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Divieto di atti di tortura - RFT e Austria

Divieto di atti di tortura - RFT e Austria
Divieto di atti di tortura - RFT e Austria

Sommario:   

A - RFT  

I. Considerazioni di carattere storico;

II. Le principali norme soprannazionali in materia di tortura;

III. Tortura – Definizione;

IV. Norme contenute nella Costituzione federale che vietano la tortura e atti degradanti;

V. Le previsioni del codice penale della RFT in materia di tortura - Il § 343 StGB;

VI. Il § 340 StGB;

VII. Il § 136 a StPO;

VIII. Conseguenze delle violazioni;

IX. Atti di tortura, problemi di natura probatoria e considerazioni finali.

 

B - Austria  

I. Il § 312 a del codice penale austriaco;

II. Aggravanti ad effetto speciale; III. Dolo;

III. Il § 312 StGB;

IV. Inutilizzabilità e nullità;

V. L’Aussagefreiheit e le relative garanzie;

VI. Considerazioni finali.

 

A - RFT

I. Considerazioni di carattere storico

La tortura è stata – per molti secoli – un mezzo (per non dire “il mezzo“) di prova per ottenere la confessione di chi era sospettato di aver commesso un reato o comunque per ottenere prove atte a legittimarne la condanna.

Le “radici” di questa “prassi” vengono fatte risalire al diritto romano che – originariamente – aveva consentito la tortura soltanto nei confronti degli schiavi (non considerati uomini, ma una semplice “res”). A decorrere dal 1 secolo d. C., il ricorso alla tortura era ritenuto legittimo, se si procedeva per un “crimen maiestatis”.

Per quanto concerne il medioevo, è nota la bolla (del 1252) di Innocenzo IV “Ad extirpanda”. Va ricordato pure T. de Torquemada (1420-1498), Grande inquisitore e confessore di Isabella e di Ferdinando II. La pratica della tortura è poi “transitata” dal diritto canonico al “weltlichen Recht”, per il quale è diventata pure obbligatoria.

Significative sono le indicazioni alternative alla parola Tortur, usate nel tardo medioevo. Nel periodo della “Santa Inquisizione”, la confessione, ottenuta per mezzo della tortura, era stata la “regina di tutte le prove”.

La “Peinliche Gerichtsordnung” di Carlo V (1532) conteneva, per la prima volta, disposizioni che limitavano il ricorso alla tortura (ammesso soltanto in caso di sussistenza di gravi indizi di reità). Rimase in vigore fino al 1806, nonostante, sin dalla 2 metà del secolo 16.mo, vi fossero parecchi filosofi, giuristi e teologi a pronunziarsi contro la tortura (p. es.  Michel de Montaigne, J. L. Vives, Grevius, Montesquieu, Voltaire, Beccaria).

Ufficialmente la Tortur è stata abolita in Austria nel 1776. In Svizzera, l’ultimo Cantone ad abolire la tortura è stato il Glarus nel 1851. Nel 1740 Federico di Prussia, mediante “Kabinettsorder, abolì la Tortur che poteva però essere praticata in alcuni casi, tra i quali figuravano, l’alto tradimento e “große Mordtaten”. In Baviera l’abolizione della tortura è avvenuta nel 1806.

Nel 20.mo secolo, la tortura è stata praticata durante il periodo del nazionalsocialismo (indicata, eufemisticamente, come “verschärfte Vernehmungmethode”, nell’Unione Sovietica e nella DDR fino dal 1989.

 

II. Le principali norme soprannazionali in materia di tortura

Dopo questa – breve – retrospettiva di carattere storico, un accenno – altrettanto breve – alle norme pattizie internazionali più importanti in materia di divieto di tortura: 1) Dichiarazione universale dei diritti umani (articolo 5) - 2) Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (articolo 3) - 3) Carta dei diritti fondamentali dell’UE (articolo 4) - 4) Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (articolo 7).

Tutte le norme ora elencate contengono un esplicito divieto di torturare persone; proibiscono altresì trattamenti o punizioni crudeli, inumane o degradanti.

 

III. Tortura - Definizione

Per quanto concerne le definizioni di ciò che s’intende per tortura, si fa generalmente riferimento all’articolo 1, comma 1, della Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti.  Ai fini della sussistenza degli estremi della Folter (tortura), l’azione, alla quale è sottoposto il soggetto passivo di questo delitto, deve essere 1) di elevata intensità, 2) occorre la finalità di influire sulla volontà del Gefolterten o di un terzo per ottenere una confessione, di terrorizzarlo o comunque di porlo in uno stato di paura, di soggezione, 3) il comportamento deve essere imputabile, almeno indirettamente, ad uno Stato (o organo di uno Stato). Trattamenti inumani o degradanti devono, anch’essi, essere caratterizzati da gravità. Anche la mera minaccia di ricorrere a un trattamento del genere basta a integrare la previsione della norma di cui sopra. Va peraltro rilevato che il comma 2 dell’articolo 1 della succitata Convenzione contro la tortura fa salvo qualsiasi strumento internazionale o qualsiasi legge nazionale che contenga o possa contenere disposizioni di più vasta portata.

Con il divieto di tortura s’intende tutelare la vita, la c.d. körperliche und psychische Unversehrtheit nonché la dignità della persona contro azioni dolose dell’autorità.

Il divieto di tortura di cui all’articolo 3 CEDU garantisce un “schrankenloses, notstandsfreies Grundrecht”, per cui questa garanzia è operante anche in caso di guerra.

 

IV. Norme contenute nella Costituzione federale che vietano la tortura e gli atti degradanti

Passiamo ora a esaminare la normativa costituzionale della RFT in materia di divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti.

“Die Würde des Menschen ist unantastbar” (la dignità della persona è inviolabile): questo è il tenore dell’articolo 1, comma 1, 1 parte, del Grundgesetz (Costituzione federale). Prosegue poi questo comma: “Il rispetto e la tutela della stessa costituiscono obbligo per tutti i “poteri” dello Stato”.

Il comma 2 tratta dei diritti inviolabili e indisponibili della persona quale base per qualsiasi convivenza umana. Il comma 3 specifica che i diritti fondamentali indicati negli articoli seguenti costituiscono norme vincolanti per il potere legislativo, esecutivo e giudiziario.

Il divieto di tortura viene ritenuto dai costituzionalisti della RFT una “unverzichtbare Norm (una norma irrinunciabile) e la Corte costituzionale federale, in una sua, ormai famosa, sentenza (caso Daschner), ha osservato che l’impiego della tortura degrada la persona sottoposta a indagine, a mero oggetto della lotta contro la criminalità, costituisce una violazione delle garanzie  e dei diritti sanciti dal Grundgesetz (Cost. feder.), distrugge “grundlegende Voraussetzungen der individuellen und sozialen Existenz des Menschen”. Anche da ciò risulta con evidenza che si è tratto, dal passato, non tanto lontano, la dovuta “lezione”.  Agli organi della RFT è altresì vietato di concorrere ad atti di tortura (o ad altre violazioni della dignità della persona) anche al di fuori del territorio della Bundesrepublik.

Un divieto esplicito “seelischer oder körperlicher Misshandlungen” è contenuto nell’articolo 104, comma 1, GG. Questo articolo è intitolato: ”Rechtsgarantien bei Freiheitsentziehung” - Garanzie in caso di privazione della libertà personale. Il Misshandlungsverbot, il cui destinatario è la “öffentliche Gewalt”, rafforza il diritto fondamentale alla körperlichen Unversehrtheit e deve essere osservato in tutti i casi di privazione della libertà personale disposta per ordine dell’autorità.

Per effetto del disposto normativo ora indicato, per privazione della libertà personale (con le suddette garanzie) sono da intendere anche la c.d. Zwangshaft quale mezzo per l’esecuzione di sanzioni amministrative, la c.d. Erzwingungs- und Beugehaft, quali previste dal cpp, lo Strafarrest e il Polizeigewahrsam nonché Unterbringungsgewahrsam. Un Mindestmaß an Eingriffsintensität è prescritto nel caso delle c.d. Anhaltungen, del Festhalten zur Identitätsfeststellung e nella c.d. Verbringung zur Blutabnahme (prelievo coattivo del sangue).

L’articolo 104, comma 1, 2 parte, GG, quale Verbotsnorm (norma di divieto), proibisce qualsiasi atto di tortura, indipendentemente da eventuali limitazioni dei diritti fondamentali di cui all’articolo 2, comma 2, GG.

Va anche osservato che ogni impiego di forza fisica non indispensabile a causa del comportamento dell’indagato, deve essere considerato “menschenwürdewidrig” (contrario alla dignità dell’uomo - cfr. ord.za della Corte europea dei diritti dell’uomo (GRZ 1996, 504 – Ribitsch)) in quanto in contrasto con l’articolo 3 CEDU. Non è qualificabile come Missbrauch, un atto di coercizione, se vi sono indizi di Selbstgefährdung. Costituiscono invece Misshandlung, oltre agli atti di violenza, l’isolamento totale, la detenzione in cella, se la stessa è ”erheblich überbelegt” (gravemente sovraffollata), la mancanza di standards igienico-sanitari e “unmenschlicher Strafvollzug” (ord.za Corte cost. feder. 2, 118, (119)), vale a dire l’esecuzione della pena in modo inumano.

Per quanto  concerne l’onere della prova di un avvenuto atto di tortura, se la parte offesa asserisce che le lesioni si sono verificate durante il c.d. Polizeigewahrsam, è lo Stato che deve dimostrare che le stesse si sono verificate in altro modo, rispetto a quanto affermato dalla parte offesa.

Il Misshandlungsverbot di cui all’articolo 104, comma 1, 2 parte, GG, ha carattere assoluto (come del resto l’analogo divieto previsto dall’articolo 3 CEDU). E’ garantito ”vorbehaltlos” (in modo incondizionato) e non è suscettibile di “relativizzazione” nel senso dell’ammissibilità di un’Abwägung”, indipendentemente dagli scopi che si intendono perseguire.

Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, il divieto di tortura di cui all’articolo 3 CEDU, non è “einschränkbar” (non può essere soggetto a limitazione). Prove ottenute per effetto dell’impiego di atti di tortura, non sono utilizzabili (ciò in applicazione dell’articolo 6, comma 1, CEDU (diritto a un processo equo)).

Anche la semplice minaccia dell’impiego della tortura può essere configurata come trattamento inumano (articolo 3 CEDU).

Assai discussa è, tuttora, l’ammissibilità di un’“ausnahmsweisen Durchbrechung des Misshandlungs- bzw. des Foltervebotes aus staatlichen Schutzpflichten zugunsten von Entführungsopfern oder zur Abwehr terroristischer Gefahren”, vale a dire, se il divieto di maltrattamenti risp. di tortura, non possa essere – eccezionalmente – ritenuto legittimo, quando si tratta di salvare una persona vittima di un sequestro di persona oppure per contrastare atti di terrorismo. La dottrina largamente prevalente è nettamente contraria ad una siffatta interpretazione dell’articolo 104, comma 1, 2 parte, GG e dell’articolo 3 CEDU; neppure il “Notwehrrecht” (diritto alla difesa legittima) di cui al § 32 StGB è invocabile ai fini della “giustificazione” di una tesi del genere.

V. Le previsioni del codice penale in materia di tortura – Il § 343 StGB

Lo StGB (Cod. pen) della RFT, a differenza dello StGB austriaco (come vedremo), non prevede la tortura quale reato a se stante. La punibilità di questo crimine (e delle varie modalità in cui può concretarsi) è prevista da alcuni paragrafi del Capo 30.mo della Parte speciale dello StGB. Si tratta dei §§ 343 (Aussageerpressung = estorsione di dichiarazioni), 340 (Körperverletzung im Amt = lesioni personali durante il compimento di atti di servizio), 357 (Verleitung eines Untergebenen zu einer Straftat (induzione di un subordinato a commettere reato).

Prevede il § 343, comma 1, StGB, che chiunque, in qualità di pubblico ufficiale e nell’esercizio delle proprie funzioni nell’ambito di un procedimento penale, in occasione di un internamento, di un Bußgeldverfahren o di un Disziplinarverfahren, commette atti di maltrattamento fisico o di violenza nei confronti di una persona oppure minaccia di ricorrere all’uso di violenza o infligge sofferenze psichiche al fine di costringerla a rendere dichiarazioni nell’ambito di un procedimento oppure di astenersi dal renderle, è punito con pena detentiva da uno a dieci anni.

Nei casi di minore gravità la pena detentiva è da sei mesi a cinque anni.

Il § 343 StGB, che è un echtes Amtsdelikt, tutela – in via principale – “das Allgemeininteresse an der Rechtspflege” (l’interesse generale all’esercizio dell’attività giudiziaria) inteso nel senso dell’osservanza delle norme nel corso dei procedimenti indicati nel comma 1 di questo paragrafo. Tutela altresì i Rechtsgüter della parte offesa.

La fattispecie di cui al § 343 StGB è un Sonderdelikt (reato qualificato) che può essere commesso soltanto da un p.u. nell’esercizio delle proprie funzioni. La dizione “Strafverfahren” (procedimento penale) è da intendersi in senso lato, comprensivo di tutti i procedimenti previsti dalla Strafprozessordnung (con inclusione, quindi, del “polizielichen und staatsanwaltschaftlichen Ermittlungsverfahren” (indag. prelim.)).

Ai fini dell’integrazione della fattispecie p. e p. dal § 243 StGB, non è sufficiente che le Tathandlungen ivi contemplate coincidano temporalmente con uno dei procedimenti di cui sopra, ma occorre anche che vi sia un “funktional-zweckorientierter Zusammenhang”.

La tortura può essere causata, oltre che con lesioni o percosse, anche senza “aggredire” fisicamente (e direttamente) la vittima.

Per “körperliche Misshandlung” s’intendono, come precisato sopra, sia le lesioni fisiche sia le percosse. Esse possono essere causate anche in altro modo (p. es. privando la vittima per un periodo prolungato del sonno, del cibo, con interrogatori di lunghissima durata oppure segregando la vittima, per un periodo prolungato, in un vano senza luce).

L’“Androhung von Gewalt” (la minaccia di ricorrere alla violenza) consiste nella prospettazione, da parte del p. u., al soggetto passivo, che sarà fatto ricorso alla violenza, qualora esso soggetto passivo non tenga il comportamento richiesto dal p.u.

“Seelische Qualen” possono consistere in metodi atti a far venire meno la resistenza psichica (p. es. minacciando ritorsioni contro familiari dell’indagato (fermato) o attraverso un prolungato isolamento).

Le dichiarazioni che il p.u. intende estorcere, per integrare la fattispecie di cui al § 343 StGB, devono essere relative al fatto/ai fatti, per il quale/per i quali si procede. Pertanto esulano dalla fattispecie de quo tentativi, posti in essere dal p.u., al fine di ottenere p. es. informazioni che interessano il p.u. soltanto privatamente.

Non occorre, ai fini della punibilità, “der Eintritt des Nötigungserfolges”, vale a dire che le “pressioni” di cui si è reso colpevole il p. u., abbiano condotto al risultato avuto di mira dal p.u.. Tuttavia, dell’avvenuto “Eintritt des Nötigungserfolges” può tenersi conto in sede di determinazione dell’entità dell’infliggenda pena.

È punibile il tentativo (ai sensi del combinato disposto dei §§  23, comma 1, e 12, comma 1, StGB), trattandosi di Verbrechen (delitto) e non di semplice Vergehen (contravvenzione).

L’autore del reato non può invocare, a propria discolpa, la scriminante della legittima difesa (Notwehr). Parimenti è esclusa una Rechtfertigung con riferimento al § 34 StGB (che presuppone un bilanciamento degli interessi e richiede inoltre che l’azione costituisca “ein angemessenes Mittel, die Gefahr abzuwenden” (un mezzo adeguato per ovviare al pericolo).

Piuttosto pesanti sono le Nebenfolgen der Tat (pene accessorie). Ai sensi del § 45, comma 1, StGB, in caso di condanna per il reato previsto dal comma 1 del § 343 StGB, al condannato va comminato il “Verlust der Amtsfähigkeit” (interdizione dai pp. uu. per la durata di 5 anni), mentre tale interdizione è facoltativa, se vi è stata condanna per il reato di cui al comma 2 del § 343 StGB. Il § 41 del BBG (Bundesbeamtengesetz) obbliga il giudice della condanna altresì a dichiarare, chi si è reso colpevole del reato p. e p. dal § 343 StGB, “der Beamtenrechte verlustig” (perdita dei diritti del pubblico dipendente). Un “minder schwerer Fall” ai sensi del comma 2 – nel qual caso è prevista la pena detentiva da sei mesi a cinque anni – è ipotizzabile, secondo certa dottrina, in caso di consenso da parte del soggetto passivo del reato de quo.

VI. Il § 340 StGB

Un’altra norma che può trovare applicazione, se il p. u. pone in essere un atto di tortura, è costituito dal § 340 StGB. “Il p. u., che durante l’esercizio della sua attività di servizio o comunque in relazione alla stessa, cagiona una lesione personale o consente che la medesima venga commessa, è punito con pena detentiva da 3 mesi a 5 anni. Nei casi di minore gravità è prevista la detenzione fino a 5 anni oppure la pena  pecuniaria”. Così recita il comma 1 del suddetto § 340 StGB.

La vigente versione del § 340 StGB risale al 6 StrRG (Strafrechtsreformgesetz, in vigore dall’1.4.1998); l’innovazione più significativa è stata che il reato può essere commesso anche a seguito di Fahrlässigkeit (colpa).

Il bene giuridico tutelato è l’integrità fisica “in einer besonderen Bedrohungslage”.

Ai fini del concetto di “Körperverletzung”, il § 340 StGB rinvia – implicitamente – al § 223 StGB.

Integra la fattispecie di cui al § 340 StGB il fatto che durante l’espletamento del servizio e in relazione allo stesso, venga commessa una Körperverletzung; occorre, in altre parole, un “innerer Zusammenhang zur Dienstausübung” (RGSt 17, 165 (166) e  6, 20, (21)). Pertanto non è sufficiente che il fatto sia commesso in occasione del servizio; il soggetto attivo del reato deve aver agito “in amtlicher Funktion”. La lesione personale deve essere strettamente connessa con l’attività di servizio.

Oltre al “Begehen”, il § 340 StGB sanziona pure il “Begehen lassen”, il “tollerare”. Chi è dotato di Weisungs - oder Zwangsbefugnis, è obbligato a impedire che il subordinato commetta una lesione personale in servizio.

Il reato p. e p. dal § 340 StGB, è punibile sia a titolo di dolo che di colpa; in quest’ultimo caso il soggetto attivo del reato risponde “wegen fahrlässiger Körperverletzung (il § 340, c. 3, StGB,  richiama i §§ 224-229 StGB).

Ai sensi del § 340, c. 2, StGB, è punibile il tentativo.

Quale scriminante può essere presa in considerazione la sussistenza di una “staatlichen Eingriffsbefugnis”, purché l’azione posta in essere dal p. u.  sia legittima e proporzionata allo scopo da perseguire. Secondo la dottrina l’“Eingriffsbefugnis” può essere prevista anche da norme di rango inferiore alla legge.

Per il reato p. e p. dal § 340, comma 1, StGB, è prevista - “zwingend” - la pena detentiva da tre mesi a cinque anni ed è esclusa la comminazione della (sola) pena pecuniaria. Al condannato per questo reato può essere inflitto il “Verlust der Amtsfähigkeit”, se la pena in concreto comminata è di almeno 6 mesi di reclusione.

Se ricorre un minder schwerer Fall, al giudice è invece concessa la facoltà di optare per la pena pecuniaria.

Dato che il comma 3 del § 340 StGB non richiama il § 230 StGB, il reato è procedibile d’ufficio (“es braucht kein Antragserfordernis”).

Soltanto se chi concorre nel reato, non riveste la qualifica di p. u., occorre lo Strafantrag ai fini della procedibilità nei confronti dell’extraneus.

 

VII. Il § 136 a StPO

Di particolare importanza ai fini della repressione di atti di tortura è pure il § 136 a StPO (CPP), intitolato “Verbotene Vernehmungsmethoden und Beweisverwertungsverbote” (metodi di interrogatorio vietati e divieti di utilizzabilità di prove). Con questa norma il legislatore ha voluto assicurare, in favore dell’indagato, che questi sia in grado di determinare e di esprimere la propria volontà liberamente e di garantire che il processo volitivo sia scevro da “influenze” tali da alterarne la (genuina) formazione.

L’elencazione dei mezzi e dei metodi indicati nel 1° comma del § 136 a StPO - tra i quali figurano anche maltrattamenti dell’indagato, e l’inflizione volontaria di sofferenze allo stesso - non è tassativa in quanto sono compresi pure altri metodi che, in egual misura, sono atti a violare la dignità della persona e i diritti della personalità (cfr. BGHSt 5, 332 (334)). Il Beweismethodenverbot comprende anche il ricorso a minacciare mezzi di coazione non consentiti, al fine di ottenere dichiarazioni, da parte dell’indagato, a lui sfavorevoli, come pure la prospettazione, p. es. in caso di confessione, di “vantaggi” o benefici, la cui concessione non rientra nella competenza/nei “poteri” di chi conduce l’interrogatorio.

La “Verteidigungsfunktion der Beschuldigtenvernehmung” (lo scopo difensivo dell’interrogatorio dell’indagato) richiede che l’indagato non soltanto conosca i propri diritti e le sue facoltà; deve essere altresì posto in grado – fisicamente e psichicamente – di esercitarli, effettivamente e liberamente.

L’indagato non va considerato oggetto del procedimento, ma ne è parte (cfr. BGHSt  5, 332). Per il solo fatto che vi sia il sospetto che possa avere commesso un reato, non viene meno l’esigenza del rispetto della sua dignità di uomo (cfr. BGHSt 14, 358, 364), dignità che non dovrebbe venir meno neppure in sede di esecuzione della pena. In uno Stato di diritto, l’accertamento della verità non può (e non deve) avvenire ad ogni costo e con l’impiego di qualsiasi mezzo. Sopra abbiamo accennato all’articolo 1, comma 1, GG, alla cui pratica attuazione è stato predisposto anche il § 136 a StPO.

È da notare che questo paragrafo trova applicazione anche in favore dei testimoni.

VIII. Conseguenze delle violazioni

Conseguenza dell’impiego “verbotener Vernehmungsmethoden” è l’inutilizzabilità, di quanto dichiarato per effetto delle stesse, dall’indagato a proprio sfavore (“belastender Aussagen”). Il divieto sancito dal § 136 a StPO concerne sia la “unmittelbare” sia la “mittelbare Verwertung der Aussage”.

La sussistenza di un Verfahrensverstoß (di una violazione di natura procedurale) ai sensi del § 136 a StPO, va accertata d’ufficio, qualora vi siano indizi (concreti) nel senso di un’avvenuta violazione del genere. A tal fine si procede con il c.d. Freibeweisverfahren (BGHSt 16, 164). Va tuttavia rilevato che il Revisionsverfahren presuppone che sia stata dedotta Verfahrensrüge. Qualora l’asserita violazione non venga accertata, la prova è utilizzabile (cfr. BGHSt 16, 164, 166).

Il Beweiserhebungsverbot previsto da 3° comma, 1^ parte, del § 136 a StPO, trattandosi di un divieto assoluto, non viene meno neppure a seguito di un eventuale consenso da parte della persona nei cui confronti è stata commessa la violazione.

Qualora, nonostante il divieto, una prova venga acquisita, ne consegue un absolutes Beweisverwertugsverbot, un divieto assoluto di utilizzabilità; in particolare, una sentenza non può (validamente) essere basata su tale prova (acquisita contra legem). La stessa cosa vale per l’“Eröffnungsbeschluss des Hauptverfahrens” (ordinanza che dispone il dibattimento) e per le decisioni inerenti a misure cautelari (“Haftentscheidungen”).

L’inosservanza di un divieto di utilizzabilità va dedotto in sede di Revision, se la sentenza del giudice di merito è basta su prova acquisita in violazione di un Verwertungsverbot. Il Revisionsgericht procede all’accertamento della violazione processuale con il c. d. Freibeweisverfahren, nel quale non deve essere osservato in tutti i casi l’Unmittelbarkeitsprinzip.

 

IX. Atti di tortura, problemi di carattere probatorio e considerazioni finali

I processi, nei quali l’imputazione è per atti di tortura, sono molto delicati in quanto l’unico teste è, di solito, la stessa parte offesa. È ben vero che la deposizione della parte offesa può costituire, anche da sola, fonte di prova, ma in tale caso è quanto meno opportuno che le dichiarazioni riferite dalla parte offesa siano sottoposte ad attento controllo di credibilità e di attendibilità sotto il profilo soggettivo e oggettivo.

Va poi osservato che in processi del genere, la vittima, non di rado, si costituisce parte civile, per cui ha un interesse anche di natura economica riguardo all’esito del processo; di conseguenza, nella valutazione dell’attendibilità di questa prova, occorre particolare cautela e si deve tenere conto del fatto che il teste è portatore di interessi in posizione di antagonismo con quelli dell’imputato/degli imputati. Per ottenere quella razionale certezza che è necessaria per una condanna, spesso non si può prescindere da riscontri oggettivi a conferma delle dichiarazioni rese dalla parte civile; riscontri che non sono invece necessari, se a la testimonianza proviene da persona estranea. Non di rado, in processi del genere, sono chiamati a deporre familiari oppure persone che hanno avuto cognizione del fatto/dei fatti soltanto de relato. I testi (se ci sono) che hanno assistito al fatto/ai fatti, spesso non parlano, non osano parlare o non possono parlare.

È ovvio che in casi del genere il “compito” del giudice di accertare la verità è quanto mai arduo per cui occorrono, oltre a una buona preparazione tecnico-giuridica, anche equilibrio, imparzialità e soprattutto indipendenza. Si racconta che nei primi anni del 21.mo secolo ci sarebbe stato qualcuno che – benché dimostratosi molto esperto in materia bancaria – presiedeva un collegio nonostante fosse stato sonoramente “bocciato” al concorso per l’accesso in magistratura e non fosse nemmeno riuscito a conseguire il titolo di procuratore legale/avvocato. Si dice che questa persona si era particolarmente distinta per essersi, per parecchi lustri, accucciata dinanzi al potente di turno, di qualsiasi colore e tendenza, pur di sedersi, un bel giorno, sulla tanto agognata sella curulis. Come è dimostrato da questo episodio, anche nel secolo 21.mo si sono ancora verificati “autentici” miracoli…

 

B - Austria

I. Il § 312 a del codice penale

L’ordinamento penale austriaco, a differenza di quello della RFT, contiene un apposito paragrafo (il 312 a StGB) che sanziona la Folter (tortura) e che è inserito nel Capo 22.mo della Parte II dello StGB, intitolato “Strafbare Verletzungen der Amtspflichten, Korruption und verwandte, strafbare Handlungen” (Violazioni dei doveri da parte del p.u., corruzione e atti illeciti similari).

Dispone, questo paragrafo, al comma 1, che il p. u. o chiunque, a richiesta dello stesso oppure con il di lui consenso, espresso o tacito, cagiona ad altra persona intensi dolori o gravi sofferenze al fine di: 1) ottenere, dalla stessa o da un terzo, una dichiarazione o una confessione in relazione ad un reato commesso dalla stessa o da un terzo o di cui si presume l’avvenuta perpetrazione, oppure allo scopo 2) di intimidirla o 3) di costringerla oppure 4) con intento discriminatorio, è punito con pena detentiva da uno a dieci anni.

Prevede il 2 comma che se dal fatto deriva una lesione personale con conseguenze gravi, la pena è della reclusione da 5 a 15 anni; se ne deriva la morte della p.o., la pena è da 10 a 20 anni di reclusione o quella dell’ergastolo.

Il comma successivo specifica che, pubblico ufficiale ai sensi dei commi 1 e 2, viene considerato pure chi – in assenza di un Amtsträger o in caso di impedimento del medesimo – di fatto, agisce in tale qualità.

Il § 321 a StGB è stato inserito nel codice penale a seguito dell’emanazione della c. d. Dienstrechtsnovelle del 2012. Ciò è avvenuto in attuazione degli obblighi assunti dall’Austria con la firma e la ratifica della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, adottata a Strasburgo il 28.11.1987 e di altri atti di diritto internazionale.

Ai fini dell’integrazione della fattispecie di cui al § 321 a StGB, è necessario che il soggetto agente sia un pubblico ufficiale oppure un Amtsträger sia concorrente nel reato. Si parla in proposito, nel 1 caso, di unmittelbarer Täterschaft, che ricorre pure se un “Nichtamtsträger agisce auf Veranlassung oder mit Billigung eines Amtsträgers” (su istigazione o con il consenso di un p.u.). L’espressione Veranlassung va interpretata facendo riferimento al § 12, 2 parte, StGB; occorre che un p.u. abbia, nel soggetto agente, “den Handlungsentschluss ausgelöst (indotto ad agire). Ai fini della sussistenza dell’Einverständnis (consenso) da parte del p.u., occorre che il p.u. abbia acconsentito, espressamente o tacitamente, ma comunque, “in rechtswirksamer Weise”.

Le previsioni di cui al disposto del comma 3 sono destinate a trovare applicazione soltanto in situazioni di guerra civile o di moti rivoluzionari e chi agisce, in tal caso, è “faktischer Amtsträger”.

I dolori intensi risp. le sofferenze gravi devono essere state inflitte in occasione di un adempimento inerente al servizio del p.u. Dolori intensi e sofferenze fisiche e psichiche ricorrono se si tratta di “Qualen” come contemplate dal § 92, comma 1, StGB o dal § 312, comma 1, StGB. Gli stati di dolore e di sofferenza, ai fini dell’integrazione delle “großen körperlichen oder seelischen Schmerzen oder Leiden” di cui al § 312 a StGB, devono protrarsi per un non trascurabile lasso di tempo oppure essere ripetute e determinare una “erhebliche Beeiträchtigung des physischen oder psychischen Wohlbefindens”; in altre parole, è richiesto un nocumento rilevante del benessere fisico o psichico.

Affinche’ si possa parlare di Folter, il p.u., mediante l’inflizione dei dolori e delle sofferenze di cui sopra, deve agire, oltre che con Absichtlichkeit (dolo), con lo scopo di estorcere una dichiarazione risp. una confessione oppure avere di mira uno degli altri obiettivi indicati nel comma 1 del § 321 a StGB. Reputa la dottrina dominante che l’elencazione di cui al citato  comma 1, nonostante l’uso dell’espressione “inbesondere” (in particolare), debba considerarsi  tassativa.

 

II. Aggravanti ad effetto speciale

Il comma 2 del § 321 a StGB prevede due Erfolgsqualifikationen, due aggravanti a effetto speciale. La dizione “schwere Dauerfolgen” ivi utilizzata  (1 parte) è da intendersi con riferimento al disposto del § 85 StGB (lesioni personali con gravi postumi), mentre il disposto di cui alla 2 parte del citato comma, fa riferimento al § 7, comma 2, StGB, il quale prevede che una pena più grave prevista per una conseguenza del fatto, è imputabile al soggetto agente soltanto qualora questa conseguenza sia stata causata almeno da colpa.

 

III. Dolo

Per quanto concerne l’elemento soggettivo del reato de quo, ai fini dell’integrazione della fattispecie, occorre che il soggetto attivo agisca con l’intenzione che le sue azioni cagionino i dolori e/o le sofferenze di cui sopra. Inoltre si richiede che l’autore della Folterung ponga in essere gli atti ti tortura con il fine specifico di ottenere una confessione oppure gli altri “risultati” indicati nel comma 1 del § 321 a StGB. Come già sopra osservato, nonostante l’impiego della dizione “insbesondere” nel comma 1 del § 312 a StGB, la dottrina prevalente reputa che l’elencazione degli atti ivi contenuti non sia “demonstrativ”, ma tassativa; altrimenti verrebbe violato il Bestimmtheitsgebot (il principio di determinatezza). La c.d. Absichtserfordernis risulta in modo inequivocabile dall’uso dell’espressione “um..zu”.

 

IV. Il § 312 StGB

Un’altra norma intesa a sanzionare - almeno indirettamente – atti di tortura, è costituita dal § 312 StGB, intitolato: “Quälen oder Vernachlässigung eines Gefangegen”. Anche questo reato, al pari di quello di cui al § 312 a StGB, è un reato proprio, potendo lo stesso essere commesso soltanto da un p.u. che (comma 1) infligge sofferenze fisiche o psichiche ad una persona privata della libertà personale per ordine dell’autorità e in custodia del p.u.. È prevista la pena detentiva fino a due anni.

Con la stessa pena è punito (comma 2) il p.u. che viola gravemente gli obblighi di custodia nei  confronti di una persona privata della libertà personale, qualora da questa violazione derivi – anche soltanto per colpa – un danno alla salute fisica o psichica della persona.

Qualora uno dei fatti di cui ai commi 1 e 2 abbia per conseguenza: 1) una lesione personale grave, la pena è quella detentiva fino a tre anni, 2) una lesione personale con gravi conseguenze permanenti, la pena detentiva è fino a cinque anni, 3) la morte della p.o., la pena è da 1 a 10 anni di reclusione.

 

V. Inutilizzabilità e nullità

Ai sensi del § 166, comma 1, StPO, le dichiarazioni rese dall’indagato in conseguenza di atti di tortura o in seguito a trattamenti crudeli, inumani o degradanti, non sono utilizzabili contro l’imputato. Parimenti inutilizzabili sono dichiarazioni dell’indagato rese per effetto dell’impiego di (altri) mezzi illeciti influenti sulla libertà di esprimere la propria volontà o di determinarsi secondo la stessa oppure se le dichiarazioni sono conseguenza di metodi di interrogatorio vietati, qualora siano stati violati principi fondamentali procedurali.

Il divieto di utilizzabilità riguarda non soltanto le dichiarazioni rese dall’indagato, ma è relativo pure alle dichiarazioni fatte da testi e coimputati.

Le dichiarazioni ottenute nelle condizioni e per effetto dell’impiego die metodi di cui sopra, sono “nichtig” (affette da nullità).

 

VI. L’Aussagefreiheit e le relative garanzie

Altra norma intesa a garantire la volontarietà e la “genuinità” delle dichiarazioni rese dall’indagato, è contenuta nella  1 parte dell’ultimo comma del § 164 StPO (CPP).

È fatto espresso divieto di fare promesse, ricorrere a inganno, a minaccia o a mezzi di coazione al fine di ottenere dall’indagato una confessione o a costringerlo a fare altra dichiarazione. La libertà della volontà e di determinarsi nonché la facoltà di ricordare e di valutare, non deve in alcun modo essere compressa, in particolare, va salvaguardata l’integrità’ fisica dell’indagato.

Con le norme ora illustrate, il legislatore ha voluto assicurare l’Aussagefreiheit dell’indagato (la libertà di rendere dichiarazioni e/o avvalersi dello ius tacendi). Questo diritto, o meglio, questa libertà, dell’indagato è sancito anche dal § 7, comma 2, StPO, intitolato “Recht auf Verteidigung” (diritto alla difesa).

L’indagato non può essere costretto, “sich selbst zu belasten” (Nemo tenetur se detegere). Secondo la Corte costituzionale (ved. sentt. 5295 e 12.454), questo principio è desumibile direttamente dall’articolo 90, comma 2, del B-VG (Costituzione federale).  Al fine di garantire l’Aussagefreiheit, l’indagato deve essere espressamente informato che ha diritto di astenersi dal fare qualsiasi dichiarazione. E’ da rilevare che l’Aussagefreiheit si estende anche alle c.d. Angaben zur Person und den persönlichen Verhältnissen (generalità e condizioni personali (come p. es. il patrimonio e i redditi dell’indagato, rilevanti, questi ultimi, ai fini della determinazione dell’entità dei Tagessätze)). È vietato altresì indurre l’indagato a non avvalersi dello ius tacendi mediante la promessa di “agevolazioni” o “vantaggi” non previsti dalla legge. Parimenti è contrario all’Aussagefreiheit il servirsi di un agente della polizia (che finge di essere detenuto anch’esso) allo scopo di carpire dall’indagato informazioni sul reato commesso o che si presume essere stato commesso dal detenuto.

Tutti i metodi atti ad annullare la libera volontà dell’indagato nel corso di un interrogatorio, sono vietati; ciò anche nel caso in cui l’indagato avesse dato il proprio consenso (cfr. OGH-Corte suprema-sez. pen.: 37/54 – 1977/56). Cosí p. es. l’OGH ha anche ritenuto privo di efficacia il consenso prestato a un c.d. Alkoholtoleranztest (con il quale sarebbe accertata la tollerabilità dell’alcol da parte dell’indagato (cfr. OGH, Sez. pen., 59/81)). La stessa cosa vale per un test concernente la tollerabilità di sostanze stupefacenti (cfr. OGH – Sez. pen. : 48/22). I risultati dell’adozione di questi metodi possono, infatti, condurre a un’“unfreiwilligen, unvorhersehbaren Selbstbelastung” da parte dell’indagato (con palese violazione del principio: Nemo se detegere tenetur).

 

VII. Considerazioni finali

Da quanto sopra esposto, risulta che le disposizioni della StPO austriaca dirette a impedire e a sanzionare atti di tortura nei confronti di persone indagate, sono caratterizzate da una formulazione ampia, comprensiva di tutta una serie di azioni suscettibili di influire sulla (libera) volontà dell’indagato. Va osservato in proposito che a integrare la fattispecie di cui al § 312 a StGB, sono sufficienti anche atti di sola intimidazione (“einzuschüchtern”) e l’“Einschüchterung” può essere diretta non soltanto contro l’indagato, ma anche contro un terzo (p. es. un familiare). Ai fini dell’integrazione della fattispecie di cui al § 312 a StGB, non è richiesto necessariamente che il fatto sia commesso con più condotte.

Il reato p. e. dal § 312 a StGB, oltre che su istigazione del p.u., può anche essere commesso con il consenso, espresso o tacito, dello stesso.

Non occorre che i dolori cagionati dal torturatore siano acuti; è sufficiente che siano gravi.

Il reato p. e p. dal § 312 a StGB è integrato anche quando lo scopo di un atto di tortura non è diretto a ottenere una confessione o una dichiarazione da parte dell’indagato; può avere anche un fine punitivo (“um zu bestrafen”) o avere un motivo di carattere discriminatorio (“aus einem auf Diskriminierung beruhenden Grund”).

Il § 312 a StGB non richiede, ai fini dell’integrazione della fattispecie, che l’Amtsträger abbia agito con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio.

Come già accennato sopra, il § 166, comma 1, StPO, prevede non soltanto l’inutilizzabilità di prove ottenute con l’impiego di atti di tortura (o con metodi tali da influire in modo illecito sulla volontà dell’indagato), ma ne viene sancita (comma 2) pure espressamente la nullità (“sind nichtig”).