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Il caporalato a tre anni dall’approvazione della legge n. 199/16: la repressione che funziona e la prevenzione che non c’è

Caporalato
Caporalato

Abstract

I dati mostrano un aumento delle irregolarità connesse al reato del caporalato, ma l’impianto della legge appare solido e il suo apparato sanzionatorio efficace. Le maggiori criticità riguardano quindi l’aspetto della prevenzione, sulla quale diventa necessario investire per riuscire a contrastare un fenomeno criminale sempre più diffuso anche nei centri urbani

 

Indice:

1. L’aumento delle irregolarità e la diminuzione dell’attività ispettiva: il rapporto del I.N.L.

2. L’articolo 603-bis Codice Penale e il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

3. Criticità e prospettive del contrasto al caporalato

 

1. L’aumento delle irregolarità e la diminuzione dell’attività ispettiva: il rapporto del I.N.L.

Sono passati più di mille giorni dall’approvazione della legge n. 199 del 29 ottobre 2016 ed è tempo di bilanci.

Nel primo semestre 2019 sono state denunciate per caporalato e sfruttamento dei lavoratori 263 persone, 59 delle quali arrestate (più del triplo rispetto alle 80 dello stesso periodo del 2018), con conferma della prevalente incidenza del fenomeno nel settore agricolo (147 denunce).

Sempre rispetto al primo semestre del 2018, il tasso di irregolarità riscontrate nelle imprese sottoposte a controllo è salito del 3% (dal 69% al 72%) ed il numero delle posizioni lavorative risultate irregolari è salito del 7,7% (da 77.222 alle attuali 83.191).

Anche il numero dei lavoratori risultati totalmente “in nero” è cresciuto, passando da 20.398 nel primo semestre 2018 a 23.300 unità nel primo semestre 2019 (si tratta del 14% in più), mentre il numero dei lavoratori soggetti a forme di appalto e somministrazione irregolari è addirittura raddoppiato (da 5.161 a 10.454).

Il rapporto dell’I.N.L. (Ispettorato Nazionale del Lavoro) relativo al primo semestre 2019 fotografa una situazione allarmante, aggravata dal fatto che il numero delle ispezioni effettuate in azienda è diminuito del 9% rispetto allo stesso periodo del 2018. Questo, se da un lato significa che alla diminuzione dell’attività ispettiva è corrisposto un aumento delle irregolarità, dall’altro dimostra che l’impianto normativo funziona e costituisce un efficace strumento di contrasto del fenomeno.

 

2. L’articolo 603-bis Codice Penale e il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

L’articolo 603-bis Codice Penale, introdotto dalla legge n. 199/16, punisce chi, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori:

  1. recluta manodopera per destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento (quindi tipicamente l’intermediario-caporale);
  2. «utilizza, assume o impiega manodopera» sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento anche, ma non necessariamente, avvalendosi di attività di intermediazione (quindi il datore di lavoro).

Dunque non è necessaria l’intermediazione del c.d. caporale così come non è necessario che il lavoratore sia “in nero”, ben potendo lo stesso essere regolarmente assunto.

Elemento caratteristico delle condotte delittuose è lo sfruttamento di un lavoratore in condizione di bisogno ed è la stessa legge ad indicare degli indici di sfruttamento (comma 2 dell’articolo 603-bis):

  • la reiterata corresponsione di retribuzioni palesemente difformi dalle previsioni dei contratti collettivi di lavoro o comunque sproporzionate rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;
  • la reiterata violazione della normativa in materia di orario di lavoro, periodi di riposo, riposo settimanale, aspettativa obbligatoria e ferie;
  • violazioni delle norme in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro;
  • sottoposizione del lavoratore a degradanti condizioni di lavoro, alloggiative o di sorveglianza.

Per quanto riguarda il regime sanzionatorio la legge prevede la reclusione da uno a sei anni e la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato ma, nel caso in cui i fatti siano commessi con violenza o minaccia, la reclusione prevista va dai cinque agli otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.

La pena viene aumentata da un terzo alla metà al verificarsi delle seguenti aggravanti specifiche (comma 3 dell’articolo 603-bis):

  1. quando il numero dei lavoratori reclutati è superiore a tre;
  2. quando almeno uno dei lavoratori reclutati è minorenne in età non lavorativa;
  3. quando i lavoratori sfruttati sono esposti a condizioni di grave pericolo.

È prevista però una riduzione di pena (da un terzo a due terzi) per chi collabora con le autorità.

La legge ha anche introdotto sanzioni indirette come il controllo giudiziale dell’azienda, disposto dal giudice in luogo del sequestro, qualora si consideri che l’interruzione dell’attività imprenditoriale possa compromettere i livelli occupazionali o il valore economico dell’azienda.

Inoltre l’articolo 4 della l. n. 199/2016 ha modificato l’articolo 380 del Codice di procedura penale aggiungendo il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro commesso con violenza o minaccia tra i reati per cui è previsto l’arresto in flagranza.

 

3. Criticità e prospettive del contrasto al caporalato

Se la normativa fornisce validi strumenti processuali e un efficace apparato sanzionatorio, c’è sicuramente tanto da fare dal punto di vista della prevenzione.

Difatti, come acutamente osservato da Bruno Giordano - magistrato di Cassazione, professore alla Statale di Milano ed ex consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla sicurezza sul lavoro – negli ultimi tre anni si è certamente più sanzionato che prevenuto e ciò anche per le enormi difficoltà di coordinamento dell’attività ispettiva; difficoltà che potrebbero essere risolte con la creazione di un’agenzia unica del lavoro.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha infatti compiti marginali e, per intervenire in un’azienda dove si sospetta vi sia sfruttamento del lavoro, la squadra mobile della Polizia deve raccordarsi con altri ben cinque organismi:

  1. la A.S.L. per le violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro;
  2. l’I.N.L. per le violazioni di natura contrattuale e previdenziale;
  3. l’ispettorato dell’I.N.P.S. e dell’I.N.A.I.L. per le materie di rispettiva competenza (a causa di un accorpamento con l’I.N.L. non ancora pienamente realizzato);
  4. i Carabinieri del Lavoro.

A queste condizioni diventa davvero difficile procedere ad un arresto in flagranza cogliendo il presunto responsabile nell’immediatezza del reato.

Peraltro queste farraginosità della macchina dei controlli si pagano a carissimo prezzo quando si tratta di prevenire un reato che quasi sempre ne nasconde molti altri.

Si può infatti pensare al reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro come ad una matrioska che nasconde al suo interno un insieme di illeciti collegati al lavoro come evasione contributiva, previdenziale, fiscale, violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro (rilevate nel 100% dei casi) e sicurezza sociale (aspettativa, ferie, riposi, malattia…): dunque il caporalato può considerarsi una sorta di “reato spia”.

Ulteriori preoccupazioni desta poi la diffusione del fenomeno che pare essersi ormai “emancipato” dai suoi settori considerati tipici (agricoltura ed edilizia) per muoversi con disinvoltura su nuovi terreni: si pensi al settore manifatturiero, al terziario, alla sanità, alle case di cura, alla logistica e ai trasporti, etc.

Tanto dimostrano i migliaia di processi in materia che negli ultimi tre anni si sono svolti in tutta Italia, da nord a sud e da est ad ovest.

Dunque una realtà diffusa in tutte le regioni italiane e che sta perdendo progressivamente il suo carattere “rurale”, tanto da potersi parlare oggi di un vero e proprio “caporalato urbano”.

È evidente che la sola repressione non è in grado di contrastare efficacemente un fenomeno criminale che, difatti, si diffonde dimostrando grande “capacità di adattamento” ai più svariati campi del lavoro.

Albert Einstein diceva che «Gli intellettuali risolvono i problemi; i geni li prevengono», ma forse non c’è bisogno di scomodare né gli uni né gli altri per comprendere che senza assumere nuovi ispettori (quelli delle Asl negli ultimi dieci anni sono dimezzati!) e senza investire nei servizi ispettivi, rafforzandoli e razionalizzandoli, sarà sempre più difficile tutelare realmente il lavoro e i lavoratori.

Un rischio per la democrazia tutta se è vero che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro (cfr. articolo 1 Costituzione).