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Dimissioni volontarie e risoluzioni consensuali del rapporto: le novità della Legge 92/2012

[Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero personale dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza]

Tra le tante novità introdotte dalla Legge 28 giugno 2012 n. 92, riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita, particolare rilievo hanno quelle relative alle procedure di convalida delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali estese, con decorrenza 18 luglio 2012 data di entrata in vigore della normativa in questione, alla totalità dei lavoratori.

Da tale data infatti, oltre alla obbligatoria convalida ex art. 55 comma 4 del D.Lgs 151/2001 delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali - entro i primi tre anni di vita del bambino (ante riforma era necessaria entro il primo anno) - per la lavoratrice madre e per il lavoratore padre che ha fruito di congedi parentali, è stata introdotta, o per meglio dire reintrodotta (1), la convalida delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali per la generalità delle lavoratrici e dei lavoratori. La novella infatti stabilisce che la efficacia delle medesime è sospesa fino ad avvenuta convalida presso la Direzione Territoriale o il Centro per l’Impiego competente per territorio o presso le ulteriori sedi individuate dai Ccnl stipulati dalle Associazioni datoriali e dalle Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Nelle intenzioni del legislatore con tale convalida si cerca di circoscrivere il fenomeno delle “dimissioni in bianco” che l’Istat nel “Rapporto 2010 sulla situazione del Paese” ha ricordato essere molto significativo ed in crescita rispetto al passato (2).

La problematica delle “dimissioni in bianco” è stato anche oggetto di varie pronunce giurisprudenziali.

Da ultimo la Suprema Corte di Cassazione (3) ha affermato che integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che obblighi il lavoratore ad apporre la propria firma su lettere di dimissioni in bianco allo scopo di evitare le disposizioni legislative in tema al licenziamento. Gli Ermellini hanno, al riguardo, pure argomentato che in nessun caso può essere legittimata e ricondotta “alla normale dinamica di rapporti di lavoro” un’attività minatoria, in danno di lavoratori dipendenti, che approfitti delle difficoltà economiche o della situazione precaria del mercato del lavoro per ottenere il loro consenso a subire condizioni di lavoro deteriori - quale è appunto la richiesta del datore al lavoratore di firmare la propria lettera di dimissioni lasciando “in bianco” la data di cessazione del rapporto - rispetto a quelle previste dall’ordinamento giuridico.

Il Ministro del Welfare Elsa Fornero, riconoscendone importanza e delicatezza, ha dedicato all’argomento un intero paragrafo della relazione di presentazione al Consiglio dei Ministri del 23 marzo scorso, del disegno di riforma del mercato del lavoro, puntualizzando i motivi che rendevano indispensabile l’introduzione di strumenti idonei a prevenire le “dimissioni in bianco” e, nel contempo, rafforzare le tutele per la lavoratrice madre ed il lavoratore padre nei primi tre anni di vita del bambino (il paragrafo è riportato nel seguito).

Tutela della maternità e della paternità.

Con l’art. 4, comma 16, della legge di riforma si interviene sul comma 4 dell’art. 55 del Testo Unico in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, di cui al Decreto Legislativo n. 151/2001.

Ante riforma, le dimissioni volontarie presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, andavano convalidate dalla Direzione Territoriale del Lavoro, competente per territorio. A detta convalida risulta condizionata la risoluzione del rapporto di lavoro.

La nuova formulazione, che rafforza la tutela per lavoratrice madre e lavoratore padre e contrasta in maniera sempre più efficace il fenomeno dei licenziamenti mascherati da dimissioni “forzate”, stabilisce che la risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni decorrenti dal ricevimento della proposta di incontro con il minore adottando o dell’invito a recarsi all’estero per ricevere la proposta di abbinamento, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali competente per territorio. A detta convalida è sospensivamente condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro.

Rimane invece inalterato il periodo coperto dal divieto di licenziamento, nonché il periodo (fissato in un anno dalla nascita del bambino) entro il quale le dimissioni rese dalla lavoratrice o dal lavoratore che fruisca dei congedi parentali, danno luogo alle indennità previste in caso di disoccupazione involontaria.

Per quanto poi attiene alla obbligatorietà della convalida ex art. 55 comma 4 del T.U., una recentissima ed importante sentenza della Corte di Cassazione (4) - nell’accogliere il ricorso di un’azienda condannata dalla Corte d’Appello di Torino a riammettere in servizio un lavoratore padre dimessosi volontariamente senza preventiva convalida da parte della competente Direzione Territoriale del Lavoro, - ha stabilito che la tutela di cui al precitato art. 55 è condizionata alla fruizione da parte del lavoratore medesimo del congedo parentale.

Le altre dimissioni: tre percorsi per la convalida.

Dal 18 luglio, tutte le altre risoluzioni consensuali e le dimissioni volontarie non rientranti nel campo di applicazione del T.U. di tutela e sostegno della maternità e paternità, debbono comunque convalidate, ai sensi dell’art.4, commi 17 – 22, della legge di riforma.

Da tale data infatti l’efficacia delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro sono sospensivamente condizionate alla convalida da effettuarsi presso le Direzioni Territoriali del Lavoro o i Centri per l’Impiego competenti per territorio.

La legge prevede anche altre due possibilità. La prima è quella di poter effettuare detta convalida presso le sedi individuate dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale (5). La seconda invece consiste nella sottoscrizione di specifica dichiarazione da apporre in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro (modello Unilav) che il datore di lavoro deve inviare al Centro per l’Impiego con modalità telematiche entro cinque giorni dalla chiusura del rapporto (6). Questa a ben vedere è la metodologia più semplice e diretta. Infatti il datore di lavoro nel ricevere la lettera di dimissioni può effettuare immediatamente la comunicazione al Centro per l’Impiego competente e contestualmente chiedere al lavoratore di apporre in calce alla ricevuta di avvenuta trasmissione, esplicita dichiarazione in cui si conferma la volontà di dimettersi volontariamente.

In caso contrario, il datore al ricevimento della lettera di dimissioni (7) deve invitare, per iscritto, il lavoratore ad avviare la procedura di convalida.

L’invito (8) si intende validamente effettuato quando è recapitato al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato al datore di lavoro, ovvero quando è consegnato a mano con sottoscrizione di una copia per ricevuta. Dalla ricezione il lavoratore ha sette giorni per validare le dimissioni, decorsi i quali il rapporto di lavoro si intende risolto, per il verificarsi della condizione sospensiva. Ciò sta a significare che decorso tale termine le dimissioni si intendono comunque convalidate ed il rapporto cesserà alla data prevista.

Nell’indicato arco temporale di sette giorni, la legge consente al lavoratore anche una sorta di diritto di revoca, da comunicare in forma scritta al datore. In tale ipotesi, il rapporto di lavoro, se interrotto per effetto del recesso, torna ad avere corso normale dal giorno successivo alla comunicazione della revoca.

I sette giorni di cui trattasi (da intendersi di calendario, per evidenti ragioni di certezza, come precisato dal Ministero del Lavoro con circolare n. 18/2012) possono sovrapporsi, in tutto o in parte, al periodo di preavviso. Da ciò discende che il datore può legittimamente invitare il lavoratore a convalidare le dimissioni fin dal momento in cui riceve la sua manifestazione di volontà di recedere dal rapporto di lavoro.

Lavoratori e datori interessati dalla nuova disciplina.

Uno dei punti di maggiore interesse della novella è stabilire quali sono i datori di lavoro nei cui confronti si applica la nuova disciplina ed i lavoratori interessati dall’obbligo di convalida delle proprie dimissioni.

Per quanto riguardo il primo aspetto si può affermare che la normativa di cui trattasi interessa tutti i datori di lavoro privati e pubblici compresi i datori domestici per i quali rimane immutata la possibilità di recesso “ad nutum”.

Che nell’ambito di applicazione della novella siano ricompresi i datori pubblici si rileva dall’art. 1, commi 7 ed 8 laddove viene stabilito che le disposizioni di cui alla normativa in commento “costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni” dove rientrano tra l’altro tutte le Amministrazioni dello Stato, ivi comprese le scuole di ogni ordine e grado, le Regioni, le Province, i Comuni, le Università, le Camere di commercio, gli enti pubblici non economici, le Agenzie fiscali e le aziende del Servizio sanitario nazionale.

Per quanto invece attiene al primo aspetto, anche se la norma fa specifico ed esclusivo riferimento alla volontà di risolvere il rapporto di lavoro da parte del lavoratore senza ulteriori precisazioni in merito si ritiene che la nuova disciplina tuteli esclusivamente i prestatori di lavoro subordinato con esclusione di ogni altra categoria. Per tale motivo nell’obbligo di convalida rientrano le dimissioni e le risoluzioni consensuali (art. 1372 cod. civ.) riconducibili a:

- rapporti di lavoro subordinato, privati e pubblici, indipendentemente da categoria (operai, impiegati, quadri e dirigenti) e durata contrattuale, anche se ancora ricompresi nel periodo di prova;

- rapporto di lavoro intermittente o a chiamata (artt. 33 – 40 D.lgs. 276/2003);

- rapporti di lavoro domestico (L. 339/1958);

- giusta causa e giustificato motivo;

- dimissioni incentivate cioè quelle presentate dal lavoratore a fronte di un incentivo economico concesso dal datore;

- soci di cooperative di lavoro con i quali sia stato instaurato, oltre al rapporto associativo, anche un ulteriore rapporto di lavoro subordinato (L. 142/2001);

- rapporti di lavoro degli sportivi professionisti (L. 91/81).

Invece a parere di chi scrive l’obbligo di convalida, in ragione del tenore della novella, non sussiste per le dimissioni presentate per pensionamento, di anzianità e di vecchiaia. Analogo ragionamento vale per stages e tirocini. Il predetto obbligo non sussiste neppure per i rapporti di impiego disciplinati dall’art. 3 del D.Lgs. 165/2001 e cioè: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia.

La convalida non è parimenti richiesta in tutte le ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro rientranti “nell’ambito di procedure di riduzione del personale svolte in una sede qualificata istituzionale o sindacale (ad es. ex artt. 410, 411 e 420 del codice di procedura civile), ciò in quanto tali sedi offrono le stesse garanzie di verifica della genuinità del consenso del lavoratore cui è preordinata la novella normativa”.

Il medesimo Dicastero ha anche precisato che le convalide diverse da quelle riconducibili all’art. 55, comma 4 del T.U. di tutela della genitorialità, effettuate presso le DTL dovranno essere effettuate senza particolari formalità istruttorie. I funzionari incaricati si dovranno limitare a raccogliere la genuina manifestazione di volontà del lavoratore a cessare il rapporto di lavoro.

Gli Uffici pubblici competenti per territorio alla convalida.

Il comma 17 dell’art. 4 della Legge 92/2012 stabilisce che la convalida di cui trattasi debba essere effettuata presso “la Direzione territoriale del Lavoro o il Centro per l’impiego territorialmente competenti” senza ulteriori specificazioni. Senza cioè chiarire se la competenza “territoriale” vada individuata con riguardo alla sede legale dell’azienda, alla residenza del lavoratore o alla unità produttiva dove lo stesso prestava la sua attività lavorativa. La risposta va ricercata nello spirito della norma che è, pacificamente, quella di combattere le dimissioni non genuine e di accertare la veridicità della data apposta nella lettera di recesso senza creare inutili aggravi per il lavoratore e per l’intera procedura. Per tali ragioni, a parere di chi scrive, la competenza territoriale deve essere posta in relazione alla residenza o al domicilio del lavoratore, in quanto una diversa lettura potrebbe comportare per lo stesso l’inutile aggravio di doversi recare presso la DTL o al Centro per l’Impiego competenti in base alla sede aziendale o al luogo dove si è svolta l’attività lavorativa che potrebbero anche essere ubicate in altra provincia o addirittura in altra regione. Si è altresì dell’avviso che, in attesa di un chiarimento ministeriale quanto mai opportuno, le dimissioni vadano sempre validate prescindendo da ogni ulteriore argomentazione in base alla sede aziendale o la residenza del lavoratore.

Regime sanzionatorio.

Il regime sanzionatorio introdotto, particolarmente severo, trova la sua ragione d’essere nel Codice delle pari opportunità tra uomo e donna approvato con D.Lgs. 11.04.2006 n. 198 che, tra l’altro ha introdotto definizioni più puntuali di discriminazione diretta ed indiretta. Nello specifico costituisce “discriminazione diretta” qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga. Di converso si parla di “discriminazione indiretta”, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.

Ebbene in presenza della violazione di cui trattasi il Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, ordina la cessazione del comportamento denunciato oltre al risarcimento, nei limiti della prova fornita, del danno anche non patrimoniale subito. In caso di inottemperanza il trasgressore è punito con l’ammenda fino a 50 mila euro o l’arresto fino a sei mesi (9).

Inoltre l’accertamento di una siffatta situazione può comportare per i soggetti che hanno posto in essere tali discriminazioni la revoca di benefici pubblici nel caso ricevuti - previa comunicazione della DTL alle Amministrazioni ed agli Enti cha hanno concesso detti benefici - e, nelle ipotesi più gravi o in presenza di recidiva, anche l’esclusione dei responsabili per un periodo di tempo fino a due anni da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie e da qualsiasi appalto (10).

Da ciò discende che il fenomeno delle “dimissioni in bianco”, oltre ad integrare il delitto di estorsione (vedi infra) è un palese e grave caso di discriminazione che il legislatore ha ritenuto di sanzionare in modo severo. Infatti, salvo che il fatto costituisca reato, il datore che abusi del foglio firmato in bianco dalla lavoratrice o dal lavoratore al fine di simularne le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto, è punito con la sanzione amministrativa da 5.000 a 30.000 euro. L’accertamento e l’irrogazione della sanzione sono di competenza delle Direzioni Territoriali del Lavoro. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689.

(1) In precedenza con Legge 188/2007 era stata introdotta una procedura per le dimissioni volontarie dei lavoratori e dei prestatori d’opera abrogata, visti i risultati insoddisfacenti, pochi mesi dopo la sua entrata in vigore dal governo Berlusconi con la prima manovra d’estate.

(2) Rapporto Annuale – La situazione del Paese nel 2010. Paragrafo 3.3.3 - le interruzioni di lavoro per la nascita di un figlio: le “dimissioni in bianco” Pagg. 153 - 155. (……) In sintesi, a fronte di una sostanziale stabilità nelle diverse generazioni della quota di madri che interrompono l’attività lavorativa per la nascita di un figlio, tra le giovani generazioni sono in crescita le interruzioni più o meno velatamente imposte dal datore di lavoro, le cosiddette “dimissioni in bianco” che quasi si sovrappongono al totale delle dimissioni. Per le donne nate tra il 1944 e il 1953, il fenomeno riguardava meno della metà delle interruzioni per nascita di un figlio. La situazione appare particolarmente critica nel Mezzogiorno, dove pressoché la totalità delle interruzioni legate alla nascita di un figlio può ricondursi alle dimissioni forzate.

(3) Cass., sez. VI pen, sent. 31.08.2010 n. 32525.

(4) Cass., Sez Lav, sent. 11 luglio 2012 n. 11676

(5) Il 3 agosto scorso Confindustria e Cgil, Cisl e Uil hanno sottoscritto un Accordo Interconfederale in ragione del quale la convalida delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali può essere validamente effettuata in sede sindacale ai sensi delle disposizioni del Cod. proc. civ. fermo restando che i C.c.n.l. potranno disciplinare ulteriormente la materia. Nel seguito il testo integrale dell’accordo.

(6) Art. 21 Legge 264/49

(7) Le dimissioni costituiscono l’atto unilaterale recettizio e volontario con cui il lavoratore comunica al datore di lavoro la propria intenzione di recedere dal rapporto di lavoro e che, ante riforma, erano efficaci dal momento in cui giungevano a conoscenza di controparte. Riguardo alla forma, le dimissioni possono essere comunicate anche oralmente sempreché i contratti non prevedano, pena l’invalidità, la forma scritta. La legge 92/2012 nulla innova rispetto alla forma delle dimissioni, però la procedura di convalida introdotta ed i tempi (perentori) entro cui porla in essere rende di fatto sempre “opportuna” la forma scritta.

(8) Per dare effettività alla intera procedura di convalida l’invito al lavoratore deve essere trasmesso dal datore entro 30 giorni dalla ricezione della lettera di dimissioni o dalla data di sottoscrizione della risoluzione consensuale. In caso di inerzia del datore, decorso tale termine le dimissioni sono definitivamente prive di effetto.

(9) Art. 38 D,Lgs. 11.04.2006 n. 198.

(10) Art.41 D,Lgs. 11.04.2006 n. 198.

Il testo dell’accordo interconfederale sulla convalida delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 4 comma 17 Legge 28.06.2012 n. 92

Addi 3/08/2012 in Roma

tra

Confindustria

e

Cgil, Cisl e Uil

premesso che

- il comma 17 dell’art. 4, della legge n. 92 del 2012 disciplina la procedura di convalida delle dimissioni nonché delle risoluzioni consensuali;

- la disposizione citata individua quali sedi autorizzate ad operare la convalida la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per l’impiego territorialmente competenti;

- lo stesso comma 17 riconosce altresì ai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale la possibilità di individuare ulteriori sedi autorizzate;

- le parti intendono avvalersi di tale facoltà al fine di agevolare l’attuazione della nuova disciplina della convalida delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali;

- il Ministero del Lavoro, con la circolare n. 18/2012, ha riconosciuto le sedi sindacali quali sedi qualificate in grado di offrire “le stesse garanzie di verifica della genuinità del consenso del lavoratore cui è preordinata la novella normativa”.

convengono che

1. le premesse formano parte integrante della presente intesa;

2. in attuazione dell’art. 4, comma 17, della legge 28 giugno 2012, n. 92, la convalida delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali può essere validamente effettuata in sede sindacale, ai sensi delle disposizioni del codice di procedura civile;

3. è fatta salva la possibilità dei contratti nazionali di individuare sedi ulteriori rispetto a quelle indicate dal presente accordo.

Le parti sono impegnate, ciascuna per le proprie competenze, ad assicurare l’informazione a lavoratori e imprese sui contenuti del presente accordo.

La riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita presentata dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali con delega alle Pari Opportunità, Prof.ssa Elsa Fornero, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Prof. Mario Monti, al Consiglio dei Ministri del 23 marzo 2012 e approvata dallo stesso nella medesima seduta

7.1- Tutela della maternità e paternità e contrasto del fenomeno delle dimissioni in bianco

Si introduce, a favore di tutti i lavoratori, per quanto il fenomeno riguardi prevalentemente le lavoratrici, la disposizione volta a contrastare la pratica delle cosiddette “dimissioni in bianco”, con modalità semplificate rispetto a quelle previste dalla abrogata L. 188/2007, e senza oneri per il datore di lavoro e il lavoratore. Inoltre, viene rafforzato il regime della convalida delle dimissioni rese dalle lavoratrici madri.

In particolare, la prima sezione della norma estende la convalida anche all’ipotesi della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, che precedentemente veniva utilizzata per aggirare la disciplina delle dimissioni.

Si estende da uno a tre anni di vita del bambino (con corrispondenti adeguamenti per l’ipotesi di adozione o affidamento, anche internazionale) il periodo entro il quale le dimissioni della lavoratrice o del lavoratore devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro per poter acquisire efficacia.

Rimane inalterato, invece, il periodo coperto dal divieto di licenziamento, nonché il periodo, che è sempre di un anno dalla nascita del bambino, previsto dall’art. 55 comma 1 del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, entro il quale le dimissioni, se rese dalla lavoratrice o dal lavoratore che fruisca del congedo di paternità, danno luogo alla spettanza delle indennità previste per il caso di licenziamento, cioè in pratica all’indennità sostitutiva del preavviso, come se si tratti di dimissioni rese per giusta causa.

La seconda parte della disposizione comporta, ai fini dell’efficacia delle dimissioni e della risoluzione consensuale, che la volontà risolutoria venga espressa attraverso modalità comunque volte ad accertare l’autentica genuinità e contestualità della manifestazione di volontà del lavoratore di risolvere il rapporto di lavoro. Ciò avverrà tramite modalità alternative tra loro. Una prima modalità contempla che le parti possano rivolgersi al servizio ispettivo del Ministero del Lavoro per la convalida. Una seconda modalità è la sottoscrizione di un’apposita dichiarazione in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro che il datore è già tenuto ad inviare al Centro per l’impiego ai sensi dell’art. 21 della legge n. 264/1949; con la precisazione che, effettuandosi tale comunicazione in forma telematica, lo scarico della ricevuta di trasmissione non comporta tempi di ulteriore attesa. La nuova procedura, che si estrinseca in fasi ben determinate, tutela sia la posizione del lavoratore sia quella del datore di lavoro. Infatti, la norma, nel dare contezza degli effetti derivanti da ciascun comportamento che il prestatore di lavoro pone in essere, da un lato tutela la libertà della lavoratrice/lavoratore, in quanto prova l’autentica volontà degli stessi di dimettersi o di risolvere consensualmente il rapporto di lavoro, dall’altro, tutela l’affidamento del datore di lavoro conseguente ai comportamenti del lavoratore.

Altre modalità, sempre funzionali alla semplificazione, potranno essere individuate con decreto ministeriale anche in funzione dell’evoluzione dei mezzi tecnologici e informatici.

In ogni caso è prevista una sanzione amministrativa qualora risulti l’abuso del foglio firmato in bianco, fermo restando l’eventuale applicazione della sanzione penale, ove possano riscontrare gli estremi di reato.

Qualora emerga evidenza di dimissioni in bianco, le dimissioni sono da considerarsi licenziamento discriminatorio con tutte le conseguenze che questo comporta.

[Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero personale dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza]

Tra le tante novità introdotte dalla Legge 28 giugno 2012 n. 92, riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita, particolare rilievo hanno quelle relative alle procedure di convalida delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali estese, con decorrenza 18 luglio 2012 data di entrata in vigore della normativa in questione, alla totalità dei lavoratori.

Da tale data infatti, oltre alla obbligatoria convalida ex art. 55 comma 4 del D.Lgs 151/2001 delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali - entro i primi tre anni di vita del bambino (ante riforma era necessaria entro il primo anno) - per la lavoratrice madre e per il lavoratore padre che ha fruito di congedi parentali, è stata introdotta, o per meglio dire reintrodotta (1), la convalida delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali per la generalità delle lavoratrici e dei lavoratori. La novella infatti stabilisce che la efficacia delle medesime è sospesa fino ad avvenuta convalida presso la Direzione Territoriale o il Centro per l’Impiego competente per territorio o presso le ulteriori sedi individuate dai Ccnl stipulati dalle Associazioni datoriali e dalle Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Nelle intenzioni del legislatore con tale convalida si cerca di circoscrivere il fenomeno delle “dimissioni in bianco” che l’Istat nel “Rapporto 2010 sulla situazione del Paese” ha ricordato essere molto significativo ed in crescita rispetto al passato (2).

La problematica delle “dimissioni in bianco” è stato anche oggetto di varie pronunce giurisprudenziali.

Da ultimo la Suprema Corte di Cassazione (3) ha affermato che integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che obblighi il lavoratore ad apporre la propria firma su lettere di dimissioni in bianco allo scopo di evitare le disposizioni legislative in tema al licenziamento. Gli Ermellini hanno, al riguardo, pure argomentato che in nessun caso può essere legittimata e ricondotta “alla normale dinamica di rapporti di lavoro” un’attività minatoria, in danno di lavoratori dipendenti, che approfitti delle difficoltà economiche o della situazione precaria del mercato del lavoro per ottenere il loro consenso a subire condizioni di lavoro deteriori - quale è appunto la richiesta del datore al lavoratore di firmare la propria lettera di dimissioni lasciando “in bianco” la data di cessazione del rapporto - rispetto a quelle previste dall’ordinamento giuridico.

Il Ministro del Welfare Elsa Fornero, riconoscendone importanza e delicatezza, ha dedicato all’argomento un intero paragrafo della relazione di presentazione al Consiglio dei Ministri del 23 marzo scorso, del disegno di riforma del mercato del lavoro, puntualizzando i motivi che rendevano indispensabile l’introduzione di strumenti idonei a prevenire le “dimissioni in bianco” e, nel contempo, rafforzare le tutele per la lavoratrice madre ed il lavoratore padre nei primi tre anni di vita del bambino (il paragrafo è riportato nel seguito).

Tutela della maternità e della paternità.

Con l’art. 4, comma 16, della legge di riforma si interviene sul comma 4 dell’art. 55 del Testo Unico in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, di cui al Decreto Legislativo n. 151/2001.

Ante riforma, le dimissioni volontarie presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, andavano convalidate dalla Direzione Territoriale del Lavoro, competente per territorio. A detta convalida risulta condizionata la risoluzione del rapporto di lavoro.

La nuova formulazione, che rafforza la tutela per lavoratrice madre e lavoratore padre e contrasta in maniera sempre più efficace il fenomeno dei licenziamenti mascherati da dimissioni “forzate”, stabilisce che la risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni decorrenti dal ricevimento della proposta di incontro con il minore adottando o dell’invito a recarsi all’estero per ricevere la proposta di abbinamento, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali competente per territorio. A detta convalida è sospensivamente condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro.

Rimane invece inalterato il periodo coperto dal divieto di licenziamento, nonché il periodo (fissato in un anno dalla nascita del bambino) entro il quale le dimissioni rese dalla lavoratrice o dal lavoratore che fruisca dei congedi parentali, danno luogo alle indennità previste in caso di disoccupazione involontaria.

Per quanto poi attiene alla obbligatorietà della convalida ex art. 55 comma 4 del T.U., una recentissima ed importante sentenza della Corte di Cassazione (4) - nell’accogliere il ricorso di un’azienda condannata dalla Corte d’Appello di Torino a riammettere in servizio un lavoratore padre dimessosi volontariamente senza preventiva convalida da parte della competente Direzione Territoriale del Lavoro, - ha stabilito che la tutela di cui al precitato art. 55 è condizionata alla fruizione da parte del lavoratore medesimo del congedo parentale.

Le altre dimissioni: tre percorsi per la convalida.

Dal 18 luglio, tutte le altre risoluzioni consensuali e le dimissioni volontarie non rientranti nel campo di applicazione del T.U. di tutela e sostegno della maternità e paternità, debbono comunque convalidate, ai sensi dell’art.4, commi 17 – 22, della legge di riforma.

Da tale data infatti l’efficacia delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro sono sospensivamente condizionate alla convalida da effettuarsi presso le Direzioni Territoriali del Lavoro o i Centri per l’Impiego competenti per territorio.

La legge prevede anche altre due possibilità. La prima è quella di poter effettuare detta convalida presso le sedi individuate dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale (5). La seconda invece consiste nella sottoscrizione di specifica dichiarazione da apporre in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro (modello Unilav) che il datore di lavoro deve inviare al Centro per l’Impiego con modalità telematiche entro cinque giorni dalla chiusura del rapporto (6). Questa a ben vedere è la metodologia più semplice e diretta. Infatti il datore di lavoro nel ricevere la lettera di dimissioni può effettuare immediatamente la comunicazione al Centro per l’Impiego competente e contestualmente chiedere al lavoratore di apporre in calce alla ricevuta di avvenuta trasmissione, esplicita dichiarazione in cui si conferma la volontà di dimettersi volontariamente.

In caso contrario, il datore al ricevimento della lettera di dimissioni (7) deve invitare, per iscritto, il lavoratore ad avviare la procedura di convalida.

L’invito (8) si intende validamente effettuato quando è recapitato al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato al datore di lavoro, ovvero quando è consegnato a mano con sottoscrizione di una copia per ricevuta. Dalla ricezione il lavoratore ha sette giorni per validare le dimissioni, decorsi i quali il rapporto di lavoro si intende risolto, per il verificarsi della condizione sospensiva. Ciò sta a significare che decorso tale termine le dimissioni si intendono comunque convalidate ed il rapporto cesserà alla data prevista.

Nell’indicato arco temporale di sette giorni, la legge consente al lavoratore anche una sorta di diritto di revoca, da comunicare in forma scritta al datore. In tale ipotesi, il rapporto di lavoro, se interrotto per effetto del recesso, torna ad avere corso normale dal giorno successivo alla comunicazione della revoca.

I sette giorni di cui trattasi (da intendersi di calendario, per evidenti ragioni di certezza, come precisato dal Ministero del Lavoro con circolare n. 18/2012) possono sovrapporsi, in tutto o in parte, al periodo di preavviso. Da ciò discende che il datore può legittimamente invitare il lavoratore a convalidare le dimissioni fin dal momento in cui riceve la sua manifestazione di volontà di recedere dal rapporto di lavoro.

Lavoratori e datori interessati dalla nuova disciplina.

Uno dei punti di maggiore interesse della novella è stabilire quali sono i datori di lavoro nei cui confronti si applica la nuova disciplina ed i lavoratori interessati dall’obbligo di convalida delle proprie dimissioni.

Per quanto riguardo il primo aspetto si può affermare che la normativa di cui trattasi interessa tutti i datori di lavoro privati e pubblici compresi i datori domestici per i quali rimane immutata la possibilità di recesso “ad nutum”.

Che nell’ambito di applicazione della novella siano ricompresi i datori pubblici si rileva dall’art. 1, commi 7 ed 8 laddove viene stabilito che le disposizioni di cui alla normativa in commento “costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni” dove rientrano tra l’altro tutte le Amministrazioni dello Stato, ivi comprese le scuole di ogni ordine e grado, le Regioni, le Province, i Comuni, le Università, le Camere di commercio, gli enti pubblici non economici, le Agenzie fiscali e le aziende del Servizio sanitario nazionale.

Per quanto invece attiene al primo aspetto, anche se la norma fa specifico ed esclusivo riferimento alla volontà di risolvere il rapporto di lavoro da parte del lavoratore senza ulteriori precisazioni in merito si ritiene che la nuova disciplina tuteli esclusivamente i prestatori di lavoro subordinato con esclusione di ogni altra categoria. Per tale motivo nell’obbligo di convalida rientrano le dimissioni e le risoluzioni consensuali (art. 1372 cod. civ.) riconducibili a:

- rapporti di lavoro subordinato, privati e pubblici, indipendentemente da categoria (operai, impiegati, quadri e dirigenti) e durata contrattuale, anche se ancora ricompresi nel periodo di prova;

- rapporto di lavoro intermittente o a chiamata (artt. 33 – 40 D.lgs. 276/2003);

- rapporti di lavoro domestico (L. 339/1958);

- giusta causa e giustificato motivo;

- dimissioni incentivate cioè quelle presentate dal lavoratore a fronte di un incentivo economico concesso dal datore;

- soci di cooperative di lavoro con i quali sia stato instaurato, oltre al rapporto associativo, anche un ulteriore rapporto di lavoro subordinato (L. 142/2001);

- rapporti di lavoro degli sportivi professionisti (L. 91/81).

Invece a parere di chi scrive l’obbligo di convalida, in ragione del tenore della novella, non sussiste per le dimissioni presentate per pensionamento, di anzianità e di vecchiaia. Analogo ragionamento vale per stages e tirocini. Il predetto obbligo non sussiste neppure per i rapporti di impiego disciplinati dall’art. 3 del D.Lgs. 165/2001 e cioè: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia.

La convalida non è parimenti richiesta in tutte le ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro rientranti “nell’ambito di procedure di riduzione del personale svolte in una sede qualificata istituzionale o sindacale (ad es. ex artt. 410, 411 e 420 del codice di procedura civile), ciò in quanto tali sedi offrono le stesse garanzie di verifica della genuinità del consenso del lavoratore cui è preordinata la novella normativa”.

Il medesimo Dicastero ha anche precisato che le convalide diverse da quelle riconducibili all’art. 55, comma 4 del T.U. di tutela della genitorialità, effettuate presso le DTL dovranno essere effettuate senza particolari formalità istruttorie. I funzionari incaricati si dovranno limitare a raccogliere la genuina manifestazione di volontà del lavoratore a cessare il rapporto di lavoro.

Gli Uffici pubblici competenti per territorio alla convalida.

Il comma 17 dell’art. 4 della Legge 92/2012 stabilisce che la convalida di cui trattasi debba essere effettuata presso “la Direzione territoriale del Lavoro o il Centro per l’impiego territorialmente competenti” senza ulteriori specificazioni. Senza cioè chiarire se la competenza “territoriale” vada individuata con riguardo alla sede legale dell’azienda, alla residenza del lavoratore o alla unità produttiva dove lo stesso prestava la sua attività lavorativa. La risposta va ricercata nello spirito della norma che è, pacificamente, quella di combattere le dimissioni non genuine e di accertare la veridicità della data apposta nella lettera di recesso senza creare inutili aggravi per il lavoratore e per l’intera procedura. Per tali ragioni, a parere di chi scrive, la competenza territoriale deve essere posta in relazione alla residenza o al domicilio del lavoratore, in quanto una diversa lettura potrebbe comportare per lo stesso l’inutile aggravio di doversi recare presso la DTL o al Centro per l’Impiego competenti in base alla sede aziendale o al luogo dove si è svolta l’attività lavorativa che potrebbero anche essere ubicate in altra provincia o addirittura in altra regione. Si è altresì dell’avviso che, in attesa di un chiarimento ministeriale quanto mai opportuno, le dimissioni vadano sempre validate prescindendo da ogni ulteriore argomentazione in base alla sede aziendale o la residenza del lavoratore.

Regime sanzionatorio.

Il regime sanzionatorio introdotto, particolarmente severo, trova la sua ragione d’essere nel Codice delle pari opportunità tra uomo e donna approvato con D.Lgs. 11.04.2006 n. 198 che, tra l’altro ha introdotto definizioni più puntuali di discriminazione diretta ed indiretta. Nello specifico costituisce “discriminazione diretta” qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga. Di converso si parla di “discriminazione indiretta”, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.

Ebbene in presenza della violazione di cui trattasi il Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, ordina la cessazione del comportamento denunciato oltre al risarcimento, nei limiti della prova fornita, del danno anche non patrimoniale subito. In caso di inottemperanza il trasgressore è punito con l’ammenda fino a 50 mila euro o l’arresto fino a sei mesi (9).

Inoltre l’accertamento di una siffatta situazione può comportare per i soggetti che hanno posto in essere tali discriminazioni la revoca di benefici pubblici nel caso ricevuti - previa comunicazione della DTL alle Amministrazioni ed agli Enti cha hanno concesso detti benefici - e, nelle ipotesi più gravi o in presenza di recidiva, anche l’esclusione dei responsabili per un periodo di tempo fino a due anni da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie e da qualsiasi appalto (10).

Da ciò discende che il fenomeno delle “dimissioni in bianco”, oltre ad integrare il delitto di estorsione (vedi infra) è un palese e grave caso di discriminazione che il legislatore ha ritenuto di sanzionare in modo severo. Infatti, salvo che il fatto costituisca reato, il datore che abusi del foglio firmato in bianco dalla lavoratrice o dal lavoratore al fine di simularne le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto, è punito con la sanzione amministrativa da 5.000 a 30.000 euro. L’accertamento e l’irrogazione della sanzione sono di competenza delle Direzioni Territoriali del Lavoro. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689.

(1) In precedenza con Legge 188/2007 era stata introdotta una procedura per le dimissioni volontarie dei lavoratori e dei prestatori d’opera abrogata, visti i risultati insoddisfacenti, pochi mesi dopo la sua entrata in vigore dal governo Berlusconi con la prima manovra d’estate.

(2) Rapporto Annuale – La situazione del Paese nel 2010. Paragrafo 3.3.3 - le interruzioni di lavoro per la nascita di un figlio: le “dimissioni in bianco” Pagg. 153 - 155. (……) In sintesi, a fronte di una sostanziale stabilità nelle diverse generazioni della quota di madri che interrompono l’attività lavorativa per la nascita di un figlio, tra le giovani generazioni sono in crescita le interruzioni più o meno velatamente imposte dal datore di lavoro, le cosiddette “dimissioni in bianco” che quasi si sovrappongono al totale delle dimissioni. Per le donne nate tra il 1944 e il 1953, il fenomeno riguardava meno della metà delle interruzioni per nascita di un figlio. La situazione appare particolarmente critica nel Mezzogiorno, dove pressoché la totalità delle interruzioni legate alla nascita di un figlio può ricondursi alle dimissioni forzate.

(3) Cass., sez. VI pen, sent. 31.08.2010 n. 32525.

(4) Cass., Sez Lav, sent. 11 luglio 2012 n. 11676

(5) Il 3 agosto scorso Confindustria e Cgil, Cisl e Uil hanno sottoscritto un Accordo Interconfederale in ragione del quale la convalida delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali può essere validamente effettuata in sede sindacale ai sensi delle disposizioni del Cod. proc. civ. fermo restando che i C.c.n.l. potranno disciplinare ulteriormente la materia. Nel seguito il testo integrale dell’accordo.

(6) Art. 21 Legge 264/49

(7) Le dimissioni costituiscono l’atto unilaterale recettizio e volontario con cui il lavoratore comunica al datore di lavoro la propria intenzione di recedere dal rapporto di lavoro e che, ante riforma, erano efficaci dal momento in cui giungevano a conoscenza di controparte. Riguardo alla forma, le dimissioni possono essere comunicate anche oralmente sempreché i contratti non prevedano, pena l’invalidità, la forma scritta. La legge 92/2012 nulla innova rispetto alla forma delle dimissioni, però la procedura di convalida introdotta ed i tempi (perentori) entro cui porla in essere rende di fatto sempre “opportuna” la forma scritta.

(8) Per dare effettività alla intera procedura di convalida l’invito al lavoratore deve essere trasmesso dal datore entro 30 giorni dalla ricezione della lettera di dimissioni o dalla data di sottoscrizione della risoluzione consensuale. In caso di inerzia del datore, decorso tale termine le dimissioni sono definitivamente prive di effetto.

(9) Art. 38 D,Lgs. 11.04.2006 n. 198.

(10) Art.41 D,Lgs. 11.04.2006 n. 198.

Il testo dell’accordo interconfederale sulla convalida delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 4 comma 17 Legge 28.06.2012 n. 92

Addi 3/08/2012 in Roma

tra

Confindustria

e

Cgil, Cisl e Uil

premesso che

- il comma 17 dell’art. 4, della legge n. 92 del 2012 disciplina la procedura di convalida delle dimissioni nonché delle risoluzioni consensuali;

- la disposizione citata individua quali sedi autorizzate ad operare la convalida la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per l’impiego territorialmente competenti;

- lo stesso comma 17 riconosce altresì ai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale la possibilità di individuare ulteriori sedi autorizzate;

- le parti intendono avvalersi di tale facoltà al fine di agevolare l’attuazione della nuova disciplina della convalida delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali;

- il Ministero del Lavoro, con la circolare n. 18/2012, ha riconosciuto le sedi sindacali quali sedi qualificate in grado di offrire “le stesse garanzie di verifica della genuinità del consenso del lavoratore cui è preordinata la novella normativa”.

convengono che

1. le premesse formano parte integrante della presente intesa;

2. in attuazione dell’art. 4, comma 17, della legge 28 giugno 2012, n. 92, la convalida delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali può essere validamente effettuata in sede sindacale, ai sensi delle disposizioni del codice di procedura civile;

3. è fatta salva la possibilità dei contratti nazionali di individuare sedi ulteriori rispetto a quelle indicate dal presente accordo.

Le parti sono impegnate, ciascuna per le proprie competenze, ad assicurare l’informazione a lavoratori e imprese sui contenuti del presente accordo.

La riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita presentata dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali con delega alle Pari Opportunità, Prof.ssa Elsa Fornero, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Prof. Mario Monti, al Consiglio dei Ministri del 23 marzo 2012 e approvata dallo stesso nella medesima seduta

7.1- Tutela della maternità e paternità e contrasto del fenomeno delle dimissioni in bianco

Si introduce, a favore di tutti i lavoratori, per quanto il fenomeno riguardi prevalentemente le lavoratrici, la disposizione volta a contrastare la pratica delle cosiddette “dimissioni in bianco”, con modalità semplificate rispetto a quelle previste dalla abrogata L. 188/2007, e senza oneri per il datore di lavoro e il lavoratore. Inoltre, viene rafforzato il regime della convalida delle dimissioni rese dalle lavoratrici madri.

In particolare, la prima sezione della norma estende la convalida anche all’ipotesi della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, che precedentemente veniva utilizzata per aggirare la disciplina delle dimissioni.

Si estende da uno a tre anni di vita del bambino (con corrispondenti adeguamenti per l’ipotesi di adozione o affidamento, anche internazionale) il periodo entro il quale le dimissioni della lavoratrice o del lavoratore devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro per poter acquisire efficacia.

Rimane inalterato, invece, il periodo coperto dal divieto di licenziamento, nonché il periodo, che è sempre di un anno dalla nascita del bambino, previsto dall’art. 55 comma 1 del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, entro il quale le dimissioni, se rese dalla lavoratrice o dal lavoratore che fruisca del congedo di paternità, danno luogo alla spettanza delle indennità previste per il caso di licenziamento, cioè in pratica all’indennità sostitutiva del preavviso, come se si tratti di dimissioni rese per giusta causa.

La seconda parte della disposizione comporta, ai fini dell’efficacia delle dimissioni e della risoluzione consensuale, che la volontà risolutoria venga espressa attraverso modalità comunque volte ad accertare l’autentica genuinità e contestualità della manifestazione di volontà del lavoratore di risolvere il rapporto di lavoro. Ciò avverrà tramite modalità alternative tra loro. Una prima modalità contempla che le parti possano rivolgersi al servizio ispettivo del Ministero del Lavoro per la convalida. Una seconda modalità è la sottoscrizione di un’apposita dichiarazione in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro che il datore è già tenuto ad inviare al Centro per l’impiego ai sensi dell’art. 21 della legge n. 264/1949; con la precisazione che, effettuandosi tale comunicazione in forma telematica, lo scarico della ricevuta di trasmissione non comporta tempi di ulteriore attesa. La nuova procedura, che si estrinseca in fasi ben determinate, tutela sia la posizione del lavoratore sia quella del datore di lavoro. Infatti, la norma, nel dare contezza degli effetti derivanti da ciascun comportamento che il prestatore di lavoro pone in essere, da un lato tutela la libertà della lavoratrice/lavoratore, in quanto prova l’autentica volontà degli stessi di dimettersi o di risolvere consensualmente il rapporto di lavoro, dall’altro, tutela l’affidamento del datore di lavoro conseguente ai comportamenti del lavoratore.

Altre modalità, sempre funzionali alla semplificazione, potranno essere individuate con decreto ministeriale anche in funzione dell’evoluzione dei mezzi tecnologici e informatici.

In ogni caso è prevista una sanzione amministrativa qualora risulti l’abuso del foglio firmato in bianco, fermo restando l’eventuale applicazione della sanzione penale, ove possano riscontrare gli estremi di reato.

Qualora emerga evidenza di dimissioni in bianco, le dimissioni sono da considerarsi licenziamento discriminatorio con tutte le conseguenze che questo comporta.