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Errare humanum est, perseverare autem diabolicum

il pensatore
il pensatore

Errare humanum est, perseverare autem diabolicum

In questa rincorsa verso un’impossibile perfezione, capitano, a volte, degli errori, anzi, a ben vedere, parecchi di errori e quando ne prendiamo coscienza, spesso la prima reazione è di resistenza, una resistenza arrogante che arrotonda uno scudo tutto attorno all’ego e non ci fa guardare più in là del nostro naso. Com’è naturale dipende molto dall’origine del richiamo, se proviene da noi stessi o da un altro e dal rapporto che abbiamo con quella persona; tuttavia, nell’immediato, sono pochi ormai a essere disarmati e disposti all’ascolto che sia interiore che sia esterno. Un muro di “no!” cerca di bloccare l’oscillazione di quel fanciullo ferito come se ripercorrere le stesse vie ci desse sicurezza, una sicurezza simile alla ruota del criceto, che non va da nessuna parte.

Eppure, l’errore, pur essendo un limite, racchiude una grande opportunità, quella di correggersi e di tentare nuove strade.

Quando un alunno sbaglia, il primo passo in cui va guidato è proprio quello di avere il coraggio di guardare con onestà il proprio errore. Questo primo passo è faticoso, perché implica paura e timore di frustrazioni. Sentirsi vulnerabili non piace a nessuno, ma se il ragazzo si fida del maestro, può scoprire che la correzione impavida degli errori gli permette di mettere un passo davanti all’altro e quella sfida difficile diventa gustosa e interessante. Nella scuola, nel lavoro e nella vita, evitare errori è impossibile, Jung sosteneva che “Se eviti l’errore, eviti la vita” ed è vero.

Gli errori ci permettono di conoscerci per quello che siamo e non per come vogliamo apparire, di vedere il nostro agire, le nostre idee, il nostro modo di comportarci. Essi spiegano in che modo procedono i nostri pensieri. Ci danno la chiave per comprendere le motivazioni che ci spronano ad agire e reagire di fronte agli eventi della vita. Mentre la fissità calma e sicura, rinforzata dall’arroganza, è nemica della vita, anzi, è mortifera, spegne le idee. Come sostiene David Wallace imparare a pensare richiede di “essere un pò meno arrogante, avere un minimo di “consapevolezza critica” riguardo a me stesso e alle mie certezze… perché un’enorme percentuale delle cose di cui tendo a essere automaticamente certo risultano, a ben vedere, del tutto erronee e illusorie”.

Accettare l’errore e provare a correggerlo vuol dire quindi imparare a pensare e decidere che valore dare a quella determinata esperienza, anche quando si tratta di un vero e proprio fallimento. Solo in questa dinamicità dell’essere potremo incontrare corrispondenze che ci faranno rinascere.