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Diritto industriale - Corte d’appello di Bologna: azione di accertamento negativo per “validare” la registrazione del nome a dominio

Diritto industriale - Corte d’appello di Bologna: azione di accertamento negativo per “validare” la registrazione del nome a dominio
Diritto industriale - Corte d’appello di Bologna: azione di accertamento negativo per “validare” la registrazione del nome a dominio

Una società esercente attività di preventiva registrazione di “nomi a dominio” a fini di sviluppo/vendita verso corrispettivo (cd. cyber squatting o domain squatting, legale in Italia) ha registrato e quindi detiene la titolarità di un “nome a dominio” corrispondente alla denominazione sociale e al marchio registrato di un’altra società.

La società omonima ha diffidato la società titolare del nome a dominio a cancellare il sito internet; quest’ultima ha risposto negativamente alla richiesta di cancellazione e, anzi, ha proposto alla prima la cessione della titolarità del dominio in cambio di un’ingente somma di denaro.

A questo punto, la società omonima ha deciso di attivare la procedura di “riassegnazione”, che mira a “trasferire l’assegnazione del nome a dominio a chi ne abbia il diritto qualora il reclamante provi che il registrante non abbia titolo all’uso o alla disponibilità giuridica e che il nome a dominio sia stato registrato o sia mantenuto in mala fede”; la società omonima ha ritenuto infatti che la stessa cessione del dominio dietro un così alto corrispettivo fosse da ritenere integrante il presupposto della mala fede.

Il giudizio di primo grado

Per scongiurare ogni dubbio circa la liceità o meno della propria condotta, la società titolare del nome a dominio promuove azione di accertamento negativo di contraffazione avanti l’autorità giurisdizionale ordinaria.

Il Tribunale di Bologna, in primo grado, ha affermato che l’uso del dominio Internet non integrava contraffazione della registrazione del marchio di impresa né della denominazione sociale della società omonima, non sussistendo rischio di confusione (articolo 22 comma 1 del codice della proprietà industriale) in quanto le due aziende operano in settori differenti; tantomeno costituiva atto di concorrenza sleale ex codice civile articolo 2598 commi 2 e 3.

Infine, il marchio della società omonima, che porta il nome del sito, non gode di rinomanza ed è quindi “marchio debole”, per questo soggetto a tutele proporzionate e limitate.

D’innanzi all’esito negativo del primo grado di giudizio, la soccombente omonima società decide di appellare.

 

La decisione della Corte

La Corte d’Appello respinge la posizione dell’Appellante: avendo quest’ultimo lamentato con la diffida un uso indebito del marchio, non vi è dubbio che l’Appellata, proprio al fine di rimuovere lo stato di “incertezza giuridica” circa la liceità della propria condotta, nutrisse un genuino interesse al relativo accertamento negativo.

La stessa Corte di Cassazione (Sentenza della Cassazione n. 3885/2914) ha in passato chiarito che “sussiste l'interesse ad agire con un'azione di mero accertamento negativo della propria condotta di contraffazione di un brevetto altrui, posto che tale azione mira a conseguire, mediante la rimozione di uno stato di incertezza oggettiva, un risultato utile giuridicamente rilevante e non conseguibile se non con l'intervento del giudice...”.

I nomi a dominio vengono assegnati seguendo l’ordine cronologico delle richieste e l’Appellata, avendo senza dubbio registrato per prima il nome a dominio, ne è legittima titolare. L’effettivo potere di inibire l’uso della parola corrispondente al marchio all’interno del nome a dominio sarebbe sorto solo se fossero state integrate le ipotesi di contraffazione (art. 22 c.p.i.) e di concorrenza sleale (articolo 2589 c.c.), ma queste non sussistono.

La Corte ha respinto l’appello e condannato la società Appellante al pagamento delle spese del grado.

(Corte d’Appello di Bologna - Sezione specializzata in materia di proprietà industriale ed intellettuale, Sentenza 18 gennaio 2017, n. 2015)