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Separazione di fatto: il nucleo familiare e l’abitazione restano unici

Prospettiva
Ph. Sara Caliolo / Prospettiva

La Cassazione civile, Sez. VI - 5, con Ordinanza n.1199 del 2022 torna a pronunciarsi sulle entrate tributarie e contributive a carico dei coniugi non legalmente separati, c.d. ex coniugi de facto, residenti in due immobili distinti.

 

Separazione di fatto: unica abitazione del nucleo familiare senza separazione de iure

La vicenda fa seguito al ricorso presentato dal comune di Martinsicuro innanzi alla Suprema Corte di Cassazione, al fine di accertare gli oneri tributari a carico di due cittadini, separati ma non sulla carta.

La separazione, in effetti, era avvenuta solo di fatto.

L’ex marito viveva in un'altra casa, in altro comune; la ex moglie, invece, abitava quella che era stata la loro casa familiare.

In prima battuta era stato riconosciuto il diritto all’esenzione, quantomeno in via presuntiva, atteso che la signora aveva fornito quali allegazioni probatorie i ridotti consumi delle utenze in essere e quindi, asseriva il disgregamento effettivo del nucleo familiare che non popolava più il predetto locus vivendi, ritenendo tali evidenze ex se sufficientemente esplicative dell’avvenuta separazione di fatto tra di loro.

La Suprema Corte accoglieva il ricorso presentato dall’ente, ripercorrendo un filone interpretativo ormai consolidato e spiegando come, anche nel caso in cui due coniugi non separati legalmente abbiano la propria abitazione in due differenti immobili, il nucleo familiare (inteso come unità distinta ed automa rispetto ai suoi singoli componenti) resterebbe comunque unico, ed unica anche l'abitazione principale ad esso riferibile.

Ciò comportando che il contribuente, il quale dimori in un immobile di cui sia proprietario (o titolare di altro diritto reale), non avrà alcun diritto all'agevolazione se tale immobile non costituisca anche dimora abituale dei suoi familiari, non realizzandosi in quel luogo il presupposto della "abitazione principale" del suo nucleo familiare.

La precipua nozione a cui fa riferimento la Corte di Cassazione postula l'unicità dell'immobile e richiede la stabile dimora del possessore e del suo nucleo familiare, sicché non possono coesistere due abitazioni principali riferite a ciascun coniuge sia nell'ambito dello stesso Comune o di Comuni diversi. (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 17408 del 2021).

Tale dimora deve essere costituita da una sola unità immobiliare iscritta o iscrivibile in catasto, a prescindere dalla circostanza che sia utilizzata come abitazione principale più di una unità immobiliare distintamente iscritta in catasto. In quest’ultimo caso, le distinte unità immobiliari vanno assoggettate separatamente ad imposizione, ciascuna per la propria rendita.

Orbene e solo a tal punto, il contribuente può decidere quale delle unità immobiliari destinare ad abitazione principale, con applicazione delle agevolazioni e delle riduzioni tributarie per questa previste; le altre, invece, vanno considerate come dimore diverse da quella primaria, con l'applicazione dell'aliquota deliberata dal comune per tali tipologie di fabbricati.

Il contribuente non può, quindi, applicare le agevolazioni per più di una unità immobiliare, a meno che non abbia preventivamente proceduto al loro accatastamento unitario, a nulla neppure rilevando l’eventuale opposizione di un regime di comunione legale dei beni, per il quale – anche- rileverebbe l’esenzione solo a favore della casa in cui avveniva la stabile convivenza del nucleo familiare preesistente (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 17408 del 2021).

Ma vi è di più.

La Suprema Corte ritiene di dover, ancora una volta, sottolineare i parametri che definiscono la c.d. “abitazione principale”.

Giuridicamente consolidato è, infatti, l’orientamento secondo cui tale locus si può identificare con la residenza (accertabile tramite i registri dell’anagrafe) e/o la dimora abituale del nucleo familiare.

Una eventuale interpretazione divergente da tali indicatori, secondo i Giudici della Cassazione, porterebbe ad una inesorabile frattura oltre ad una palese violazione dei principi costituzionali di uguaglianza (art. 3 Cost) e di capacità contributiva (art. 53 Cost), sic Corte Costituzionale, ordinanza n. 242 del novembre 2017.

La possibilità di replicare a tale concessione, per due beni immobili di uno stesso comune, abitati da persone non legalmente separate – infatti- arrecherebbe una ingiusta lesione del dovere dell’ente di esigere i tributi de quibus e ne scaturirebbe un ingiustificabile ammanco di cassa.

L'agevolazione prevista dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 8,comma 2, per l'unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo, proprio per la sua natura, è da considerarsi eccezionale, di talché si impone una interpretazione rigorosa; le norme agevolative fiscali, infatti, sono di stretta interpretazione e, quindi, non estensibili ai casi non espressamente previsti, dato che costituiscono comunque deroga al summenzionato principio di capacità contributiva sancito dall'art. 53 Cost.

Unica eccezione a quanto precedentemente asserito, con decorrenza dal 1 gennaio 2016, la base imponibile dell'imposta municipale propria è ridotta del 50% per le unità immobiliari (fatta eccezione per quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9) concesse in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale, a condizione che il contratto sia registrato e che il comodante possieda un solo immobile in Italia e risieda anagraficamente nonchè dimori stabilmente nello stesso comune in cui è situato l'immobile concesso in comodato (Cass. 20368/2018; Cass. 5314/2019).

Inoltre, in caso di abitazione assegnata a figli dei coniugi – anche non legalmente separati- e costituenti un diverso ed indipendente nucleo familiare, si potrà inoltrare richiesta di ottenere una detrazione sul quantum debendi all’ente designato per la riscossione.