E’ valida la clausola risolutiva espressa apposta al contratto di donazione
La fattispecie giunta all’attenzione della Suprema Corte riguarda un atto di donazione in cui il donante trasferisce il diritto di proprietà su un immobile con l’onere per il donatario di servire e prestare assistenza al donante per tutta la vita di quest’ultimo, provvedendo altresì alle spese funerarie nonché alla sepoltura. Nell’atto pubblico è stabilito espressamente che l’inadempimento anche di una sola delle citate obbligazioni avrebbe comportato la risoluzione di diritto della donazione. La Cassazione ha dichiarato la piena validità di tale clausola.
Ad una attenta analisi, l’accoglimento incondizionato del principio di diritto espresso dalla Suprema Corte sembrerebbe creare qualche problema. Vediamo perché.
Ai sensi dell’art 769 c.c. “la donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa una obbligazione”.
Tralasciando la robusta elaborazione dottrinale formatasi sul concetto di causa della donazione, aderendo all’orientamento prevalente, possiamo affermare che essa consiste nel depauperamento del donante accompagnato dall’arricchimento del donatario.
L’art 793 c.c. riconosce all’autonomia privata il potere di apporre un onere alla donazione.
L’onere, o modus, è un elemento accidentale del contratto apposto ad una liberalità allo scopo di limitarla, che impone a carico del beneficiario un determinato dovere di condotta o di astensione. Si tratta di una modalità dell’attribuzione volta a perseguire una finalità ulteriore rispetto a quella tipica del negozio posto in essere.
La dottrina è pressocchè unanime nel ritenere che l’onere riduce gli effetti della liberalità, ma non costituisce corrispettivo dell’attribuzione. Merita segnalare il limpido argomentare di un autorevole autore secondo il quale «il modo innesta sugli effetti tipici del negozio altri effetti, accessori e secondari rispetto ai primi, per cui può distinguersi una volontà principale, diretta alla produzione degli effetti tipici, e una volontà subordinata che è appunto quella istitutiva del modus» (Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 2002, pag193 ss).
Analizziamo ora brevemente la clausola inserita dalle parti nell’atto di donazione.
Si tratta di una clausola risolutiva espressa. Tale clausola, prevista dall’art. 1456 c.c. è, per espressa previsione normativa, un rimedio tipico dei soli contratti a prestazioni corrispettive. Le norme dettate in tema di risoluzione del contratto trovano applicazione in presenza di anomalie funzionali del rapporto contrattuale, relative al funzionamento del sinallagma. Al contrario, se l’anomalia è genetica, coeva cioè alla conclusione dell’accordo, troveranno applicazione le norme dettate in tema di rescissione del contratto.
La donazione modale non è, sotto il profilo strutturale, un contratto a prestazioni corrispettive. Tale conclusione è avallata anche dalla giurisprudenza prevalente che ha affermato a più riprese che l’onere non diventa mai corrispettivo dell’attribuzione. L’onere non altera la causa della donazione che rimane gratuita. Il modus è estraneo all’elemento causale dell’operazione negoziale.
Le parti ben possono fare in modo che la prestazione dedotta nell’onere penetri all’interno dello schema causale: Tizio trasferisce a Caio la proprietà di un immobile e Caio, a titolo di corrispettivo, si obbliga a provvedere al mantenimento di Tizio.
In tale ipotesi, ricorrente nella prassi (c.d. contratto di mantenimento), si è di fronte ad un negozio a prestazioni corrispettive.
Ma si resta fuori dallo schema della donazione modale.
Nell’esempio fatto è agevole cogliere l’interdipendenza funzionale delle prestazioni di Tizio e Caio, che hanno titolo in un contratto oneroso.
Ma nella donazione modale ciò non accade. L’onere, come precisato, non assume la funzione di corrispettivo. Non è causa giustificativa dell’attribuzione liberale.
Se ciò è vero, sotto un profilo eminentemente strutturale, il rimedio previsto dall’art. 1456 c.c. sembrerebbe mal conciliarsi con la donazione modale, difetttando tale contratto del requisito della corrispettività tra le prestazioni, presupposto indefettibile per l’operatività della clausola risolutiva espressa.
La fattispecie giunta all’attenzione della Suprema Corte riguarda un atto di donazione in cui il donante trasferisce il diritto di proprietà su un immobile con l’onere per il donatario di servire e prestare assistenza al donante per tutta la vita di quest’ultimo, provvedendo altresì alle spese funerarie nonché alla sepoltura. Nell’atto pubblico è stabilito espressamente che l’inadempimento anche di una sola delle citate obbligazioni avrebbe comportato la risoluzione di diritto della donazione. La Cassazione ha dichiarato la piena validità di tale clausola.
Ad una attenta analisi, l’accoglimento incondizionato del principio di diritto espresso dalla Suprema Corte sembrerebbe creare qualche problema. Vediamo perché.
Ai sensi dell’art 769 c.c. “la donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa una obbligazione”.
Tralasciando la robusta elaborazione dottrinale formatasi sul concetto di causa della donazione, aderendo all’orientamento prevalente, possiamo affermare che essa consiste nel depauperamento del donante accompagnato dall’arricchimento del donatario.
L’art 793 c.c. riconosce all’autonomia privata il potere di apporre un onere alla donazione.
L’onere, o modus, è un elemento accidentale del contratto apposto ad una liberalità allo scopo di limitarla, che impone a carico del beneficiario un determinato dovere di condotta o di astensione. Si tratta di una modalità dell’attribuzione volta a perseguire una finalità ulteriore rispetto a quella tipica del negozio posto in essere.
La dottrina è pressocchè unanime nel ritenere che l’onere riduce gli effetti della liberalità, ma non costituisce corrispettivo dell’attribuzione. Merita segnalare il limpido argomentare di un autorevole autore secondo il quale «il modo innesta sugli effetti tipici del negozio altri effetti, accessori e secondari rispetto ai primi, per cui può distinguersi una volontà principale, diretta alla produzione degli effetti tipici, e una volontà subordinata che è appunto quella istitutiva del modus» (Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 2002, pag193 ss).
Analizziamo ora brevemente la clausola inserita dalle parti nell’atto di donazione.
Si tratta di una clausola risolutiva espressa. Tale clausola, prevista dall’art. 1456 c.c. è, per espressa previsione normativa, un rimedio tipico dei soli contratti a prestazioni corrispettive. Le norme dettate in tema di risoluzione del contratto trovano applicazione in presenza di anomalie funzionali del rapporto contrattuale, relative al funzionamento del sinallagma. Al contrario, se l’anomalia è genetica, coeva cioè alla conclusione dell’accordo, troveranno applicazione le norme dettate in tema di rescissione del contratto.
La donazione modale non è, sotto il profilo strutturale, un contratto a prestazioni corrispettive. Tale conclusione è avallata anche dalla giurisprudenza prevalente che ha affermato a più riprese che l’onere non diventa mai corrispettivo dell’attribuzione. L’onere non altera la causa della donazione che rimane gratuita. Il modus è estraneo all’elemento causale dell’operazione negoziale.
Le parti ben possono fare in modo che la prestazione dedotta nell’onere penetri all’interno dello schema causale: Tizio trasferisce a Caio la proprietà di un immobile e Caio, a titolo di corrispettivo, si obbliga a provvedere al mantenimento di Tizio.
In tale ipotesi, ricorrente nella prassi (c.d. contratto di mantenimento), si è di fronte ad un negozio a prestazioni corrispettive.
Ma si resta fuori dallo schema della donazione modale.
Nell’esempio fatto è agevole cogliere l’interdipendenza funzionale delle prestazioni di Tizio e Caio, che hanno titolo in un contratto oneroso.
Ma nella donazione modale ciò non accade. L’onere, come precisato, non assume la funzione di corrispettivo. Non è causa giustificativa dell’attribuzione liberale.
Se ciò è vero, sotto un profilo eminentemente strutturale, il rimedio previsto dall’art. 1456 c.c. sembrerebbe mal conciliarsi con la donazione modale, difetttando tale contratto del requisito della corrispettività tra le prestazioni, presupposto indefettibile per l’operatività della clausola risolutiva espressa.