quella prevista dal comma 5, nella misura dal 100% al 200% del credito.

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione che è stato ritenuto infondato dalla Suprema Corte per le ragioni che verranno esposte nei paragrafi seguenti.

Al fine di comprendere l’iter logico seguito dai giudici di legittimità nella presente pronuncia, appare opportuno ricostruire i precedenti giurisprudenziali riguardo la controversa quaestio iuris relativa al discrimen tra crediti “inesistenti” e crediti “non spettanti”.

 

I precedenti difformi della giurisprudenza di legittimità

Prima delle sentenze del Supremo Collegio nn.3443/4/5 del 2021, che hanno chiarito la linea di confine tra credito d’imposta “non spettante” e credito d’imposta “inesistente”, la Corte di Cassazione nei suoi precedenti giurisprudenziali ha sostenuto che non occorreva elevare l'"inesistenza" del credito a categoria distinta dalla "non spettanza" dello stesso.

Nello specifico, a partire dal 2017, i giudici di legittimità nella sentenza n. 19237 del 2 agosto 2017, hanno affermato che l'art. 27, comma 16, del D.L.n. 185 del 2008 (conv., con modif., dalla L. n. 2 del 2009), nel fissare il termine di otto anni per il recupero dei crediti d'imposta inesistenti indebitamente compensati, non intende considerare l'"inesistenza" del credito come una categoria distinta dalla "non spettanza" dello stesso.

A parere della Suprema Corte, predetta distinzione è priva di fondamento logico - giuridico, atteso che il citato comma 16 dell’art.27 mira a garantire un margine di tempo adeguato per il compimento delle verifiche riguardanti l'investimento che ha generato il credito d'imposta; tale margine di tempo, pertanto, è indistintamente fissato in otto anni, senza che possa trovare applicazione il termine più breve stabilito dall'art. 43 del D.P.R. n. 600 del 1973 per il comune avviso di accertamento.

Inoltre, in senso conforme, si sono espressi i giudici di legittimità nella pronuncia n. 10112 del 21 aprile 2017, dove hanno precisato che la distinzione basata sulla diversa definizione terminologica del credito d'imposta, oltre a non avere base normativa, “[…] si appalesa speciosa in quanto la ratio della norma di cui al Decreto Legge n. 185 del 2008, articolo 27, comma 16, convertito dalla L. n. 2 del 2009, che prevede il termine di otto anni per il recupero dell'imposta, è volta a consentire all'ufficio di compiere gli accertamenti, talvolta complessi, riguardanti la natura dell'investimento che ha generato il credito di imposta”.

Successivamente, la Corte di Cassazione con ordinanza n.24093/2020 nel caso sottoposto al suo esame, ha ritenuto tempestiva, pur se intervenuta successivamente alla scadenza dei termini decadenziali di cui all’articolo 43, D.P.R. n.600/1973, l’attività accertativa dell’Agenzia delle Entrate diretta a recuperare crediti non spettanti.

Il Supremo Collegio ha infatti riconosciuto, anche per tale tipologia di crediti, l’operatività dell’articolo 27, comma 16, D.L. 185/2008 (convertito con la L. 2/2009), in virtù del quale l’atto di recupero dei crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell’articolo 17, D.Lgs. n. 241/1997 deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo.

Pertanto, il Collegio di legittimità, anche in predetta ordinanza, ha equiparato l’attività di recupero dei crediti “inesistenti” con l’attività di recupero dei crediti “non spettanti” attraverso l’estensione dell’operatività di una norma sorta con l’intento di arginare fenomeni fraudolenti a situazioni non connotate dal medesimo disvalore sociale e dalla medesima insidiosità.

Precisamente, i giudici di legittimità, anche in tale ordinanza hanno ribadito l’equiparazione tra i crediti inesistenti e i crediti non spettanti, reputando legittima l’azione amministrativa diretta al recupero anche di questi ultimi entro i termini di decadenza stabiliti dall’art.27, comma 16, D.L. 185/2008.

Tale equiparazione tra crediti “non spettanti” e “crediti inesistenti” ha alimentato un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale da cui si possono trarre le seguenti osservazioni:

1. il dato normativo è inequivoco nel riferire unicamente ai crediti inesistenti (art. 27, comma 16 D.L. n.185/2008 conv.in L.n.2/2009;

 2. l’articolo 10-quater, D.Lgs. 74/2000 differenzia le due fattispecie prevedendo sanzioni penali differenziate per la maggiore insidiosità riconosciuta all’utilizzo dei crediti inesistenti (connotati da fraudolenza);

3. l’articolo 13 D.lgs n. 471/1997 prevede la non punibilità - alle condizioni in esso richiamate - nella sola fattispecie meno grave dell’utilizzo in compensazione di crediti non spettanti;

4. il comma 4 dell’articolo 13, D.Lgs. 471/1997 prevede per l’utilizzo di crediti non spettanti la sanzione del 30%, mentre il successivo comma 5 per l’utilizzo di un credito inesistente prevede sanzioni tra il 100 e il 200%.

Anche nella recentissima ordinanza n. 354 del 13 gennaio 2021, la Corte di Cassazione condividendo integralmente le considerazioni espresse dai giudici di legittimità nell’ordinanza n. 19237 del 02/08/2017, ha ribadito che il Decreto Legge n. 185 del 2008, articolo 27, comma 16, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 2 del 2009, nel fissare il termine di otto anni per il recupero dei crediti d'imposta inesistenti indebitamente compensati, non intende elevare l'"inesistenza" del credito a categoria distinta dalla "non spettanza" dello stesso (distinzione a ben vedere priva di fondamento logico-giuridico), ma mira a garantire un margine di tempo adeguato per il compimento delle verifiche riguardanti l'investimento che ha generato il credito d'imposta, margine di tempo perciò indistintamente fissato in otto anni, senza che possa trovare applicazione il termine più breve stabilito dal D.P.R. n. 600 del 1973, articolo 43, per il comune avviso di accertamento.

Di converso, si pone in evidenza il fatto che il Supremo Consesso con ordinanza interlocutoria n. 29717 del 29 dicembre 2020 ha rimesso la soluzione della vicenda contenziosa all’esame della sezione tributaria.

Più nel dettaglio, i giudici di legittimità nella citata ordinanza interlocutoria hanno dapprima ribadito che la Suprema Corte nell’ordinanza n. 24093/2020 aveva affermato che la distinzione tra crediti non spettanti e inesistenti appariva «priva di fondamento logico-giuridico».

Tanto premesso, il Supremo Consesso, di converso, nella citata ordinanza interlocutoria (29717/2020) ha rilevato che:

  • la distinzione tra termini inesistenti e non spettanti, alla stregua del vigente art.13 D.Lgs n.471/1997 , come modificato dall’art.15 del D.Lgs n. 158 del 2015, non sembra non avere fondamento giuridico, avendo, detta disposizione, distinto due diverse categorie di crediti indebitamente compensati;
  • che, invero, il comma 4 della disposizione da ultimo citata ha individuato il credito non spettante nel "credito d'imposta esistente in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti", mentre il comma 5, nell'ultima parte ha specificato che "Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articoli 36-bis e 36-ter, e al Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 54-bis",distinzione che peraltro comporta l'applicazione di sanzioni amministrative di diversa entità.

Alla luce di tali considerazioni di sorta, il Supremo Collegio ha rimesso tale questione alla Quinta sezione civile.

Dopo aver completato l’excursus della giurisprudenza di legittimità che ha equiparato i crediti inesistenti con quelli non spettanti, appare più chiaro seguire l’iter logico della Suprema Corte nelle pronunce nn.3443/4/5 del 2021 che hanno segnato un’inversione di tendenza rispetto ai precedenti arresti, segnando la linea di demarcazione tra crediti “inesistenti” e “non spettanti”.

 

La motivazione della sentenza

La Suprema Corte nella parte motiva della sentenza in oggetto ( Cass.n.3443/2021) ha dapprima dato contezza dell’art. 27 del D.L. n. 185 del 2008 (conv. in L. n. 2 del 2009) che così recita: "Salvi i più ampi termini previsti dalla legge in caso di violazione che comporta l'obbligo di denuncia ai sensi dell'articolo 331 c.p.p. per il reato previsto dal Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10-quater, l'atto di cui alla L. 30 dicembre 2004, n. 311, articolo 1, comma 421, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi del Decreto Legislativo 9 luglio 1997, n. 241, articolo 17, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo".

Ciò posto, i giudici di legittimità hanno rilevato che tale questione del termine di decadenza s’interseca con la nuova disciplina dettata dall’art. 13, comma 5 del D.lgs n, 471/1997introdotto dal D.Lgs n. 158 del 2015, che così stabilisce: "Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. Per le sanzioni previste nel presente comma, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista dal Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, articolo 16, comma 3, e articolo 17, comma 2. Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articoli 36-bis e 36-ter e al Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 54-bis".

È di tutta evidenza che, in materia di rideterminazione del quadro sanzionatorio circa l'indebita compensazione di crediti, con il “nuovo” art. 13, comma 5 del D.lgs n.471/1997, così come introdotto dall’art.15 del D.lgs n.158/2015 , viene data definizione normativa alla nozione di credito “inesistente”: ossia il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, articoli 36-bis e 36-ter e al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 54-bis.

 A tal proposito, il Supremo Collegio ha affermato che il credito fiscale illegittimamente utilizzato dal contribuente può dirsi "inesistente" quando ne manca il presupposto costitutivo (ossia, quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili-patrimoniali-finanziari del contribuente) e quando tale mancanza sia evincibile dai controlli automatizzati o formali sugli elementi dichiarati dal contribuente stesso o in possesso dell'anagrafe tributaria, banca dati pubblica disciplinata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 605 del 1973, su cui detti controlli anche si fondano.

E invero, i giudici di legittimità hanno precisato che non è per niente casuale che il raddoppio dei termini di decadenza in oggetto sia collegato alla non immediata riscontrabilità da parte del Fisco, mediante i suddetti controlli, del carattere indebito della compensazione e, pertanto, la maggior durata del termine di decadenza, trova evidente giustificazione solo per i casi in cui sia necessaria una più complessa attività istruttoria.

Alla luce di tanto, la Suprema Corte ha sottolineato che rebus sic stantibus, l’affermazione secondo cui sarebbe priva di senso logico-giuridico la distinzione tra "credito inesistente" e "credito non spettante" - come sostenuto fino ad oggi dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 10112/2017, da Cass. n. 19237/2017, di recente confermata da Cass. n. 24093/2020 e da Cass. n. 354/2021) –“[…]vada necessariamente superata anche per effetto della citata novella, non solo perchè quest'ultima è direttamente applicabile alla fattispecie, ratione temporis, ma anche perchè nella stessa definizione positiva di "credito inesistente" può rinvenirsi la conferma della dignità della distinzione delle due categorie in discorso, già sulla base dell'originario impianto normativo concernente la riscossione dei crediti d'imposta indebitamente utilizzati dal contribuente, mediante l'emissione dell'atto di recupero di cui alla L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 421”.

Infatti, è significativo che tale ultima disposizione (art. 1, comma 421 L.n.311/2004) si riferisca in linea generale alla "riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione ai sensi del Decreto Legislativo 9 luglio 1997, n. 241, articolo 17", mentre l'articolo 27, comma 16, D.L. n. 185 del 2008 (conv. in L. n. 2 del 2009), che estende il termine di decadenza all'ottennio dal relativo utilizzo, concerna invece la sola "riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi del Decreto Legislativo 9 luglio 1997, n. 241, articolo 17"; è fuori da ogni dubbio che già dal dato letterale emerge che la fattispecie individuata dall’art. 27, comma 16, D.L. n. 185 del 2008 (conv. in L. n. 2 del 2009), sia necessariamente più ristretta rispetto a quella generale, evidentemente ritenuta più grave.

Inoltre, i giudici di legittimità hanno sottolineato che la citata novella del 2015 si innesta nella riscrittura della norma già contenuta nel contestuale articolo 27, comma 18, Decreto Legge n.185/2008 abrogato -che regolava il relativo quadro sanzionatorio- e ha lo scopo, pertanto, di specificare il contenuto del precetto originario, “[…]così ancorando la nozione di "credito inesistente" ad una dimensione anche secondo il linguaggio comune - "non reale" o "non vera", ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza (come pure può evincersi dal contenuto della Relazione illustrativa al Decreto Legge n. 185 del 2008).

Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte ha enucleato il seguente principio di diritto: "In tema di compensazione di crediti fiscali da parte del contribuente, l'applicazione del termine di decadenza "termale, previsto dal Decreto Legge n. 185 del 2008, articolo 27, comma 16, conv. in L. n. 2 del 2009, presuppone l'utilizzo non già di un mero credito "non spettante", bensì di un credito "inesistente", per tale ultimo dovendo intendersi - ai sensi del Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 13, comma 5, terzo periodo, (introdotto dal Decreto Legislativo n. 158 del 2015, articolo 15) - il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (il credito che non è, cioè, "reale") e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articoli 36-bis e 36-ter e al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 54-bis".

 

Conclusioni

A seguito della risoluzione, con le sentenze della Corte di Cassazione nn.3443/4/5 del 2021, della quaestio iuris afferente la differenza tra crediti inesistenti e crediti non spettanti, si auspica che l’Agenzia delle Entrate, prendendo atto di tali pronunce che mettono in evidenza la diversa categorizzazione voluta dal Legislatore, in grado di discernere ciò che possa considerarsi “credito non spettante” rispetto ai crediti che, connotati da atti in frode (art. 1 Dlgs n. 74/2000 lettere g-bis e g-ter) possano ricadere nell’alveo dell’inesistenza.

Allo stesso tempo, il Legislatore dovrebbe intervenire, per dirimere qualsiasi dubbio interpretativo, con la Legge d Bilancio 2022 inserendo una norma d’interpretazione autentica; tale intervento interpretativo in tal senso è di notevole importanza, anche in ragione delle misure che sono state varate in diversi settori quali quelle contenute nel D.L. n.157/2021 in materia di bonus edilizi.

In tal modo si darebbe credibilità al sistema fiscale, in attesa della tanto auspicata riforma tributaria, al fine di porre il contribuente in una posizione paritaria rispetto all’Amministrazione Finanziaria.