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Il Milieu

CONTESTO
CONTESTO

Il Milieu


Possiamo forse scegliere? No.

Tra gli infiniti accidenti che ci piovono in testa ce n’è uno categorico, che non dipende da noi, nel bene e nel male: il milieu. È una parola di origine francese adottata in italiano, che significa «contesto» e viene usata, in special modo, dal punto di vista sociale e culturale. Zola, teorico della scuola del naturalismo francese, con il suo romanzo sperimentale svolge una vera e propria inchiesta sull’influenza determinante esercitata dal milieu sul corpo e sul carattere dell’uomo-personaggio. Senza voler essere spietatamente deterministici, non si può tuttavia negare che il milieu abbia un peso incredibile sulla nostra crescita, può essere distruttivo o stimolante e non possiamo farci nulla. Nascere in una determinata zona del mondo, crescere in una certa famiglia, avere delle possibilità economiche o non averle… Quante ingiustizie annoveriamo? Quanti errori pedagogici? Quante brutture, frustrazioni, incomprensioni che spesso anche le istituzioni, pur riconoscendole, non possono risolvere? I veri fortunati si contano sulle dita di una mano e non è nemmeno detto che l’apparenza sia sostanza. Stando così le cose, forgiati in fasce in un contesto, possiamo modificare anche solo uno spicchio di ciò che è radicato in noi?

Pensiamo a quando ci allontaniamo dalla nostra famiglia di origine e magari scegliamo di condividere la nostra storia con qualcuno che proviene, a sua volta, da un altro ambito. Spesso, nonostante l’istruzione e l’allenamento sociale, ci si trova a cozzare proprio su aspetti che sono viscerali, mescolati con il nostro DNA e che riemergono con forza nelle azioni spontanee e quotidiane. Questa presa di coscienza rischia di far sembrare tutto così ineluttabile e crudele, invece è, se lo desideriamo davvero, l’inizio di una potente trasformazione. È il punto d’appoggio sul quale fare pressione con una leva e sollevare il nostro mondo. Bisogna avere il coraggio di prendere il nostro bagaglio, il nostro milieu, guardarci dentro e buttare via quello che ci spegne e tenere il buono che c’è, che sicuramente c’è, distinguendo il grano dalla pula.

In quest’azione dolorosa e guaritrice bisogna necessariamente fare i conti con la propria storia per far esplodere la nostra unicità e trovare un posto nel mondo. Chi ha vissuto un’infanzia piena d’amore può donarsi agli altri, regalando lo sguardo che ha ricevuto a sua volta in dono, mentre chi ha sofferto cercherà corrispondenze autentiche per costruire con creatività ciò che gli manca.  

A questo proposito mi hanno colpito molto le parole della cantante Elodie: “Considero il mio passato la mia fortuna: mi ha dato la possibilità di vedere la vita cruda fin dall’inizio e non l’ho subìta… mia mamma faceva la cubista, era una ragazza con problemi, mi ha avuta a 21 anni” E rispetto alla tossicodipendenza dei suoi: “Non ho reagito arrabbiandomi, anche se poi ho avuto dentro di me tanta rabbia per parecchio tempo. Ho detto vabbè vi do una mano, cerco di capire come aiutare… Tornavo a casa e non c’era l’acqua calda, non riuscivo a studiare, provavo a proteggere mia sorella che ha tre anni meno di me: cercavo di non farle capire quanto andassero male le cose”. Continua Elodie, che al Quartaccio ha convissuto a lungo con personaggi borderline, vicini di casa vittime di quel degrado che vedeva anche all’interno della sua famiglia: “Osservandoli è come se avessi studiato, ho amato tante di quelle persone. Mi hanno dato la possibilità di vedere le vita con serenità: tutte le cose si risolvono e anche quando soffri è una fortuna, perché stai vivendo”.

(Estratto dell’intervista del Corriere della Sera, 4 ottobre 2020)