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Genesi ed evoluzione della doppia responsabilità derivante dall’appartenenza all’Unione Europea

Genesi ed evoluzione della doppia responsabilità derivante dall’appartenenza all’Unione Europea
Genesi ed evoluzione della doppia responsabilità derivante dall’appartenenza all’Unione Europea

Abstract 

Gli sviluppi giurisprudenziali e la definizione delle tutele orientate a favore dei singoli cittadini nell’ottica della leale cooperazione degli stati membri e dell’adempimento degli obblighi di matrice comunitaria hanno portato ad un’ulteriore responsabilità degli stati, in aggiunta a quella nei confronti dell’Unione. Sono state le asserzioni della Corte di Giustizia a sancire, già nei primi anni ’90, il diritto al risarcimento del danno che ogni individuo può vantare a seguito della mancata attuazione dei Trattati e dei provvedimenti delle Istituzioni Europee.

Sono passati molti anni dalla “dichiarazione Schuman”, eppure, proprio in quel preciso istante ebbe inizio tutto un processo quasi ininterrotto e sempre più diretto ad assorbire i valori e le competenze degli stati geograficamente e storicamente appartenenti al continente europeo. Si è trattato, concretamente, della cessione di scampoli e poi di intere fette di sovranità a favore di organismi talvolta dai confini non ben definiti. Con il passare del tempo sono state sottoscritte convenzioni, altre sono venute meno, sono stati siglati accordi esterni, non inquadrabili nel contesto dell’Unione Europea, come il tanto discusso Schengen, ma a diventare sempre più forte e penetrante è stata l’ autorità di quest’ultima, anche per quanto riguarda la responsabilità dei singoli stati membri in ordine alle violazioni delle norme europee.

Le regole poste dal Diritto Internazionale vincolano chiaramente i soggetti che vi aderiscono, quindi esclusivamente organizzazioni e stati. I singoli individui possono essere considerati beneficiari, non anche destinatari di una serie di diritti e doveri che, viceversa, è proprio quello che avviene se prendiamo in esame il diritto dell’Unione Europea. Infatti, i Paesi che ne fanno parte devono garantire l’effettiva applicazione interna delle disposizioni di derivazione europea. Si tratta di un sistema in cui i giudici nazionali hanno il compito di assicurare la tutela dei diritti che la legislazione comunitaria attribuisce in linea retta ai cittadini dell’Unione.

Gli articoli 258, 259 e 260 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) illustrano la procedura (c.d. di infrazione) che può essere azionata nei confronti dello stato membro che si renda inadempiente con riguardo alle prescrizioni scaturenti dalla sua partecipazione all’Unione. Attraverso la denuncia della Commissione Europea o di uno stato terzo, la Corte di Giustizia può giungere, dopo un travagliato iter, alla pronuncia in merito ad un’eventuale responsabilità dello Stato renitente e successivamente ad una fase contenziosa vera e propria che termina, generalmente, con la sentenza di condanna al pagamento di una somma forfettaria. Questo strumento, tuttavia, non è rivolto alla soddisfazione delle aspettative dei singoli individui.

Il punto di svolta si è registrato il 19 novembre del 1991, con la c.d. sentenza Francovich. Una causa che ha visto quale parte resistente proprio la Repubblica Italiana contro i sigg. ri Andrea Francovich e Danila Bonifaci. In questa occasione la Corte ha precisato che quando una direttiva non è attuata entro il termine stabilito, è necessario tener conto di un’Ulteriore conseguenza connessa alla violazione da parte dello stato. Così, al soggetto leso è stato riconosciuto il diritto al risarcimento del danno attraverso una richiesta proponibile in modo esclusivo e diretto allo stesso giudice nazionale.

A differenza dell’efficacia immediata dei regolamenti, le direttive, si sa, devono essere recepite dagli ordinamenti interni degli stati membri. Quando questi provvedimenti attribuiscono una o più prerogative ai singoli, nonché quando il contenuto degli stessi sia evidentemente identificabile e sussista anche il nesso di causalità tra la violazione a carico del Paese ed il pregiudizio subito dal cittadino, quest’ultimo ha la facoltà di agire in giudizio al fine di vedersi riconoscere la liquidazione, da parte dello stato, di quanto dovutogli a titolo di risarcimento del danno. Ed in effetti, se così non fosse, non avrebbe senso parlare di “piena efficacia” del diritto dell’Unione Europea.

Ulteriori e più recenti sviluppi della giurisprudenza della Corte hanno contribuito a precisare e puntualizzare la portata della sentenza Francovich. Sono di notevole rilievo le statuizioni del 1996 per i casi “Brasserie du Pecheur-Factortame” e “British Telecommunications”. Importante la specificazione relativa alla fondatezza della responsabilità dello stato inadempiente anche quando la norma di riferimento appartenga ai trattati, e non soltanto a disposizioni legislative, quali appunto le direttive. Nel 1997 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, intervenendo nuovamente in casi analoghi, ha attestato la possibilità per lo Stato di prevedere un termine di decadenza per la proposizione del ricorso tendente ad ottenere il risarcimento. A seguire, la causa C-302/97, conclusasi con la sentenza dell’1 giugno 1999, ha confermato la diretta responsabilità dello stato membro, a prescindere, altresì, da qualsivoglia ripartizione interna. Il sistema nazionale comprende diversi enti a livello territoriale che, dunque, non possono essere considerati direttamente responsabili. L’onere del risarcimento grava esclusivamente nei confronti dello stato centrale, anche se, di fatto, è possibile azionare un successivo potere di rivalsa nei confronti dell’ente locale in questione. Con la c.d. “sentenza Kobler” del 30 settembre 2003 la Corte di Giustizia ha dimostrato di propendere nel senso della responsabilità civile dello Stato anche per l’attività posta in essere dai giudici nazionali. Sebbene il potere giudiziario sia dotato della più ampia autonomia, lo stesso deve considerarsi parte integrante dello Stato quale un unico organismo onnicomprensivo.

Concludendo, ogni cittadino dell’Unione Europea ha il diritto di adire il giudice nazionale che dovrà accertare volta per volta, anche in queste circostanze, la presenza degli elementi costitutivi dell' illecito ex articolo 2043 del Codice Civile, poiché, mentre la responsabilità dello stato che si è reso inadempiente trae origine dal diritto comunitario, le procedure da seguire per ottenere il risarcimento sono disciplinate dalla legge interna del Paese di appartenenza.

Abstract 

Gli sviluppi giurisprudenziali e la definizione delle tutele orientate a favore dei singoli cittadini nell’ottica della leale cooperazione degli stati membri e dell’adempimento degli obblighi di matrice comunitaria hanno portato ad un’ulteriore responsabilità degli stati, in aggiunta a quella nei confronti dell’Unione. Sono state le asserzioni della Corte di Giustizia a sancire, già nei primi anni ’90, il diritto al risarcimento del danno che ogni individuo può vantare a seguito della mancata attuazione dei Trattati e dei provvedimenti delle Istituzioni Europee.

Sono passati molti anni dalla “dichiarazione Schuman”, eppure, proprio in quel preciso istante ebbe inizio tutto un processo quasi ininterrotto e sempre più diretto ad assorbire i valori e le competenze degli stati geograficamente e storicamente appartenenti al continente europeo. Si è trattato, concretamente, della cessione di scampoli e poi di intere fette di sovranità a favore di organismi talvolta dai confini non ben definiti. Con il passare del tempo sono state sottoscritte convenzioni, altre sono venute meno, sono stati siglati accordi esterni, non inquadrabili nel contesto dell’Unione Europea, come il tanto discusso Schengen, ma a diventare sempre più forte e penetrante è stata l’ autorità di quest’ultima, anche per quanto riguarda la responsabilità dei singoli stati membri in ordine alle violazioni delle norme europee.

Le regole poste dal Diritto Internazionale vincolano chiaramente i soggetti che vi aderiscono, quindi esclusivamente organizzazioni e stati. I singoli individui possono essere considerati beneficiari, non anche destinatari di una serie di diritti e doveri che, viceversa, è proprio quello che avviene se prendiamo in esame il diritto dell’Unione Europea. Infatti, i Paesi che ne fanno parte devono garantire l’effettiva applicazione interna delle disposizioni di derivazione europea. Si tratta di un sistema in cui i giudici nazionali hanno il compito di assicurare la tutela dei diritti che la legislazione comunitaria attribuisce in linea retta ai cittadini dell’Unione.

Gli articoli 258, 259 e 260 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) illustrano la procedura (c.d. di infrazione) che può essere azionata nei confronti dello stato membro che si renda inadempiente con riguardo alle prescrizioni scaturenti dalla sua partecipazione all’Unione. Attraverso la denuncia della Commissione Europea o di uno stato terzo, la Corte di Giustizia può giungere, dopo un travagliato iter, alla pronuncia in merito ad un’eventuale responsabilità dello Stato renitente e successivamente ad una fase contenziosa vera e propria che termina, generalmente, con la sentenza di condanna al pagamento di una somma forfettaria. Questo strumento, tuttavia, non è rivolto alla soddisfazione delle aspettative dei singoli individui.

Il punto di svolta si è registrato il 19 novembre del 1991, con la c.d. sentenza Francovich. Una causa che ha visto quale parte resistente proprio la Repubblica Italiana contro i sigg. ri Andrea Francovich e Danila Bonifaci. In questa occasione la Corte ha precisato che quando una direttiva non è attuata entro il termine stabilito, è necessario tener conto di un’Ulteriore conseguenza connessa alla violazione da parte dello stato. Così, al soggetto leso è stato riconosciuto il diritto al risarcimento del danno attraverso una richiesta proponibile in modo esclusivo e diretto allo stesso giudice nazionale.

A differenza dell’efficacia immediata dei regolamenti, le direttive, si sa, devono essere recepite dagli ordinamenti interni degli stati membri. Quando questi provvedimenti attribuiscono una o più prerogative ai singoli, nonché quando il contenuto degli stessi sia evidentemente identificabile e sussista anche il nesso di causalità tra la violazione a carico del Paese ed il pregiudizio subito dal cittadino, quest’ultimo ha la facoltà di agire in giudizio al fine di vedersi riconoscere la liquidazione, da parte dello stato, di quanto dovutogli a titolo di risarcimento del danno. Ed in effetti, se così non fosse, non avrebbe senso parlare di “piena efficacia” del diritto dell’Unione Europea.

Ulteriori e più recenti sviluppi della giurisprudenza della Corte hanno contribuito a precisare e puntualizzare la portata della sentenza Francovich. Sono di notevole rilievo le statuizioni del 1996 per i casi “Brasserie du Pecheur-Factortame” e “British Telecommunications”. Importante la specificazione relativa alla fondatezza della responsabilità dello stato inadempiente anche quando la norma di riferimento appartenga ai trattati, e non soltanto a disposizioni legislative, quali appunto le direttive. Nel 1997 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, intervenendo nuovamente in casi analoghi, ha attestato la possibilità per lo Stato di prevedere un termine di decadenza per la proposizione del ricorso tendente ad ottenere il risarcimento. A seguire, la causa C-302/97, conclusasi con la sentenza dell’1 giugno 1999, ha confermato la diretta responsabilità dello stato membro, a prescindere, altresì, da qualsivoglia ripartizione interna. Il sistema nazionale comprende diversi enti a livello territoriale che, dunque, non possono essere considerati direttamente responsabili. L’onere del risarcimento grava esclusivamente nei confronti dello stato centrale, anche se, di fatto, è possibile azionare un successivo potere di rivalsa nei confronti dell’ente locale in questione. Con la c.d. “sentenza Kobler” del 30 settembre 2003 la Corte di Giustizia ha dimostrato di propendere nel senso della responsabilità civile dello Stato anche per l’attività posta in essere dai giudici nazionali. Sebbene il potere giudiziario sia dotato della più ampia autonomia, lo stesso deve considerarsi parte integrante dello Stato quale un unico organismo onnicomprensivo.

Concludendo, ogni cittadino dell’Unione Europea ha il diritto di adire il giudice nazionale che dovrà accertare volta per volta, anche in queste circostanze, la presenza degli elementi costitutivi dell' illecito ex articolo 2043 del Codice Civile, poiché, mentre la responsabilità dello stato che si è reso inadempiente trae origine dal diritto comunitario, le procedure da seguire per ottenere il risarcimento sono disciplinate dalla legge interna del Paese di appartenenza.