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Dino Campana, lo scrittore dalla memoria prodigiosa

Dino Carlo Giuseppe Campana (Marradi, 20 agosto 1885 – Scandicci, 1º marzo 1932)
Dino Campana
Dino Campana

Dino Campana, lo scrittore dalla memoria prodigiosa

Dino Campana (Marradi, 20 agosto 1885 – Scandicci, 1º marzo 1932) è stato un poeta italiano.

Il grande scrittore romagnolo è legato, nelle memoria collettiva, al fatto di essere stato considerato un "pazzo" (il suo soprannome era, infatti, il pazzo di Marradi) e di avere scritto un'opera monumentale, i "Canti Orfici".

L'aneddoto che oggi vogliamo raccontare è proprio legato alle turbolente e assurde vicende editoriali che Dino Campana ha vissuto con i suoi Canti.

Verso il 1912, infatti, Dino Campana inizia a scrivere su alcuni fogli goliardici bolognesi dei versi che in seguito rielaborerà per andare a far parte integrante della sua opera più nota, i “Canti Orfici" appunto.

In realtà, il lavoro che porta a termine nel 1913, si chiamava “Il più lungo giorno”, e, una volta scritta la parola fine, sente dentro di sé ardere la fiamma della pubblicazione. Così rincuorato ma timoroso, Dino Campana si rivolge ad Ardengo Soffici e a Giovanni Papini, che a quel tempo dirigono la rivista letteraria “Lacerba”.

Il manoscritto giunge sulla scrivania di Soffici e viene molto probabilmente infilato sotto altri testi da valutare.

Il tempo passa e succede l’irreparabile: il manoscritto viene irrimediabilmente perduto.

La questione crea un dramma per Dino Campana, che vede sfumare un lungo e duro lavoro in cui credeva moltissimo.

Come andarono le cose ce lo racconta lo stesso Campana:

“Venuto l’inverno andavo a Firenze al Lacerba a trovare Papini che conoscevo di nome. Lui si fece dare il mio manoscritto (non avevo che quello) e me lo restituì il giorno dopo e in un caffè mi disse che non era tutto quello che si aspettava ma che era ‘molto molto’ bene e mi invitò alle Giubbe rosse per la sera... per tre o quattro giorni andò avanti poi Papini mi disse che gli rendessi il manoscritto ed altre cose che avevo, che l’avrebbe stampato. Ma non lo stampò. […] poi seppi che il manoscritto era passato in mano di Soffici. Scrissi 5 o 6 volte inutilmente per averlo e mi decisi di riscriverlo a memoria...

A Dino Campana non resta altra alternativa. Così, nel 1914, Dino Campana riscrive completamente a memoria l’intero manoscritto, usando solo qualche appunto e i versi che gli erano rimasti appuntati.

Il libro viene stampato nell’edizione Ravagli nel giugno del 1914, ma non ebbe alcun successo, e nel 1928 esce una seconda edizione per l’editore Vallecchi, che lo ripubblica senza chiedere il permesso a Campana, in quei mesi in manicomio.

Ci furono diverse altre edizioni del libro, finché nel 1971, nella soffitta della casa di Ardengo Soffici, morto nel 1964, all'interno di un armadio ricolmo di vecchie carte, viene ritrovata la prima versione autografa.

La notizia del ritrovamento viene data da Mario Luzi il 17 giugno 1971 sul Corriere della Sera.

Il manoscritto originale uscirà soltanto nel 1973 come riproduzione anastatica a cura di Domenico De Robertis, sempre per Vallecchi.

Una maledizione durata 60 anni.