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Critica alla posizione dell’Avvocato Generale Ue sui prodotti Parmesan

E’ lecito l’uso nel territorio dell’UE della denominazione “Parmesan” nell’etichettatura di prodotti non corrispondenti al disciplinare della denominazione d’origine protetta “Parmigiano Reggiano”? Cronistoria di una occasione perduta. Breve commento alle conclusioni dell’Avvocato Generale Mazàk nella causa C-132/05 pendente davanti alla Corte di Giustizia su ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione contro la Repubblica federale di Germania.

La presente vertenza nasce da due opposte concezioni che il termine “Parmesan” riveste nell’applicazione del Regolamento 2081/1992, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari. Nella ricostruzione della Commissione, il termine «Parmesan» è la traduzione della denominazione registrata «Parmigiano Reggiano» e il suo uso integra pertanto una violazione dell’art. 13, n. 1, lett. b), del predetto Regolamento che dispone testualmente che “Le denominazioni registrate sono tutelate contro: (…) b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto è indicata o se la denominazione protetta è una traduzione o è accompagnata da espressioni quali “genere”, “tipo”, “metodo”, “alla maniera”, “imitazione” o simili; (…).

Il governo tedesco ritiene invece che il termine «Parmesan» è nel tempo divenuto generico e viene utilizzato per designare formaggi a pasta dura di varia provenienza geografica, grattugiati o da grattugiare. Pertanto, il termine «Parmesan» sarebbe diverso dalla denominazione «Parmigiano Reggiano» e il suo uso non integrerebbe una violazione del predetto regolamento.

Da qui il ricorso della Commissione alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 226 CE, nel corso del quale procedimento sono state depositate le conclusioni in commento. Vedremo come il ragionamento dell’avvocato generale, ineccepibile nel proprio impianto, fatica ad essere coraggioso nel risultato concreto a cui sarebbe invece, a rigore, dovuto pervenire.

Ma vediamo più da vicino il ragionamento dell’avvocato generale e le conclusioni a cui egli perviene, che, lo anticipiamo, sono la richiesta di rigetto del ricorso della Commissione.

Partendo dalla considerazione che “la tutela conferita alle DOP dal diritto comunitario è di ampia portata” poiché le denominazioni registrate sono tutelate “contro qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione”, l’avvocato generale rileva che poiché le traduzioni delle DOP di regola non sono registrate, si pone la questione se la traduzione di una DOP sia protetta nella stessa misura in cui lo è la DOP registrata. “Dal testo dell’art. 13, n. 1, lett. b) sembra che le traduzioni di DOP registrate, in linea di massima, siano protette nella stessa misura in cui lo sono le DOP nella lingua originale.”

Si tratta dunque di verificare se Parmesan sia o meno una traduzione di “Parmigiano Reggiano”. Se è pacifico che «Parmesan» non è la traduzione letterale in tedesco di «Parmigiano Reggiano» e che tale denominazione deriva invece dalla traduzione in francese di «Parmigiano», uno degli elementi costitutivi della DOP «Parmigiano Reggiano», occorre verificare se i due termini Parmigiano e Reggiano siano generalmente considerati equivalenti dai consumatori. Dalle prove prodotte dalle parti non è possibile “concludere con certezza che «Parmesan» è l’equivalente e quindi la traduzione di «Parmigiano Reggiano». Si può solo affermare con certezza che i termini «Parmesan» e «Parmigiano» sono equivalenti e quindi traduzioni l’uno dell’altro”.

Superata così elegantemente la questione se il termine «Parmesan» sia o meno la traduzione della DOP «Parmigiano Reggiano», l’avvocato generale sembra preferire accordare una tutela al Parmesan in quanto evocazione della DOP “Parmigiano Reggiano” ed ha affermato che “nel caso in esame sussiste una similarità fonetica tra la DOP «Parmigiano Reggiano» e il sostantivo «Parmesan», dato che quest’ultimo contiene le stesse prime quattro lettere e, come ammettono le parti, è la traduzione di uno degli elementi costitutivi della DOP in questione, ossia «Parmigiano». Sussiste anche una similarità ottica, dato che le due parole vengono utilizzate per lo stesso tipo di formaggio a pasta dura, grattugiato o da grattugiare. Pertanto, il sostantivo «Parmesan» sembrerebbe costituire in linea di principio, un’evocazione della DOP «Parmigiano Reggiano».

Ed ancora, “Poiché il governo tedesco, che ha eccepito la genericità del termine «Parmesan», non ha prodotto alcuna prova idonea in merito, l’uso del termine «Parmesan» per formaggio non conforme al disciplinare della DOP «Parmigiano Reggiano», ai fini della controversia in esame, dev’essere considerato incompatibile con la tutela prestata a tale DOP ai sensi dell’art. 13, n. 1, lett. b), del regolamento di base”.

Sic! Fin qui, il ragionamento dell’avvocato generale brilla per coerenza e chiarezza. Peccato che le conseguenze concrete di un tale argomentare deludano le aspettative.

Appellandosi infatti alla necessità di “esaminare se la Germania sia tenuta a perseguire d’ufficio la violazione dell’art. 13, n. 1, lett. b), del regolamento di base consistente, nel caso di specie, nell’immissione in commercio con la denominazione «Parmesan» di formaggio non conforme al disciplinare della denominazione d’origine protetta («DOP») «Parmigiano Reggiano»” inspiegabilmente l’avvocato generale compie tanti passi indietro quanti sono stati i passi in avanti compiuti sin qui ed afferma che “l’ordinamento giuridico tedesco prevede l’attuazione delle DOP attraverso azioni giurisdizionali esperibili da un’ampia gamma di ricorrenti in cui possono rientrare, inter alia, le associazioni per la tutela dei consumatori e le associazioni di imprese. L’attuazione attraverso l’azione giurisdizionale è quindi potenzialmente garantita a ricorrenti che perseguano interessi molto più ampi rispetto ai soli interessi dei produttori di merci che beneficiano di una DOP”. Ne consegue che, ai fini dell’attuazione del regolamento di base, gli Stati membri possono stabilire discrezionalmente se svolgere controlli in un caso specifico e prendere poi provvedimenti qualora rilevino prodotti lesivi di una DOP. Non avendo la Commissione prodotto la prova di una denuncia o di una istanza di tutela giuridica, né tanto meno un esempio di inerzia rispetto a tali denunce o istanze, in relazione ad usurpazioni della DOP «Parmigiano Reggiano» commesse nel territorio tedesco, si deve ritenere che la Commissione non ha dedotto prove sufficientemente documentate e circostanziate per dimostrare che, nel caso in esame, le autorità tedesche erano tenute ad agire ex officio e hanno omesso di farlo.

Queste le conclusioni dell’avvocato generale: “Non ritengo che l’art. 13, n. 1, lett. b), del regolamento, interpretato alla luce dell’art. 10 del medesimo regolamento, imponesse alla Germania di perseguire ex officio come illecito la commercializzazione nel suo territorio di formaggio recante la denominazione «Parmesan» e non conforme al disciplinare della DOP «Parmigiano Reggiano». In particolare, la Commissione non ha dimostrato che la Germania fosse tenuta ad agire in mancanza di sufficienti ed appropriate istanze dall’esterno. Pertanto, il ricorso della Commissione va respinto”.

Una tale presa di posizione lascia davvero perplessi, se solo si considera che l’avvocato generale sembra aver dimenticato tutta quella serie di denunce di diversi operatori economici che hanno portato nel 2003 la Commissione a chiedere alle autorità tedesche di impartire chiare istruzioni affinché avesse fine la commercializzazione nel territorio tedesco di prodotti denominati «Parmesan» non conformi al disciplinare della denominazione registrata «Parmigiano Reggiano». Si ha l’impressione che l’avvocato generale non abbia voluto calcare la mano su questa spinosa questione, anche alla luce dei forti interessi economici che sottostanno a questo procedimento.

E’ indubbia infatti l’esistenza di una spaccatura tra i mercati del nord Europa e del sud Europa. Nei primi si registrano numerose imprese, anche multinazionali, che utilizzano il nome Parmesan per commercializzare prodotti che nulla hanno a che fare con il Parmigiano Reggiano Dop, con inevitabili ripercussioni sui prezzi di tali prodotti, che pure vengono presentati come evocativi del Bel Paese, con tanto di basilico, pomodoro e bandiera tricolore! Mentre nel sud Europa e soprattutto in Italia, i concorrenti di quelle multinazionali non possono utilizzare il nome Parmesan se non per prodotti che rispettano pedissequamente il disciplinare di “Parmigiano Reggiano” rischiando, in caso di inosservanza, conseguenze anche penali.

Di fronte a questa evidente disparità di trattamento a cui sono sottoposte le aziende italiane rispetto alle concorrenti d’oltralpe, un atteggiamento di totale coerenza e coraggio da parte dell’avvocato generale sarebbe stato certamente salutato con maggiore favore dagli operatori del diritto, a cui non resta, a questo punto, che attendere la decisione della Corte di Giustizia, prevista per questo autunno.

E’ lecito l’uso nel territorio dell’UE della denominazione “Parmesan” nell’etichettatura di prodotti non corrispondenti al disciplinare della denominazione d’origine protetta “Parmigiano Reggiano”? Cronistoria di una occasione perduta. Breve commento alle conclusioni dell’Avvocato Generale Mazàk nella causa C-132/05 pendente davanti alla Corte di Giustizia su ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione contro la Repubblica federale di Germania.

La presente vertenza nasce da due opposte concezioni che il termine “Parmesan” riveste nell’applicazione del Regolamento 2081/1992, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari. Nella ricostruzione della Commissione, il termine «Parmesan» è la traduzione della denominazione registrata «Parmigiano Reggiano» e il suo uso integra pertanto una violazione dell’art. 13, n. 1, lett. b), del predetto Regolamento che dispone testualmente che “Le denominazioni registrate sono tutelate contro: (…) b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto è indicata o se la denominazione protetta è una traduzione o è accompagnata da espressioni quali “genere”, “tipo”, “metodo”, “alla maniera”, “imitazione” o simili; (…).

Il governo tedesco ritiene invece che il termine «Parmesan» è nel tempo divenuto generico e viene utilizzato per designare formaggi a pasta dura di varia provenienza geografica, grattugiati o da grattugiare. Pertanto, il termine «Parmesan» sarebbe diverso dalla denominazione «Parmigiano Reggiano» e il suo uso non integrerebbe una violazione del predetto regolamento.

Da qui il ricorso della Commissione alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 226 CE, nel corso del quale procedimento sono state depositate le conclusioni in commento. Vedremo come il ragionamento dell’avvocato generale, ineccepibile nel proprio impianto, fatica ad essere coraggioso nel risultato concreto a cui sarebbe invece, a rigore, dovuto pervenire.

Ma vediamo più da vicino il ragionamento dell’avvocato generale e le conclusioni a cui egli perviene, che, lo anticipiamo, sono la richiesta di rigetto del ricorso della Commissione.

Partendo dalla considerazione che “la tutela conferita alle DOP dal diritto comunitario è di ampia portata” poiché le denominazioni registrate sono tutelate “contro qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione”, l’avvocato generale rileva che poiché le traduzioni delle DOP di regola non sono registrate, si pone la questione se la traduzione di una DOP sia protetta nella stessa misura in cui lo è la DOP registrata. “Dal testo dell’art. 13, n. 1, lett. b) sembra che le traduzioni di DOP registrate, in linea di massima, siano protette nella stessa misura in cui lo sono le DOP nella lingua originale.”

Si tratta dunque di verificare se Parmesan sia o meno una traduzione di “Parmigiano Reggiano”. Se è pacifico che «Parmesan» non è la traduzione letterale in tedesco di «Parmigiano Reggiano» e che tale denominazione deriva invece dalla traduzione in francese di «Parmigiano», uno degli elementi costitutivi della DOP «Parmigiano Reggiano», occorre verificare se i due termini Parmigiano e Reggiano siano generalmente considerati equivalenti dai consumatori. Dalle prove prodotte dalle parti non è possibile “concludere con certezza che «Parmesan» è l’equivalente e quindi la traduzione di «Parmigiano Reggiano». Si può solo affermare con certezza che i termini «Parmesan» e «Parmigiano» sono equivalenti e quindi traduzioni l’uno dell’altro”.

Superata così elegantemente la questione se il termine «Parmesan» sia o meno la traduzione della DOP «Parmigiano Reggiano», l’avvocato generale sembra preferire accordare una tutela al Parmesan in quanto evocazione della DOP “Parmigiano Reggiano” ed ha affermato che “nel caso in esame sussiste una similarità fonetica tra la DOP «Parmigiano Reggiano» e il sostantivo «Parmesan», dato che quest’ultimo contiene le stesse prime quattro lettere e, come ammettono le parti, è la traduzione di uno degli elementi costitutivi della DOP in questione, ossia «Parmigiano». Sussiste anche una similarità ottica, dato che le due parole vengono utilizzate per lo stesso tipo di formaggio a pasta dura, grattugiato o da grattugiare. Pertanto, il sostantivo «Parmesan» sembrerebbe costituire in linea di principio, un’evocazione della DOP «Parmigiano Reggiano».

Ed ancora, “Poiché il governo tedesco, che ha eccepito la genericità del termine «Parmesan», non ha prodotto alcuna prova idonea in merito, l’uso del termine «Parmesan» per formaggio non conforme al disciplinare della DOP «Parmigiano Reggiano», ai fini della controversia in esame, dev’essere considerato incompatibile con la tutela prestata a tale DOP ai sensi dell’art. 13, n. 1, lett. b), del regolamento di base”.

Sic! Fin qui, il ragionamento dell’avvocato generale brilla per coerenza e chiarezza. Peccato che le conseguenze concrete di un tale argomentare deludano le aspettative.

Appellandosi infatti alla necessità di “esaminare se la Germania sia tenuta a perseguire d’ufficio la violazione dell’art. 13, n. 1, lett. b), del regolamento di base consistente, nel caso di specie, nell’immissione in commercio con la denominazione «Parmesan» di formaggio non conforme al disciplinare della denominazione d’origine protetta («DOP») «Parmigiano Reggiano»” inspiegabilmente l’avvocato generale compie tanti passi indietro quanti sono stati i passi in avanti compiuti sin qui ed afferma che “l’ordinamento giuridico tedesco prevede l’attuazione delle DOP attraverso azioni giurisdizionali esperibili da un’ampia gamma di ricorrenti in cui possono rientrare, inter alia, le associazioni per la tutela dei consumatori e le associazioni di imprese. L’attuazione attraverso l’azione giurisdizionale è quindi potenzialmente garantita a ricorrenti che perseguano interessi molto più ampi rispetto ai soli interessi dei produttori di merci che beneficiano di una DOP”. Ne consegue che, ai fini dell’attuazione del regolamento di base, gli Stati membri possono stabilire discrezionalmente se svolgere controlli in un caso specifico e prendere poi provvedimenti qualora rilevino prodotti lesivi di una DOP. Non avendo la Commissione prodotto la prova di una denuncia o di una istanza di tutela giuridica, né tanto meno un esempio di inerzia rispetto a tali denunce o istanze, in relazione ad usurpazioni della DOP «Parmigiano Reggiano» commesse nel territorio tedesco, si deve ritenere che la Commissione non ha dedotto prove sufficientemente documentate e circostanziate per dimostrare che, nel caso in esame, le autorità tedesche erano tenute ad agire ex officio e hanno omesso di farlo.

Queste le conclusioni dell’avvocato generale: “Non ritengo che l’art. 13, n. 1, lett. b), del regolamento, interpretato alla luce dell’art. 10 del medesimo regolamento, imponesse alla Germania di perseguire ex officio come illecito la commercializzazione nel suo territorio di formaggio recante la denominazione «Parmesan» e non conforme al disciplinare della DOP «Parmigiano Reggiano». In particolare, la Commissione non ha dimostrato che la Germania fosse tenuta ad agire in mancanza di sufficienti ed appropriate istanze dall’esterno. Pertanto, il ricorso della Commissione va respinto”.

Una tale presa di posizione lascia davvero perplessi, se solo si considera che l’avvocato generale sembra aver dimenticato tutta quella serie di denunce di diversi operatori economici che hanno portato nel 2003 la Commissione a chiedere alle autorità tedesche di impartire chiare istruzioni affinché avesse fine la commercializzazione nel territorio tedesco di prodotti denominati «Parmesan» non conformi al disciplinare della denominazione registrata «Parmigiano Reggiano». Si ha l’impressione che l’avvocato generale non abbia voluto calcare la mano su questa spinosa questione, anche alla luce dei forti interessi economici che sottostanno a questo procedimento.

E’ indubbia infatti l’esistenza di una spaccatura tra i mercati del nord Europa e del sud Europa. Nei primi si registrano numerose imprese, anche multinazionali, che utilizzano il nome Parmesan per commercializzare prodotti che nulla hanno a che fare con il Parmigiano Reggiano Dop, con inevitabili ripercussioni sui prezzi di tali prodotti, che pure vengono presentati come evocativi del Bel Paese, con tanto di basilico, pomodoro e bandiera tricolore! Mentre nel sud Europa e soprattutto in Italia, i concorrenti di quelle multinazionali non possono utilizzare il nome Parmesan se non per prodotti che rispettano pedissequamente il disciplinare di “Parmigiano Reggiano” rischiando, in caso di inosservanza, conseguenze anche penali.

Di fronte a questa evidente disparità di trattamento a cui sono sottoposte le aziende italiane rispetto alle concorrenti d’oltralpe, un atteggiamento di totale coerenza e coraggio da parte dell’avvocato generale sarebbe stato certamente salutato con maggiore favore dagli operatori del diritto, a cui non resta, a questo punto, che attendere la decisione della Corte di Giustizia, prevista per questo autunno.