x

x

Dove termina la libertà di manifestazione del pensiero?

Nota a ordinanza della Prima Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione n. 19443 del 20 luglio 2018
Dove termina la libertà di manifestazione del pensiero?
Dove termina la libertà di manifestazione del pensiero?

Abstract

Con ordinanza interlocutoria n. 19443 del 20.07.2018, la Prima Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione ha formulato rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea).

La vicenda giudiziaria riguarda un presunto caso di dichiarazione discriminatoria nei confronti delle persone omosessuali, rilasciata da un noto avvocato italiano durante una trasmissione radiofonica di intrattenimento.

 

The Italian Court of Cassation sought a preliminary ruling from the Court of Justice of the European Union in accordance with the Article 267, Treaty on the Functioning of the European Union (order n. 19443/2018).

The legal proceeding refers to an alleged case of discriminatory declaration towards homosexual individuals, provided by a well-known Italian lawyer in the course of a radio programme. 

 

1. La vicenda

La vicenda giudiziaria prende avvio dalla dichiarazione di un noto avvocato italiano, nel corso di una trasmissione radiofonica di intrattenimento, di non volere assumere né avvalersi della collaborazione di persone omosessuali nel proprio studio professionale.

A seguito di tale affermazione, l’Associazione Avvocatura per i Diritti LGBTI - Rete Lenford ha agito contro costui dinanzi al Tribunale di Bergamo, prima, e alla Corte d’Appello di Brescia poi, che, con sentenza resa il 23 gennaio 2015, ha condannato l’avvocato al risarcimento del danno nella misura di €10.000 e ordinato la pubblicazione in estratto del provvedimento su un quotidiano nazionale.

Di conseguenza, il ricorrente ha proposto ricorso dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione.

 

2. L’ordinanza declaratoria n. 19443/2018 della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione

Il ricorrente ha proposto nove motivi a sostegno del suo ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione. Due di essi (in particolare, il secondo e il sesto) appaiono particolarmente rilevanti per i giudici, al punto da rendere necessaria la formulazione di rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’Articolo 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.

 

2.1. La prima questione sollevata dalla Corte di Cassazione: requisiti di legittimazione attiva di un’Associazione.

La prima questione riguarda la legittimazione di un’associazione di avvocati (che mira alla tutela giudiziale di persone con differente orientamento sessuale), quale è l’Associazione Avvocatura per i Diritti LGBTI - Rete Lenford, a configurarsi come ente esponenziale ai sensi dell’Articolo 9 comma 2 della Direttiva 2000/78/CE, che si propone di instaurare un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

Il summenzionato Articolo 9 stabilisce: «Gli Stati membri riconoscono alle associazioni, organizzazioni e altre persone giuridiche che, conformemente ai criteri stabiliti dalle rispettive legislazioni nazionali, abbiano un interesse legittimo a garantire che le disposizioni della presente direttiva siano rispettate, il diritto di avviare, in via giurisdizionale o amministrativa, per conto o a sostegno della persona che si ritiene lesa e con il suo consenso, una procedura finalizzata all'esecuzione degli obblighi derivanti dalla presente direttiva».

La presente Direttiva è stata recepita nell’ordinamento italiano mediante il Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216.

Assume particolare rilievo l’Articolo 5 comma 1 del summenzionato Decreto, che stabilisce che le rappresentanze locali delle organizzazioni nazionali (maggiormente rappresentative a livello nazionale) sono legittimate ad agire in nome e per conto del soggetto leso soltanto in forza di delega, rilasciata per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, pena nullità.

Di conseguenza, si evince come non tutte le associazioni abbiano facoltà di agire per conto di altri, ma solo quelle aventi un potere delegato dal titolare del diritto soggettivo.

Tuttavia, qualora la discriminazione operi nei confronti di un’intera categoria di soggetti, non individuabili singolarmente, si applica il successivo comma, che attribuisce legittimazione ad agire alle suddette organizzazioni, ma che nulla stabilisce riguardo alle precise caratteristiche che esse debbano possedere.

Evidentemente, affermano i giudici, occorre distinguere tra il caso in cui un’associazione operi per conto di delega dell’interessato, e il caso in cui, al contrario, si faccia portatrice di un interesse collettivo.

Infatti, se la seconda alternativa è appurata, l’associazione avrà diritto a richiedere il risarcimento del danno a proprio favore.

La rappresentatività dell’associazione rispetto all’interesse collettivo in oggetto può essere verificata analizzando lo statuto della stessa, che dovrà necessariamente menzionare la tutela dell’interesse collettivo quale finalità da perseguire.

Per quanto concerne l’Associazione coinvolta nella questione giudiziaria in esame, essa, all’Articolo 2 del proprio Statuto, mira a «contribuire a sviluppare e diffondere la cultura e il rispetto dei diritti delle persone» con un determinato orientamento sessuale «sollecitando l'attenzione del mondo giudiziario».

I giudici si domandano, di conseguenza, se tale affermazione sia sufficiente per rendere l’Associazione in oggetto legittimata ad agire in giudizio.

2.2. La seconda questione elaborata dalla Corte di Cassazione: quali sono i confini della libertà di manifestazione del pensiero?

La disciplina eurounitaria riguardante il contrasto a qualunque forma di discriminazione, in materia di occupazione e condizioni di lavoro, è ravvisabile nella già menzionata Direttiva n. 2000/78/CE, che esplica altresì la differenza tra discriminazione diretta e indiretta.

Gli ambiti di applicazione della presente norma europea includono: le condizioni di accesso al lavoro, sia dipendente sia autonomo, compresi i criteri di selezione; l’accesso a tutti i tipi di formazione professionale; le condizioni di licenziamento, la retribuzione.

La normativa interna di attuazione di tale specifica enunciazione è il succitato Decreto Legislativo n. 216/2003 e in particolare l’Articolo 1, che presenta analoghe (rectius, identiche) espressioni a quelle ravvisabili nella Direttiva.

Sia la disciplina europea sia quella nazionale si focalizzano esplicitamente sull’obiettivo di parità di trattamento sul lavoro, ambito che rientra nell’autonomia negoziale all’interno del più ampio diritto all’iniziativa economica privata (tutelato, altresì, dalla Costituzione italiana all’Articolo 41).

Com’è noto, la libertà di manifestazione del pensiero è un diritto fondamentale, salvaguardato, a titolo esemplificativo, dall’Articolo 10 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, dall’Articolo 8 della Convenzione Europea di Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali ed evidentemente dall’Articolo 21 della Costituzione italiana.

Il ricorrente, al momento della sua affermazione durante una trasmissione radiofonica, non aveva avviato né pianificato alcuna selezione lavorativa.

Le principali decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in materia anti-discriminatoria si riferivano a vicende in cui erano del tutto ravvisabili procedure di reclutamento, senza mai lasciare intendere che la presente Direttiva potesse censurare mere dichiarazioni personali, scevre da selezioni lavorative, per quanto discutibili fossero.

Di conseguenza, per quanto concerne la vicenda in oggetto, i giudici della Corte di Cassazione si domandano se rientra nella normativa europea/interna anti-discriminatoria qualunque dichiarazione più o meno offensiva riguardante una categoria di soggetti, anche in assenza di una trattativa individuale di lavoro o un’offerta pubblica di lavoro in corso, o se al contrario ciò si possa configurare come espressione di libertà di manifestazione del pensiero.

 

3. Una sintesi

Alla luce di quanto suesposto, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha sospeso il procedimento giudiziario in corso e rimesso tutti gli atti all’attenzione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, al fine di ottenere la corretta interpretazione della normativa eurounitaria menzionata.

Le due questioni rilevanti sono:

  • Se un’associazione composta da avvocati specializzati nella tutela giudiziale di una categoria di soggetti a differente orientamento sessuale, si ponga automaticamente come portatrice di un interesse collettivo, legittimata ad agire in giudizio;
  • Se rientri nell'ambito di applicazione della succitata Direttiva la dichiarazione rilasciata dal ricorrente, sebbene in quel momento non fosse in atto né programmata alcuna selezione di lavoro presso il suo studio professionale.