I no vax abusano della libertà di pensiero
Il titolo di questo contributo riprende pari pari quello leggibile a pagina 11, ne Il Resto del Carlino di Domenica 19 settembre 2021, posto a corredo dell’intervista di Stefano Marchetti al Professor Michael Ignatieff che ha tenuto una lezione al Festival Filosofia di Modena. La breve intervista non fa che ribadire quella che ormai è opinione largamente diffusa, dalle chiacchiere al bar, dalle aule cattedratiche, dai profili social, dalle trasmissioni televisive.
Senza estremizzare, il concetto in sostanza è: a tutto c’è un limite, va bene argomentare e contestare, ma arrivati ad un certo punto – e questo punto naturalmente lo decide la corrente unica del pensiero – occorre fermarsi e accettare l’opinione dominante, specie se avallata dagli “esperti” che hanno la funzione di pensare per noi e dei politici che hanno la funzione di decidere delle nostre vite.
Insomma insistere è atto di Hybris, che merita al tracotante orgoglioso di subire condanna e soprattutto di fare atto di contrizione. Ecco cosa produce la piccola cultura laico illuministica di oggi – di cui un quotidiano pagato dagli avvocati si vanta.
In questi 18 mesi di pandemia ho imparato a leggere tutto e il contrario di tutto e a non farmi condizionare, a non rimanere meravigliato.
Ammetto però che a questo non ero pronto: per quanto abbia ascoltato più volte la lezione sulla doverosa fiducia verso i governanti e verso i tecnici/esperti, non pensavo che si potesse così bellamente propagandare e mettere nero su bianco come la più ovvia delle normalità che l’esercizio del pensiero diventa un abuso – quando, esattamente, immagino che lo deciderà una commissione di efori – e come tale, va da sé, occorre punirlo, perché questo è il naturale corollario di qualsiasi abuso.
Naturalmente ogni sparata va giustificata e come si stanno preoccupando a fare molteplici giuristi e politici si cerca di annoverare nelle proprie fila giocatori di fama, che non possono più pronunciarsi, ma il cui solo nome evoca giustamente reverenza.
Dunque il Professore – abbandonato ogni ritegno e con lui il giornalista intervistatore in ginocchio – compie una capriola degna di Flimnap, il tesoriere del regno dei Lillipuziani evocato da Swift, citando de Tocqueville (nell’articolo il de è erroneamente maiusolo, lapsus calami, ignoranza o segno del destino?) associando confusamente la maggioranza nella democrazia che può condurre alla dittatura e il politico saggio che deve saper governare contro la maggioranza.
Quindi uno se ne esce con la convinzione che in fondo lo stesso de Tocqueville sarebbe stato perfettamente d’accordo con questo teatro dell’assurdo che ci circonda. Del resto tirare per la giacchetta i giganti del passato – e, en passant, del pensiero – è un’arte e bisogna saperla esercitare con classe. Soprattutto acriticamente.
E io non sono in grado di farlo. Come pure – per quanto nanetto – temo di non essere capace di arrampicarmi sulle spalle dei giganti, a partire da de Tocqueville e di provare a riflettere, di raccogliere le istruzioni per l’uso che ci hanno lasciato, esercitando il pensiero e soprattutto senza cercare di forzarlo alle mie convenienze. Non sono in grado di citare von Hayek, la scuola di Vienna, oppure Sartori, come fa nel suo strepitoso contributo Aldo Rocco Vitale, Lord Acton, e neppure di risalire alla scolastica, a San Tommaso, ad Aristotele.
Mi chiamo fuori.
Cosa rispondere allora all’esimio professore e allo zelante giornalista (e pure al titolista!) che non sembrano avere resipiscenza alcuna? Argomentare quando si è senza parole è davvero difficile. D’altro canto a restare in silenzio si appare conniventi o pirla.
Comunque mi consolo perché in questo momento a nulla varrebbe. Alla minaccia delle purghe staliniane si risponde con ironia e sorriso (e preghiere). Allora ho chiesto consiglio al mio alter ego Alceste e mi ha risposto lapidario, come qualcuno anni fa disse: una pernacchia vi seppellirà.