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G20, ripartenza e Quirinale. Quanto vale Draghi per il Governo del Paese?

Mario Draghi
Mario Draghi

Il Centro Studi Occidentali ha ospitato, su Ponente magazine, l’intervento di Angelo Lucarella in merito alla situazione politica italiana attuale con un occhio anche sul fronte geopolitico.

Filodiritto ne pubblica l’approfondimento integrale:

 

“Quanto vale Draghi per tenere unito l’esecutivo del Paese?

Siamo alla vigilia dell’ultimo settembre mattarelliano e non si può non iniziare a fare i conti con le dinamiche politico parlamentari che scatteranno, per forza di cose, in ordine a quel che sarà il nuovo Capo dello Stato dal 2022 in poi.

Il pensiero va, sicuramente, a finire sul tipo di profilo che servirà per sostituire il Presidente attuale. Segni, Leone, Cossiga, Ciampi: questi gli unici della storia repubblicana che hanno vestito il ruolo di premier (anche se il termine è azzardato poiché in Italia non esiste, tecnicamente, il premierato) e, poi, di rappresentanti dell’unità nazionale.

Ma cos’è l’unità nazionale?

Costituzionalmente parlando è sancita da quel mix tra l’articolo 5 dei principi fondamentali che enuncia “La Repubblica, una e indivisibile…” e l’articolo 87 (co. 1) “Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale”.

Etimologicamente, invece, la parola unità deriva dal latino unitatem, quale astratto di unus, e sta a significare la qualità di uno (non strettamente riferendosi al concetto numerico) funzionalmente indirizzata a conseguire unione e concordia.

Chiaro che a tal fine (e per il ruolo istituzionale suddetto) le qualità personali contano: esprimersi politicamente in chiave non divisiva costituisce un elemento necessario; quest’ultimo, non scritto espressamente in Costituzione così come non sancito in alcuna legge di rango inferiore. Tuttavia trattasi di elemento, altrettanto, irrinunciabile quando si è Presidente del Consiglio dei Ministri. Almeno così dovrebbe essere atteso che, sempre la benedetta Costituzione italiana, ci pone costantemente dinanzi ad un messaggio collettivo, programmatico e perennemente strumentale quale monito: stando all’articolo 95 (co. 1) con cui si afferma che “Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei Ministri” è d’obbligo convogliare su un profilo che ispiri e si ispiri a detta direttrice istituzionale.

Non può che tornare utile, su questo punto, la testimonianza di Aldo Moro (che se non fosse stato assassinato dalle Brigate Rosse, probabilmente, sarebbe stato Presidente della Repubblica); egli diceva che “Lo Stato democratico, lo Stato del valore umano, lo Stato fondato sul prestigio di ogni uomo e che garantisce il prestigio di ogni uomo, è uno Stato nel quale ogni azione è sottratta all’arbitrio ed alla prepotenza, in cui ogni sfera di interesse e di potere obbedisce ad una rigida delimitazione di giustizia, ad un criterio obiettivo e per sua natura liberatore; è uno Stato in cui lo stesso potere pubblico ha la forma, la misura e il limite della legge, e la legge, come disposizione generale, è un atto di chiarezza, è un’assunzione di responsabilità, è un impegno generale ed uguale”.

Draghi, quindi, sarebbe più utile per l’unità politico-repubblicana o per quella politico-governativa rispetto alla composizione del Parlamento attuale?

Due risposte possono valutarsi in tale ottica (senza trascurare altre ipotesi che al momento disorienterebbero rispetto al tema):

  • PNRR, crisi internazionali, ripartenza economica, leadership europea, ecc. imporrebbero al comune senso politico “non divisivo” di mantenere Draghi alla guida dell’esecutivo del Paese dato il prestigio, la competenza, il valore umano e, soprattutto, l’ascendente e la capacità di persuasione che dimostra da anni;
  • viceversa potrebbe aprirsi la strada verso il Colle qualora fosse necessario e prioritario dare nuova linfa sul fronte delle logiche del C.S.M. (presieduto appunto dal Capo dello Stato secondo gli artt. 87 e 104 Cost.), attendere con ulteriore discernimento alle strategie militari in chiave internazionale (atteso che il P.d.R. “comanda” le forze armate presiedendo, altresì, il Consiglio superiore di difesa della Repubblica), dare un maggior respiro di matrice liberale al Quirinale per rinfrescare le interazioni con il Parlamento che verrà nella prossima legislatura (al netto dei vari populismi rappresentati), ecc.

Ecco, il G20 che Mario Draghi sta contribuendo a strutturare per i prossimi giorni (specificamente in ordine alla possibile individuazione di soluzioni breve-medio tempore per la crisi dell’Afghanistan) potrebbe significare moltissimo sul piano della leadership geopolitica.

Da Biden a Macron, da Johnson a Merkel, da Putin a Xi Jinping financo ad Erdogan si immagina (e non si può che logicamente pensare in tale direzione) che tutti abbiano un unico pensiero: ricreare condizioni di stabilità sul fronte umanitario in Afghanistan (prima ancora che economico o democratico) che, al momento, è del tutto minato dall’incertezza, al quanto inarrestabile, dettata dal ritorno terroristico-talebano.

Allora il G20 può tradursi in una investitura ufficiale per Mario Draghi che, chiamato ad inizio 2021 a riorganizzare la politica nazionale, può così coltivare un ruolo di altra caratura che farebbe balzare il Paese, se non al primo posto, sicuramente in un nuovo triumvirato europeo prossimamente orfano di Angela Merkel. 

Ritornerà il connubio franco-italiano? E quanto si manterrà in auge Macron (considerato che in Francia è diverso il ruolo del presidente rispetto a quello italiano)?

Draghi, se quanto detto sinora troverà fondamento nella realtà, può rappresentare con il G20 alle porte l’anticamera della vera unione politica europea con un grande nuovo ruolo rispetto all’atlantismo storico del nostro Paese: diventare il cuscinetto di garanzia per Biden, Putin ed Erdogan con un ponte diretto sul mondo arabo ed anche israeliano.

Altro che via della seta.

Forse per una volta, i liberatori degli Usa potremmo essere noi rispetto alla partita capital-comunista cinese che si gioca, ormai da anni, sul fronte degli investimenti in Africa, del ritiro continuo di titoli al portatore (cioè denaro a fronte di prodotti di bassissimo costo) delle più importanti valute al mondo (dollari ed euro in primis), ecc.

Sullo sfondo c’è da pensare, sicuramente, alla ripartenza economica del Paese su cui questo Governo, nel bene o nel male, sta cercando di accelerare: ne sia un esempio la riforma Cartabia sulla giustizia (perché se non c’è efficienza, non ci sono investitori esteri e, soprattutto, imprenditori che alimentano la capacità contributiva per lo Stato e non, al contrario, dello Stato).

La partita del Quirinale è ormai dietro l’angolo, ma sinceramente Draghi serve, ora più che mai, per governare l’Italia nel mondo e, di riflesso, il mondo in Italia.

“Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita” (cit. Dante Alighieri nell’Inferno della Divina Commedia).

L’Italia può tornare ad ispirarsi (allontanando i populismi del momento) a quel che Aldo Moro diceva del prestigio politico dell’Uomo che, implicitamente, garantisce il prestigio di ogni altro uomo e che incarna, al contempo, il prestigio di uno Stato.

Ora, Mario Draghi potrebbe anche essere un grande Presidente della Repubblica e cambiare l’Italia per altri versi, ma è il momento di cambiare il governo del mondo.

Tra sei mesi, con tutta probabilità, ne riparleremo.

Chissà che non sia la volta buona di un Presidente della Repubblica diverso: il Senato insegna molto.

Peccato che si vorrebbe eliminarlo”.