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Decreto Liquidità: Il periodo di improcedibilità delle declaratorie di fallimento

Condizioni per il legittimo computo del periodo di “sospensione” dei termini
Marina di Ravenna
Ph. Ermes Galli / Marina di Ravenna

Decreto Liquidità: Il periodo di improcedibilità delle declaratorie di fallimento

L’articolo 10 del Decreto Legge 8 aprile 2020 n. 2020 (c.d. Decreto Liquidità),, convertito con modificazioni in Legge n. 40 del 5 giugno 2020 prevede “Disposizioni temporanee in materia di ricorsi e richieste per la dichiarazione di fallimento”. Il disposto di tale articolo, come modificato con la legge di conversione, recita:

1. Tutti i ricorsi ai sensi degli articoli 15 e 195 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e 3 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 depositati nel periodo tra il 9 marzo 2020 ed il 30 giugno 2020 sono improcedibili.

2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano:

a) al ricorso presentato dall’imprenditore in proprio, quando l’insolvenza non è conseguenza dell’epidemia COVID-19;

b) all’istanza di fallimento da chiunque formulata ai sensi degli articoli 162, secondo comma, 173, secondo e terzo comma, e 180, settimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267;

c) alla richiesta presentata dal pubblico ministero quando nella medesima è fatta domanda di emissione dei provvedimenti di cui all’articolo 15, ottavo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, o quando la richiesta è presentata si sensi dell’articolo 7, numero 1), del medesimo regio decreto n. 267 del 1942.

3. Quando alla dichiarazione di improcedibilità dei ricorsi presentati nel periodo di cui al comma 1 fa seguito, entro il 30 settembre 2020, la dichiarazione di fallimento, il periodo di cui al comma 1 non viene computato nei termini di cui agli articoli 10, 64, 65, 67, primo e secondo comma, 69bis e 147 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267.

Come noto, il carattere transitorio della norma Decreto liquidità fu dichiaratamente finalizzato – per via dell’emergenza pandemica e le conseguenze di essa sull’economia - a sospendere la procedibilità delle istanze di fallimento e delle procedure fondate sullo stato di insolvenza nell’arco temporale limitato tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020. Oggetto della improcedibilità, dunque, sono stati: i ricorsi per la dichiarazione di fallimento (articolo 15 l.fall.), le istanze per la dichiarazione di insolvenza di impresa soggetta a liquidazione coatta amministrativa con esclusione del fallimento (articolo 195 l.fall.), le istanze relative all’accertamento dello stato di insolvenza per le imprese soggette all’amministrazione straordinaria (articolo 3 D.Lgs. 270/1999: dunque non applicabile per le istanze relative alla c.d. amministrazione straordinaria speciale di cui al D.L. 347/2003) depositate durante il citato arco temporale.

Dall’evidenziazione in grassetto del testo dell’articolo del Decreto liquidità in esame, da cui si evincono le modifiche apportate al D.L. 23/2020 in sede di conversione, si evince che l’intento del legislatore è stato quello di ampliare da un lato le eccezioni alla disposizione temporanea della improcedibilità per evitare che ne beneficiasse una platea estremamente estesa e non meritevole (vista la ratio del provvedimento connessa all’emergenza Covid-19) e dall’altro che il beneficio non si trasformasse ingiustamente in una compromissione sia delle dichiarazioni successive stante di per sé comunque l’evidenza di un’insolvenza sia delle azioni future finalizzate al reintegro delle garanzie patrimoniali a tutela della par condicio creditorum.

Per gli effetti, dunque, non si prevista alcuna possibile declaratoria di improcedibilità: 1) qualora il ricorso per l’ammissione ad una delle procedure predette fosse stato presentato in proprio dall’imprenditore allorquando, però, la insolvenza non fosse conseguenza dell’epidemia Covid-19; 2) in caso di istanze di fallimento formulate o dal creditore o dal pubblico ministero nei casi di inammissibilità della proposta di concordato preventivo, di revoca dell’ammissione al concordato preventivo nel corso della procedura o di concordato respinto dal tribunale nel giudizio di omologazione; 3) ai ricorsi di fallimento presentati dal pubblico ministero contenenti la richiesta di emissione di provvedimenti cautelari e conservativi, quando l’insolvenza risultava nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali dell’impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore.

Di particolare e fondamentale interesse è poi il comma 3 dell’articolo 10 il quale specifica che se entro il 30 settembre 2020 è stato poi dichiarato il fallimento di un soggetto che abbia “usufruito” del periodo di improcedibilità tanto da ottenerne declaratoria, il relativo periodo di improcedibilità è da imputarsi quale sospensivo del decorso dei termini degli artt. 10, 64, 65, 67, primo e secondo comma, 69bis e 147 della legge fallimentare. In sostanza, si è posto un freezing di carattere eccezionale di 113 giorni.

Tale periodo si andrà a computare, sommandosi:

- ai fini del calcolo dell’anno anteriore decorrente dalla cancellazione dal registro delle imprese per la dichiarazione di fallimento (articolo 10 l.fall.) o del calcolo dell’anno anteriore per la declaratoria di fallimento dei soci dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata (articolo 147 l.fall.);

- ai fini del calcolo dei termini di decadenza e di prescrizione per la proposizione delle azioni revocatorie fallimentari (articolo 69bis l.fall.);

- ai fini del calcolo del c.d. “periodo sospetto” relativamente agli atti compiuti anteriormente alla dichiarazione di fallimento rispetto ai quali opera la falcidia della revocatoria fallimentare (artt. 64, 65 e 67, commi 1 e 2, l.fall.).

Questi due ultimi richiami a plurime disposizioni necessitano di sintetico memorandum per comprenderne la portata, combinando appresso sia la normale ipotesi di calcolo dalla dichiarazione di fallimento, sia la più articolata di dichiarazione in consecuzione di procedure. Ai sensi dell’articolo 69bis della legge fallimentare, le azioni revocatorie fallimentari non possono essere promosse decorsi tre anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque decorsi cinque anni dal compimento dell’atto. Per quanto attiene l’ipotesi di consecuzione di procedure, stabilisce sempre tale articolo che qualora alla domanda di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento i termini di cui agli artt. 64, 65, 67 primo e secondo comma, e 69 decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese. Pertanto rispetto alla data di pubblicazione della domanda di concordato preventivo potranno subire la declaratoria di inefficacia: gli atti a titolo gratuito eventualmente compiuti nei due anni anteriori (articolo 64 l.fall.); i pagamenti anticipati di crediti aventi di contro scadenza o alla data di dichiarazione del successivo fallimento o successivamente ad esse, se eseguiti nei due anni anteriori (articolo 65 l.fall.); gli atti a titolo oneroso, i pagamenti e le garanzia di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 67 l.fall. Ossia, per quanto attiene questi ultimi due commi: i) atti a titolo oneroso compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento (stante il richiamo dei cui all’articolo 69bis, dunque, fino all’anno anteriore alla pubblicazione della domanda di concordato preventivo) in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso; ii) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento (idem come sopra, in virtù del richiamo di cui all’articolo 69bis, si tratterà dell’anno anteriore alla precedente pubblicazione della domanda di concordato); iii) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per i debiti preesistenti non scaduti (idem vds. il predetto richiamo); iv) i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti (o nei sei mesi anteriori alla precedente domanda di concordato, in caso di consecuzione di procedure); v) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento (o, si ripete, nei sei mesi anteriori alla precedente pubblicazione della domanda di concordato preventivo).

Tornando all’argomento principale profferto dall’articolo 10 del “Decreto Liquidità”, il carattere della disposizione è dunque espressamente da sussumersi quale di eccezionalità, temporaneità e viepiù espressamente sottoposto alla verificazione di precise condizioni.

Parrebbe superfluo forse, ma si sono già registrati arrembanti pretese di curatori erroneamente convinti che la sospensione predetta operi di per sé in ogni caso e che dunque essa si possa liberamente e indistintamente applicare a tutti i fallimenti dichiarati successivamente al periodo di “moratoria”. Di contro sia dalla ratio dichiarata dal legislatore sia dal letterale tenore della norma, discende la necessità di aver sempre a mente che la norma pone espresse condizioni (e salva l’eccezione) in merito alla operatività del nuovo computo dei termini.

Il comma 1 dell’articolo 10 esprime una CONDIZIONE: ossia che i ricorsi siano stati depositati tra il 9 marzo e il 30 giugno (escludendosi dunque quelli già presentati e “pendenti”).

Il comma 2 dell’articolo 10 esprime una ECCEZIONE: ossia elenca espressamente le sole ipotesi al verificarsi delle quali non opera la conseguenza (rectius il beneficio) dell’improcedibilità, pur se a condizione avverata;

Il comma 3 dell’articolo 10 esprime DUE ULTERIORI CONDIZIONI CONCORRENTI CON LA PRIMA: ossia che, verificatasi la condizione del deposito (prima condizione), non avendo operato l’eccezione, dichiarata l’improcedibilità (seconda condizione concorrente), e ovviamente terminato il periodo di essa, sia stato poi dichiarato il fallimento entro il 30 settembre 2020 (terza condizione concorrente).

Orbene, dal tenore letterale della disposizione non può che discendere altro se non che il legislatore ha previsto che se e solo se dovessero dunque soddisfarsi le predette condizioni – ferme le eccezioni da cui però non discende alcuna operatività sospensiva – si avrà una maggiore estensione dei termini specificamente richiamati nella disposizione, sommando al computo di essi ulteriori 113 giorni.

Sarà necessario dunque di volta in volta, caso per caso, verificare attentamente se le condizioni si siano verificate e solo allora comprendere se, al fine della tutela della par condicio creditorum possano ritenersi estesi i termini e ci si possa giovare del fatto che il beneficio della improcedibilità non abbia comportato una compromissione della capacità di dichiarare poi il fallimento computando un termine annuale superiore (vds. artt. 10 e 147 l.fall.) o termini superiori di operatività degli strumenti finalizzati alla ricostruzione delle garanzie patrimoniali del debitore (artt. 64, 65 e 67, commi 1 e 2, 69bis l.fall.). Perché questo è stato il fine del legislatore. E, va da sé, pari verifica dovrà essere fatta da parte dei convenuti in revocatoria qualora dovessero ricevere richieste di inefficacia di atti compiuti oltre i vari periodi sospetti per comprenderne la legittimità della pretesa o meno.

Agli arrembaggi che pervengono e che, speriamo sempre meno, perverranno con pretese di immediata restituzione con minacciate revocatorie di atti e pagamenti compiuti ben oltre i termini di decadenza o prescrizione e/o oltre i rispettivi periodi sospetti senza che il fallimento richiedente sia stato dichiarato nelle predette circostanze e soddisfatte le specifiche condizioni, basterà ricordare il sacrosanto brocardo ubi lex voluit dixit.