Decreto Rilancio: ma l’Italia si avvia a diventare un paese trust?
Il testo del Decreto Rilancio reca, all’articolo 30, la disciplina di uno strumento giuridico nuovo, il Patrimonio destinato, una sorta di ircocervo, non possiamo dire quanto replicabile, in futuro, che peraltro rassomiglia molto da vicino a un trust.
Più in particolare, ritengo che questa figura possa rappresentare una sorta di statutory trust, cioè di un trust che nasce per volontà della legge.
Qualche hanno fa mi ero occupato della istituzione di quello che fu allora definito come il primo trust sorto ope legis perché era stato, allora, il Ministero competente che aveva scelto il ricorso a questo strumento per la gestione dello smaltimento dei pannelli fotovoltaici a fine ciclo.
Peraltro si trattava di un trust che sorgeva nell’ambito dell’autonomia privata e che rientrava a pieno titolo nell’ambito previsionale della Convenzione dell’Aja.
In questo caso la situazione è diversa perché la creazione di questo nuovo istituto deriva dall’esercizio del potere legislativo e quindi configura una situazione assolutamente nuova nel panorama giuridico con conseguenze sulle quali al momento è prematuro esprimersi, ma che potrebbero comunque aggiungere un importante tassello al dibattito, già presente in dottrina, se l’Italia possa dirsi un paese-trust.
In passato vi era già stata una serie di sporadici interventi che avevano generato situazioni che presentavano singoli aspetti riconducibili a un trust, quale per esempio la segregazione patrimoniale nell’ambito delle garanzie finanziarie, ma qui siamo di fronte invece, come vedremo meglio in prosieguo, a una disciplina organica che prende in esame e norma i tratti salienti di un nuovo istituto.
Cominciamo a vedere che cosa sono gli statutory trust e che cosa si intende per trust. Su questo punto, per rifarsi alla storica definizione di Underhill, il trust consiste in una obbligazione fiduciaria che vincola il trustee a gestire dei beni di cui gli è stata trasferita la proprietà a beneficio di terze persone, i beneficiari, di cui anch’egli può far parte, cui viene riconosciuto il diritto di agire perché il trustee svolga correttamente il suo ufficio.
Lo statutory trust è un trust che nasce per volontà della legge in determinate circostanze, che in UK sono riconducibili alla successione di chi muoia senza testamento, al trasferimento dei beni a un trustee in bankruptcy nel caso di fallimento, a una situazione di comproprietà su un terreno, ecc, in cui l’ordinamento decide che una determinata fattispecie sia regolata in base allo schema del trust, imponendo pertanto questa scelta che opera però dentro lo schema predefinito del trust all’interno del quale devono essere presenti, sia pure con gli adeguamenti del caso, gli elementi indicati nella definizione e le certezze che la giurisprudenza ha richiesto come necessarie.
Del resto se andiamo a vedere le leggi (Acts) che disciplinano le cennate fattispecie, quali per esempio, l’Insovency Act, 1986, o l’Administration of Estates Act, 1925, ci possiamo rendere agevolmente conto che la legge disciplina puntualmente tutti gli aspetti della procedura, dei poteri, dell’esonero da responsabilità in maniera estremamente puntuale, senza che però ciò metta in discussione l’ossatura del modello giuridico al cui interno queste disposizioni si collocano.
Quindi, il fatto che in questo caso il trust nasca per forza di legge non contrasta con la necessità che debba avere le caratteristiche tipiche di un trust e in particolare, sia pure con gli aggiustamenti del caso, rispettare la regola delle tre certezze, la regola cioè in Knight v Knight [1840] 3 Beav 148 at 173, secondo cui: “There can be no trust unless there is certainty in respect of the intention to create a trust, and in respect of the property which is the subject matter of the trust, and (charitable trusts apart) in respect of the beneficiaries. These are the ’three certainties’”.
Se passiamo a esaminare in quest’ottica il testo del Decreto Rilancio, vediamo subito quanto segue.
Il Governo italiano facoltizza la Cassa Depositi e Prestiti (in appresso CDP) a costituire un patrimonio destinato (1), quindi in sostanza un trust, di cui essa stessa dovrà svolgere il ruolo di trustee. Non mi sembra ardito affermare che alla Cassa - trustee sia stata affidata l’obbligazione fiduciaria di svolgere il compito definito nella norma; abbiamo inoltre la certezza dei beni, rappresentata dal patrimonio da conferire, individuato e individuabile, abbiamo infine l’indicazione di uno scopo e l’individuazione della categoria all’interno della quale andranno ricercati i beneficiari di cui sono indicate delle precise caratteristiche (lettere a,b,c,d del paragrafo 4).
Quindi il Governo, salva ratifica da parte del Parlamento, autorizza CDP a costituire “un patrimonio destinato” in cui vengono apportati (la terminologia è la stessa che si impiega per quei beni che vengono immessi in un trust) “beni e rapporti giuridici”. Anche questa estensione circa i beni che possono far parte del fondo così costituito è tipica del trust in cui possono confluire beni della più varia natura, rapporti giuridici, diritti, immobili, titoli di credito ecc. E del resto, così come accade per i beni in trust, il patrimonio che sarà apportato comprende anche i beni di tempo in tempo generati, le modificazioni e trasmutazioni che essi subiranno, nonché gli interessi prodotti e rivenienti dalla gestione delle risorse. Come si usa dire si tratta di un patrimonio “marchiato”, e questa caratterizzazione si espande e riguarda pertanto le variazioni cui i beni che fanno parte del patrimonio andranno incontro nel corso del tempo.
Il patrimonio inoltre è separato da quello del disponente (CDP); può essere suddiviso in sottofondi, che rispondono, a loro volta, unicamente delle obbligazioni da essi assunte (in questo caso si tratta di una struttura più complessa di quella dei sottofondi di un trust, perché ciascuno di essi viene dotato di specifica autonomia patrimoniale). Si aggiunge inoltre che il trustee CDP risponde verso i terzi solo nei limiti del patrimonio medesimo. Questa è una limitazione di responsabilità che ritroviamo ad esempio nella legge di Jersey (s.32 dellaTrust Jersey Law 1984 as amended) e non in quella inglese.
Coerentemente, sul patrimonio non sono ammesse azioni dei creditori di CDP in virtù dell’effetto segregativo impresso dalla legge e dell’autonomia patrimoniale conferitagli.
La mano statale si avverte nella successiva disposizione (2): gli apporti sono esenti da qualsiasi imposta (bollo, registro ipotecaria e catastale, tributo o diritto), neppure quindi la tassa fissa. Questo risultato che per il trust ha richiesto anni e “fiumi di inchiostro” lo si consegue con un tratto di penna.
Che poi a valere sul patrimonio siano emessi strumenti finanziari infruttiferi e irredimibili a favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze, non incide sulla ricostruzione della fattispecie.
Si precisa inoltre che l’Ente, il trust Patrimonio, viene costituito con deliberazione di CDP che identifica i beni e i rapporti compresi nel patrimonio destinato. Si riproduce in questa sede, a ben vedere, il primo obbligo facente carico al trustee, che, non appena nominato, deve identificare i beni che costituiscono il fondo in trust, apprenderli e allocarli debitamente onde non si corra il rischio che siano confusi con i suoi beni personali o con altri beni facenti parte di altro patrimonio di cui lo stesso sia ugualmente trustee.
Le decisioni sulla gestione vengono assunte con delibera del CdA di CDP, all’uopo integrato con la presenza di altri membri. Anche questo non rappresenta un problema. Si pensi a una trust company strutturata in modo analogo (con la presenza di un CdA). In ogni caso non è a questi aspetti particolari che si deve porre mente, ma al fatto che la costruzione ipotizzata presenti quegli elementi identificativi che possono farla riconoscere come un trust.
Più articolato l’aspetto relativo all’individuazione della natura del trust, se con beneficiari o di scopo (4). Com’è noto, infatti, si tratta di un problema che non appare sempre di facile soluzione.
In realtà la formula usata dal legislatore, come spesso accade in questi casi, si muove in quella linea di confine che separa trust di scopo e trust con beneficiari, e ora sembra identificarsi con uno scopo: il sostegno e il rilancio del sistema produttivo italiano, ora da individuare nei beneficiari: le imprese che operano, e, come poco fa accennato, con una elencazione puntuale delle caratteristiche che dette imprese devono presentare e la cui individuazione è demandata al trustee che potrà scegliere comunque all’interno di un perimetro ampio, ma circoscritto. Previsione che consente di affermare che non c’è il rischio di incorrere nella mera potestatività del potere attributivo conferito al trustee.
Premesso che in questa fattispecie non vi sono i limiti che con riferimento all’ordinamento inglese determinano la nullità del trust istituito per uno scopo che non sia charitable, e che quindi in questa sede la distinzione non appare decisiva, propenderei però per qualificare quello in esame come un trust di scopo in cui col riferimento ai criteri forniti per l’individuazione delle imprese destinatarie degli interventi, si precisa in quale direzione debba essere attuato il sostegno e il rilancio del sistema produttivo italiano.
La disposizione in esame prevede la presenza di un Regolamento del Fondo (6), del documento cioè che ne definisce più dettagliatamente il programma, destinato a entrare in vigore a seguito dell’approvazione da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze; provvede inoltre a determinare la misura del compenso che il trustee dovrà ricevere, e richiede altresì che venga redatto un rendiconto annuale. È superfluo ricordare che questo del rendiconto costituisce un imprescindibile dovere del trustee, ma è significativo altresì che si parli di rendiconto e non di bilancio, analogamente a quanto avviene per il trust. Coerentemente con l’impianto adottato, i beni e i rapporti giuridici acquisiti per effetto degli impieghi del Patrimonio Destinato sono intestati, e quindi fanno parte del Patrimonio stesso.
La possibilità che il Fondo possa autofinanziarsi (7) mediante emissione di strumenti di indebitamento con espressa previsione per cui delle obbligazioni relative risponderà unicamente col fondo destinato con esclusione del residuo patrimonio di CDP, rappresenta un ulteriore elemento di contatto con la disciplina dei trusts in cui la possibilità di indebitamento è frequentemente prevista a beneficio del conseguimento dello scopo del fondo medesimo oltre che dei beneficiari, fatto salvo il principio che di tale indebitamento risponde unicamente il fondo in trust.
La previsione della garanzia di ultima istanza dello Stato (8) è coerente con la natura di questo strumento come d’altra parte l’esenzione da ogni tipo di imposta di cui già in precedenza si è detto.
A proposito della posizione del trustee (12) si precisa che questi assumerà le responsabilità del mandatario (articolo 1710 Codice Civile), oltre a quella erariale, in caso di dolo e colpa grave. I sistemi legislativi che conoscono il trust prevedono gradazioni diverse in ordine alla responsabilità del trustee che comunque non si distaccano troppo dalla regola del prudent man, fermo restando che gli standard di diligenza richiesti aumentano con riferimento alle particolari conoscenze o professionalità che il soggetto incaricato di svolgere quel ruolo abbia. E questa disposizione si muove all’interno di questi principi. Le operazioni di impiego non sono inoltre soggette a revocatoria fallimentare.
Si prevede infine che il patrimonio destinato abbia una durata (dodici anni) (14), con possibilità che la stessa sia prorogata o ridotta previa delibera del CdA di CDP su richiesta del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Questa disposizione che prevede la possibilità di ridurre o prolungare la durata del trust deve essere letta in relazione allo scopo del trust che potrebbe essere conseguito anche prima del periodo stabilito, rendendo inutile la prosecuzione del trust, e del resto è normale che un trust possa cessare una volta conseguito il risultato per il quale è stato istituito. Di norma la durata non può essere prorogata, ma non dobbiamo dimenticare che non siamo in presenza di una legge che lo vieti, e in questo caso il prolungamento temporale non va a scontrarsi con la tutela degli interessi dei beneficiari che potrebbero essere ingiustamente penalizzati laddove non venissero messi in condizione di ricevere quanto loro spettante al momento stabilito.
Alcune considerazioni conclusive.
Rapporti con la Convenzione dell’Aja. Non credo che il problema debba porsi. Infatti la Convenzione ha il fine di stabilire la legge applicabile ai trust e di dettare le norme per il loro riconoscimento. Dal momento che qui si tratta di un trust che ha la sua fonte in una legge dello Stato, non vi è né il problema di stabilire la legge applicabile né quello del suo riconoscimento.
Quindi non rileva neppure il disposto dell’articolo 5 secondo cui la Convenzione non si applica qualora la legge che disciplinerà il trust non preveda l’istituto del trust. Ma questo punto, come accennavo in precedenza in modo provocatorio, apre un altro tema, se, a questo punto, l’Italia possa dirsi, o meno, un paese trust.
Un’ultima considerazione: nei trust con beneficiari, in cui la figura del guardiano non è obbligatoria (UK), si richiede comunque che ciascun beneficiario possa agire per ottenere che il trustee risponda al suo incarico. Nei trust di scopo è prevista la presenza di un enforcer, sovente dotato di assai incisivi poteri, che può costringere il trustee a assolvere ai suoi compiti.
La disciplina in esame, al riguardo, nulla prevede di specifico, ma penso che ciò non sia indispensabile, stante il fatto che il Patrimonio destinato (rectius: trust) nasce per volontà di legge e che quindi questa funzione, indipendentemente dalla indicazione specifica, sarà svolta dal dicastero da cui esso (CDP) dipende, e pertanto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, soggetto altresì al controllo della Corte dei Conti.