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I diritti successori del coniuge separato

Natura rossa
Ph. Consuelo Corsini / Natura rossa

Abstract

I diritti successori che spettano ad un coniuge, alla morte e sull’asse dell’altro coniuge, cambiano profondamente a seconda che la separazione personale sia stata, o meno, addebitata con sentenza definitiva al coniuge sopravvissuto.

Il coniuge che non abbia avuto l’addebito, infatti, conserva gli stessi diritti di successione legittima e necessaria che spettano al coniuge non separato, con la sola eccezione dei legati di abitazione della casa familiare e di uso dei mobili che la corredano. Il coniuge che abbia avuto l’addebito, viceversa, perde ogni diritto successorio, e potrà vedersi riconosciuto, in via eventuale, unicamente un assegno vitalizio.

 

La disciplina

Il legislatore attribuisce diritti successori a favore del coniuge, anche nei casi in cui tra questi ed il de cuius sia intervenuta la separazione personale. Al riguardo dispongono gli articoli 548 e 585 c.c. Il contenuto di tali articoli è pressoché il medesimo.

La stesura del primo comma dell’articolo 548 diverge da quella del primo comma dell’articolo 585 in misura minima e ininfluente; il secondo comma dell’articolo 585, poi, si limita a rinviare al secondo comma dell’articolo 548. Per questo, la materia può essere trattata unitariamente, senza necessità di distinguere regole di successione necessaria da differenti regole di successione legittima. Dagli articoli appena richiamati, si ricava una bipartizione, nei diritti successori del coniuge separato: al coniuge a cui non sia stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato, spettano i medesimi diritti del coniuge non separato; al coniuge al quale sia stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato, viceversa, non spetta altro diritto successorio, se non, eventualmente, un assegno vitalizio, come previsto al secondo comma dell’articolo 548 c.c. Conviene considerare, sinteticamente, anzitutto il primo tra i due corni dell’alternativa appena evocata.

 

I diritti successori del coniuge separato senza addebito. I legati di abitazione della casa familiare e di uso dei mobili che la corredano

La situazione del coniuge separato al quale, al momento dell’apertura della successione, non sia stata addebitata la separazione (con sentenza passata in giudicato), quasi non differisce da quella del coniuge non separato. Pertanto, al riguardo, ci si può, pressoché integralmente, limitare a rinviare alla successione del coniuge in generale. In un aspetto, tuttavia, anche la successione del coniuge separato senza addebito si discosta da quella del coniuge non separato. Questa differenza riguarda i legati, ex lege, del diritto di abitazione della casa familiare e del diritto di uso dei mobili che la corredano, di cui all’articolo 540, 2° co., c.c.

L’ampio tenore della regola contenuta nei primi commi degli articoli 548 e 585 c.c., parrebbe equiparare il coniuge separato senza addebito al coniuge non separato in misura talmente estesa, da comprendere pure l’attribuzione di codesti legati, ed in tal senso era orientata la maggior parte della dottrina. Nell’ultimo decennio, tuttavia, in più occasioni la giurisprudenza ha ribadito che questi legati non spettano al coniuge separato, anche se senza addebito (Cass., 15277/2019; Cass., 22456/2014; Cass., 13047/2014; App. L’Aquila, 14.09.2020; App. Lecce, 17.07.2020). L’impossibilità di individuare una casa “familiare”, dopo la separazione tra i coniugi, difatti, escluderebbe la riservabilità di tali diritti successori anche al coniuge separato, benché senza l’addebito.

 

L’esclusione dalla successione “piena” del coniuge separato con addebito

Il disposto dell’articolo 548, 2° co., c.c., nella sua formulazione esplicita, prevede solo la possibilità di attribuire un limitato diritto successorio anche a favore del coniuge separato, al quale sia stata addebitata la separazione personale. Il più rilevante effetto della disposizione richiamata, nondimeno, è l’esclusione del coniuge, al quale sia stata addebitata la separazione, da diritti successorî diversi dall’assegno vitalizio espressamente previsto. Conviene sottolineare subito come si escluda che qui ricorra un’ulteriore ipotesi di indegnità, oltre a quelle generalmente previste dall’articolo 463 c.c. Perciò, il coniuge che abbia avuto l’addebito della separazione, dalla successione dell’altro coniuge non potrà neppure ricevere, mentre l’indegnità gli impedirebbe, non già di ricevere, ma di ritenere quanto ricevuto.

Un aspetto che merita attenzione è il requisito richiesto dalla legge, affinché l’esclusione dall’ordinaria vocazione legittima e necessaria, possa essere comminata al coniuge separato: esso consiste nel passaggio in giudicato della sentenza con la quale la separazione sia stata addebitata al coniuge superstite. Perciò non basterebbe, per escludere dalla successione piena, un differente accertamento della colpa del coniuge separato superstite, come ad esempio un’ammissione di responsabilità contenuta nel verbale di una separazione consensuale omologata. Né gioverebbe, a tal fine, un addebito confermato anche in secondo grado, ma non ancora passato in giudicato.

Da quanto appena ricordato, secondo la prevalente dottrina e la costante giurisprudenza (tra le tante, Cass., 1048/2000; Cass., 368/2000; Cass., 2944/1997), discende che la morte di uno dei coniugi prima che sia passata in giudicato la sentenza che addebita la separazione, preclude ogni possibilità che tale giudicato possa formarsi, e, quindi, preclude ogni possibilità di escludere il coniuge “colpevole” dalla successione “piena”. Conviene ricordare, infine, come, anche dopo che vi sia stato l’addebito della separazione con sentenza passata in giudicato, al coniuge addebitato sopravvissuto potrebbero riconoscersi diritti pieni di successore legittimo e necessario, e ciò allorché, dopo il giudicato, fosse seguita la riconciliazione, anche tacita, tra i coniugi.

 

L’assegno “vitalizio”

Al coniuge separato con addebito, escluso dalla successione legittima e necessaria “piena”, può spettare un assegno vitalizio. Il presupposto, affinché vi sia il diritto a tale assegno, è che il coniuge sopravvissuto, all’apertura della successione, godesse degli alimenti a carico del coniuge deceduto.

Non vi è unanimità, intorno all’idoneità, per integrare il presupposto, del semplice godimento “di fatto” di una prestazione periodica con funzione alimentare, da parte dell’altro coniuge, senza che vi sia, per esso, alcun titolo giuridico. Si afferma, altresì, che il presupposto dovrebbe potersi individuare solo nel godimento di un assegno periodico, mentre esso non sarebbe integrato da una assegnazione una tantum e, dunque, eccezionale, anche perché, in tal caso, l’effetto dell’arricchimento del patrimonio del sopravvissuto, che il legislatore perseguirebbe con la disposizione in esame, già si sarebbe prodotto. Secondo l’opinione prevalente, poi, l’assegno ha natura alimentare/assistenziale, e da ciò deriva che il debito ad esso è di valore, e, dunque, sfugge al principio nominalistico.

Data la natura alimentare/assistenziale, ancora, l’assegno rimane, fin dal suo sorgere e per tutta la sua esistenza, allacciato allo stato di bisogno dell’avente diritto, sicché esso potrà aumentare (seppure entro i limiti stabiliti all’articolo 458, cpv., c.c.), o diminuire, e l’obbligo a corrisponderlo potrà anche restare quiescente, al venire meno dello stato di bisogno, ma con la possibilità di risorgere, ove tornasse attuale tale stato. Esso, poi, sarà indisponibile, irrinunciabile, inalienabile, intransigibile, impignorabile, e non potrà fondare l’eccezione di compensazione.

Chi nega la natura alimentare, viceversa, è solito trarne, che l’assegno sarebbe dovuto in una misura fissa, determinata una volta per sempre all’apertura della successione, e che sarebbe, così, destinato, per un verso, a perdere inesorabilmente il proprio valore effettivo, in conseguenza dell’inflazione, e, per altro verso, a restare immutabile anche a fronte del mutato, o cessato, stato di bisogno dell’avente diritto. Ulteriore conseguenza della negazione della natura alimentare, ovviamente, è che il diritto venga reputato rientrare nella piena disponibilità dell’avente diritto, e, dunque, venga reputato disponibile, alienabile, rinunziabile, transigibile, ed anche pignorabile e compensabile.

Su chi gravi l’assegno vitalizio non è stabilito espressamente dalla legge; è soltanto nell’indicare i criterî di quantificazione dell’assegno, che, all’articolo 548, 2° co., c.c., viene fatto riferimento “alla qualità ed al numero degli eredi legittimi”. Secondo l’opinione unanime, comunque, da questa formula non può trarsi che obbligati debbano considerarsi unicamente gli eredi legittimi. In applicazione delle regole generali in materia di successioni, allora, obbligati alla corresponsione dell’assegno potranno essere, in primo luogo, tutti gli eredi del coniuge defunto, siano essi legittimi o testamentari. Sulla ripartizione del peso dell’assegno tra più obbligati, ancora, vi è chi considera che esso debba gravare su ogni erede ed ogni legatario in proporzione a quanto questi abbia ricevuto. Quando, poi, la disponibile – sulla quale l’assegno dovrebbe preferibilmente pesare - non sia sufficiente per sostenere il carico dell’assegno stesso, esso dovrebbe potere incidere anche sulla legittima, applicando la regola espressa, con riferimento ai legati di abitazione e di uso, all’articolo 540, cpv., c.c.

Nella quantificazione dell’assegno vitalizio, infine, si dovrà tenere conto, anzitutto, dell’ammontare della prestazione alimentare goduta al momento dell’apertura della successione, la quale segna, ex articolo 548, cpv., c.c., il limite massimo possibile dell’ammontare dell’assegno; altri criterî di determinazione, poi, potranno condurre ad un assegno anche di misura inferiore. Chi accolga l’orientamento secondo il quale all’assegno si riconosce natura alimentare, inoltre, non potrà che collegare, anche per la determinazione dell’ammontare, l’assegno vitalizio allo stato di bisogno del coniuge separato con addebito. Il primo criterio che la disposizione in parola indica espressamente per la commisurazione dell’assegno, poi, è quello delle “sostanze ereditarie”. Più di una perplessità ha sollevato la formulazione dei successivi criteri, vale a dire la “qualità” ed il “numero degli eredi legittimi”.

Se l’assegno è dovuto unicamente da eredi ab intestato, la regola in parola impone, senza particolari difficoltà, un rapporto di proporzionalità inversa tra ammontare dell’assegno da un lato, e numero, nonché prossimità familiare, degli eredi al defunto, dall’altro. Se, come sembra, viceversa gli obbligati sono, in tutto o in parte, anche gli eredi testamentari e i legatari, bisognerà valutare singolarmente l’applicabilità, pur non prevista esplicitamente, di ognuno dei due criteri anche a tali soggetti. Seguendo questa lettura, sembra inapplicabile, nondimeno, il criterio che lega l’ammontare dell’assegno al numero degli obbligati, poiché, altrimenti, il defunto diverrebbe, sostanzialmente, arbitro dell’assegno vitalizio, poiché quanti più fossero i successori chiamati dal testamento, tanto minore diverrebbe l’ammontare dell’assegno a favore del coniuge.

Il criterio che guarda all’intensità del legame familiare dell’obbligato con il defunto, viceversa, pare applicabile anche con riferimento agli eredi testamentari, ed ai legatari. La concreta applicazione dei criterî indicati dalla legge, infine, compete al giudice, il quale, tuttavia, non trova nella legge indicazione di alcun rapporto aritmetico a cui fare ricorso, sicché, data la genericità e vaghezza della formula legislativa, secondo alcuni dovrebbe ispirarsi a criteri equitativi.

G. Gabrielli, Commento all’articolo 548 c.c., nel Commentario al diritto italiano della famiglia, a cura di Cian, Oppo e Trabucchi, vol. V, Padova, 1992, 82 ss.

L. Mengoni, Commento all’articolo 585 c.c., nel Commentario al diritto italiano della famiglia, a cura di Cian, Oppo e Trabucchi, vol. V, Padova, 1992, p. 173 ss.;

L. Barbiera, I diritti patrimoniali dei separati e dei divorziati, Bologna, 2001, p. 100 ss.;

G. F. Basini, I diritti successori del coniuge separato, in Tratt. dir. fam., diretto da G. Bonilini, vol. III, Milano, 2016, p. 2271 ss.