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I dannati della gogna

Ermes Antonucci racconta venti vittime italiane del processo mediatico
gogna mediatica
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Ben prima della diffusione del Coronavirus, circolava già nel nostro Paese un altro virus tutto italiano: quello della gogna mediatica. Un virus altrettanto devastante che non guarda in faccia a nessuno, come testimoniano venti storie esemplificative che il giornalista Ermes Antonucci ha dapprima raccontato in un’inchiesta sulle pagine del quotidiano «Il Foglio», e poi ha raccolto nel libro I dannati della gogna, appena pubblicato da Liberilibri.

I protagonisti, o meglio le vittime, tutte italiane, sono volti noti, da politici a funzionari pubblici a manager di successo, come Calogero Mannino e Clemente Mastella, Maurizio Lupi e Francesco Bellavista Caltagirone, ma anche persone comuni, sventurati cittadini travolti dalla violenza di un processo mediatico ben prima che le accuse contro di loro venissero formulate nelle aule di un tribunale.

Il meccanismo infernale del circo mediatico-giudiziario sembra ormai entrato a far parte stabilmente della vita del nostro Paese e spazza via ogni giorno lungo il suo cammino carriere professionali, stabilità economiche, reputazioni, rapporti familiari, sociali e affettivi: insomma, vite intere. Un’esperienza disumana, che passa attraverso la pubblicazione sui giornali di notizie coperte da segreto investigativo, la diffusione di intercettazioni penalmente irrilevanti, la colpevolizzazione preventiva, l’annientamento della privacy di indagati e imputati.

Queste “storie di malagiustizia”, come le definisce il presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane Gian Domenico Caiazza nella Prefazione, “di innocenti maciullati dalla gogna mediatico-giudiziaria”, rappresentano “un viaggio nel dolore più profondo, cupo e disperante che a un essere umano possa occorrere di vivere”.

Il libro si inserisce in un filone tematico caro da sempre alla casa editrice, che vanta in catalogo testi come Inno alla Gogna di Daniel Defoe, Crainquebille di Anatole France, Il circo mediatico-giudiziario di Daniel Soulez Larivière e Gli errori giudiziari di Jacques Vergès.

 

 

Di seguito, l’estratto integrale del primo capitolo del libro dedicato alla storia di Giovanni Novi:

 

La mattina del 4 febbraio 2008, Giovanni Novi sta trascorrendo il suo penultimo giorno da presidente dell’Autorità portuale di Genova, carica che ricopre da quattro anni con piena soddisfazione del ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi per le iniziative portate a termine. Mentre è a casa a fare colazione con sua moglie e con una coppia di amici milanesi, improvvisamente squilla il telefono. «È il tenente della Guardia di finanza. Mi dice che deve notificarmi un documento. Gli do appuntamento in ufficio, ma mi risponde che sarebbe stato dalle mie parti e avrebbe portato lui il documento. Passa un’ora, però, e lui non arriva. Lo chiamo anche al telefono tre volte. Ho saputo solo dopo cosa stesse succedendo: sono stati un’ora davanti casa mia e poi sono arrivati i giornalisti e i fotografi a riprendermi mentre le fiamme gialle mi notificavano gli arresti domiciliari.» Con queste parole, Giovanni Novi comincia a raccontare l’incubo che ha stravolto la sua vita.

In quell’occasione, Novi scopre di essere indagato assieme ad altre otto persone in una maxi-inchiesta che cambierà per sempre la storia del porto di Genova. La Procura del capoluogo ligure avanza contro di lui una serie infinita di accuse (alla fine saranno tredici i capi di imputazione), che vanno dalla concussione alla turbativa d’asta, dalla truffa all’abuso d’ufficio, per presunte irregolarità nella concessione dei moli del porto ai terminalisti.

In particolare, Novi viene accusato di essere il garante di un patto stipulato da un gruppo di terminalisti, camalli, famiglie di armatori e la stessa Autorità portuale per la spartizione del terminal “Multipurpose”, uno dei pezzi più pregiati dello scalo genovese.

«In realtà il Multipurpose è stata solo una delle questioni, insieme a tante altre, di cui mi sono occupato da presidente» spiega Novi. «Il terminal, inoltre, è stato assegnato attraverso l’asta che era stata indetta dal mio predecessore, con l’accordo di tutti quanti (anche se qualcuno non era proprio contento). Poi è successo che ho scoperto delle cose che non andavano nella gestione del porto. Ho fatto quindi pagare alcune concessioni che non venivano pagate regolarmente, ho bloccato dei pagamenti che venivano fatti ai concessionari per realizzare dei lavori che avrebbero dovuto essere a carico loro, e ho anche rivisto l’organigramma interno. Da quel momento in poi, i concessionari si sono scatenati e mi hanno attaccato violentemente sui giornali senza motivo. Quelli che mi hanno attaccato più di tutti sono stati gli armatori Messina.» Sono proprio le denunce avanzate dagli armatori Ignazio e Gianfranco Messina sulle presunte pressioni subite da Novi affinché ridimensionassero le pretese sull’ambitissimo terminal a innescare l’inchiesta della magistratura.

La vicenda durerà oltre sei anni e si concluderà in una bolla di sapone. In primo grado la montagna di accuse partorisce un topolino: nel settembre 2010, Novi viene infatti assolto per dodici imputazioni su tredici, e condannato solo per turbativa d’asta a due mesi di carcere (i pm avevano chiesto la condanna a sei anni).

Due anni dopo, in appello, il reato finisce in prescrizione, ma Novi viene comunque condannato al risarcimento dei danni a favore dell’Autorità portuale. Nonostante la prescrizione, l’ex presidente e gli altri imputati decidono di fare ricorso in Cassazione.

L’epilogo giunge il 13 marzo 2014, quando la Suprema corte conferma l’assoluzione per Novi, per tutti i tredici capi di imputazione, e per gli altri imputati. Nella sentenza i giudici sottolineano che Novi non solo non commise alcun reato, ma agì per il bene del porto. Viene assolto perché «il fatto non sussiste».

Nel frattempo, però, le accuse hanno macchiato per anni la figura di Novi, cofondatore nel lontano 1961 della Burke e Novi, storica broker house e agenzia marittima genovese, e cavaliere del lavoro dal 1995. E a pagare, in termini economici, di reputazione e di salute, non è stato solo lui.

La prima a pagare le conseguenze del blitz dell’arresto mediatico è stata sua moglie, Nucci Ceppellini, ex assessore al Turismo della regione e vicepresidente in carica dell’Associazione internazionale della vela, da tempo malata di cancro ma fino a quel momento in buone condizioni.

Dopo la visita dei finanzieri e dei cronisti, in serata Nucci crolla. Viene ricoverata in ospedale, dove il marito non può andare in quanto posto agli arresti domiciliari. In seguito all’azione dei legali, Cesare Manzitti e Cesare Corti Galeazzi, Novi riesce a ottenere il permesso di visitarla in ospedale. Poi Nucci entra in coma e, in seguito a una lettera pubblica scritta dai figli per appellarsi alla comprensione dei giudici, gli arresti nei confronti del marito vengono revocati.

Il 14 febbraio Giovanni raggiunge la moglie in ospedale, ma ha solo il tempo di salutarla. Il giorno successivo Nucci muore, a undici giorni di distanza dall’arresto sotto i riflettori. «Ad ammazzare mia moglie è stato il tumore certo, ma, come mi hanno spiegato i medici, in casi di forte choc vengono a mancare le difese immunitarie», spiega Novi.

Segue la denigrazione sui giornali, attraverso la pubblicazione di stralci di conversazioni telefoniche private. Racconta Novi: «Le faccio un esempio. Una volta al telefono ho chiesto a Claudio Burlando, mio amico e allora presidente della regione, informazioni circa lo spostamento di un medico che era presidente dell’Ist, un istituto oncologico molto importante. Io ero interessato affinché questo medico rimanesse ancora per qualche tempo perché stava curando benissimo mia moglie. Questa conversazione è stata presa come se io abusassi della mia posizione e insistessi col governatore per far rimanere il medico al suo posto. Questo è avvenuto pochi giorni prima del mio arresto. Lo sanno tutti che a dare questi materiali ai giornalisti sono le procure

E per Novi si è di fronte a un’anomalia tutta italiana: «Ho vissuto molto a Londra e le dico come funziona: se qualcuno pubblica delle notizie sulle indagini in corso viene messo in galera. Nessun giornalista oserebbe mai riportare sul giornale una conversazione telefonica di una persona indagata, mai. È un reato

«Io ho resistito forse più di tutti quanti gli altri, perché sono abbastanza combattivo di carattere e sapevo di essere innocente su tutto», confida Novi. «Mi sembrava impossibile che un pm mi accusasse di tredici reati. Mi aveva interrogato una sola volta quando ero indagato e solo su un caso specifico, su tutti gli altri non mi ha mai chiesto chiarimenti

«Tutte le volte che sento che bisogna intervenire sulla giustizia sono il primo a pensare che sia vero, perché i pm hanno un potere in mano enorme. Per cinque-sei anni possono tenere le cause in piedi. Praticamente nessuno dice niente se loro sbagliano.»

Oltre al danno, per Novi c’è stata anche la beffa. Nel maggio 2016, infatti, l’Autorità portuale ha respinto la richiesta avanzata dall’ex presidente per il risarcimento delle spese legali sostenute in tutti questi anni per difendersi dalle accuse (circa 1 milione di euro). L’authority ha investito l’Avvocatura dello Stato della causa e questa ha interpretato la posizione del presidente dell’autorità portuale come una carica onoraria, che dunque non avrebbe diritto al risarcimento.

Insomma, finché si trattava di indagarlo e processarlo, Novi era un presidente responsabile degli atti adottati dall’Autorità, ma una volta che le accuse si sono rivelate infondate e occorreva risarcire l’ex presidente per gli errori commessi dai magistrati, la carica per la quale era stato chiamato a rispondere è diventata solo “onoraria”. Intanto, c’è chi ha calcolato in sette milioni di euro il danno provocato allo scalo genovese dall’inchiesta che lo ha bloccato per sei anni, solo per le minori concessioni versate dai terminalisti.

«Io ho sopportato», conclude Novi con un tono di voce più basso. «In questa vita bisogna sopportare queste cosa qua. Quello che mi è dispiaciuto di più è che mia moglie, poveretta, quando sono stato assolto non c’era più.»

Ermes Antonucci, I dannati della gogna. Cosa significa essere vittima del circo mediatico-giudiziario, Prefazione di Gian Domenico Caiazza, Liberilibri 2021, collana Oche del Campidoglio, pagg. XIV-138, euro 13.00, ISBN 978-88-98094-95-0.