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Germania: puzzle di governo (ISPI)

Germania
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I risultati preliminari parlano di una vittoria sul filo di lana. Ma in realtà a vincere le elezioni federali tenutesi ieri in Germania è il partito dei Socialdemocratici (Spd) guidato da Olaf Scholz. Soprattutto perché a perderle, nonostante sia stato superato di poco dal partito di centrosinistra, è il blocco di centrodestra dell'Unione (Cdu-Csu) della cancelliera uscente Angela Merkel, crollato di quasi 9 punti percentuali rispetto alle elezioni del 2017. Il conteggio di tutte le 299 circoscrizioni del paese mostra che l’Spd ha ricevuto il 25,8% dei voti, contro il 24,1% della Cdu-Csu.

Mai prima d’ora in Germania un partito vincitore di un’elezione nazionale aveva preso meno del 31% dei voti.

Perciò, come ampiamente previsto già prima dell’apertura dei seggi, per la prima volta la Germania si avvia verso la creazione di una coalizione di governo composta da almeno tre partiti.

Nel suo discorso di ieri sera, in cui ha rivendicato la vittoria, Scholz, vice cancelliere uscente e ministro delle finanze, ha dichiarato che il risultato è “un mandato molto chiaro: i cittadini vogliono un cambiamento” e che intende fare di tutto per formare una coalizione di governo prima di Natale. Entrambi i principali partiti tedeschi, Spd e Cdu-Csu, protagonisti negli anni passati di governi di coalizione, hanno reso chiaro durante la campagna elettorale che non intendono allearsi nuovamente, aprendo a prospettive nuove e diverse. Fino ad allora, l’unica certezza resta ancora Angela Merkel, al comando nel ruolo di cancelliera fino al giuramento del suo successore.

 

Chi vince e chi perde?

Mentre il quadro complessivo si va componendo, le performance dei singoli partiti sono chiare: nella sua prima tornata senza Merkel la Cdu-Csu incassa il peggior risultato mai registrato, testimoniato dal successo dell’Spd a Berlino e nel collegio elettorale di di Rügen, nel Land del Meclemburgo-Pomerania Anteriore, in cui la cancelliera uscente aveva vinto per ben otto volte di seguito dal 1990.

Ed è una vittoria netta, quella dei socialdemocratici, che hanno saputo approfittare anche delle battute d’arresto dei Verdi in campagna elettorale. Questi ultimi invece, che con Annalena Baerbock appena qualche settimana fa sembravano lanciati verso la cancelleria, pur incassando il miglior risultato di sempre (14,4%) e un ruolo da kingmaker da condividere con i liberali dell’Fdp, pagano lo scotto di errori e incertezze. Per il partito di estrema destra Alternativa per la Germania (AfD), che ha ottenuto il 10,3% dei voti, è andata peggio che nel 2017, ma rimane il secondo partito nelle regioni che una volta componevano la Repubblica Democratica Tedesca (DDR).

Sconfitta netta, invece, per la sinistra Die Linke (4,9%) che riesce ad entrare al bundestag solo grazie alle vittorie in tre collegi uninominali che gli consentono di superare la soglia di sbarramento al 5%. Il panorama politico che esce dalle urne è frastagliato e, per il nuovo governo, sarà indispensabile includere Verdi e Liberali, andando a formare una coalizione “a semaforo” o “Giamaica”. Si apre ora un difficile negoziato per formare una coalizione, che potrebbe durare settimane o addirittura mesi.

Voto in Germania

 

Moderazione e continuità?

 

Quella dell’Spd sarà pure risicata, ma è pur sempre una vittoria e Olaf Scholz ha intenzione di intestarsela tutta. D’altronde è per lui, ex sindaco di Amburgo e attuale ministro delle Finanze e vice cancelliere che – stando alle previsioni preelettorali – gli elettori si sono rivolti al partito di centrosinistra.

La sua campagna si è svolta nel segno della moderazione e della continuità con Angela Merkel e, pur proponendo politiche progressiste come l’aumento del salario minimo e delle tasse sui redditi più alti, è riuscito convincere l’elettorato tedesco senza perdere l’appoggio della base tradizionale dell’Spd. Invertendo una tendenza dell’ultimo decennio, che vedeva i socialdemocratici come una forza ormai esaurita, prosciugata di energie e slancio anche a causa di coalizioni compromettenti con il partito di Merkel, priva di un profilo distintivo dopo anni di slalom tra la sinistra e il centro. Ad aiutarlo sono stati senza dubbio due fattori: l’aver incontrato due contendenti più sbiaditi, come Laschet, o inesperti, come Baerbok, e aver condotto una campagna serrata e tailor made sul suo programma, nonostante le resistenze della parte più radicale del partito che non vedeva di buon occhio la sua candidatura. “Gli elettori hanno espresso la loro volontà in modo molto chiaro: hanno rafforzato Spd, Verdi e Liberali – ha detto Scholz in mattinata –. E sono questi tre partiti che devono guidare il nuovo governo”.

 

Europa soddisfatta?

In attesa di conoscere quale coalizione governerà la prima economia europea e il paese più popoloso dell’Unione, l’Europa può comunque dirsi soddisfatta. “L’unica certezza, al momento, è che dopo Merkel la Germania rimarrà su una rotta transatlantica e solidamente pro-europeista”, scrive Matthew Karnitschnig sulle colonne di Politico. Un buon inizio, ma è abbastanza per tirare un sospiro di sollievo? Molto dipende dalla piega che prenderanno i negoziati e la composizione della prossima squadra di governo. Nell’Unione Europea infatti sta per aprirsi una stagione di riflessioni profonde e la posizione di Berlino sarà determinante per deciderne l’orientamento: si va dalla revisione del Patto di stabilità, il dossier più scottante e delicato, alle politiche ambientali e la transizione energetica, il rapporto con gli Stati Uniti, le relazioni con Cina e Russia solo per citarne alcuni.

Senza dimenticare questioni interne che finiranno inevitabilmente con l’influenzare anche il resto del continente: la politica fiscaleil salario minimola sicurezza. Scholz sembra esserne cosciente e nei primi interventi di oggi si è rivolto ai paesi membri dell’Ue già con i toni del futuro cancelliere: “Nessuno deve cercare di dominare l'Unione europea”, ha detto. “Ci deve essere una buona collaborazione fra nord e sud, est e ovest. Faremo in modo che l'Europa cresca meglio insieme”.

 

Il commento

Di Antonio Villafranca, Direttore della ricerca ISPI

“È stato un testa a testa tra Cdu-Csu e Spd. Ma non ha lo stesso sapore. I socialdemocratici sembravano in caduta libera fino a pochi mesi fa e sono arrivati primi. I cristiano-democratici sono secondi con il peggior risultato di sempre. Se l'Spd avrà successo nel formare un governo (dopo comunque estenuanti negoziati), si amplieranno ancora di più le fratture dentro una Cdu-Csu incapace di esprimere una leadership forte e con pericolose spinte centrifughe”.  

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A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications)