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Il caso dello “spacchettamento” del Ministero dell’istruzione: un decreto legge “incauto” e “pericoloso”

assistenzialismo
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A seguito delle dimissioni del Ministro dell’istruzione, università e ricerca scientifica Lorenzo Fioramonti, il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha annunciato la propria intenzione di procedere allo “spacchettamento” del Ministero in parola in due distinti dicasteri: il Ministero dell’istruzione, da una parte, e il Ministero dell’università e della ricerca scientifica, dall’altra. Per dar seguito a quanto annunciato, il Governo ha adottato il decreto legge n. 1/2020, entrato in vigore il 10 gennaio 2020, disponendo così lo “spacchettamento” e la rimodulazione del numero dei componenti l’Esecutivo.

Come è noto, l’articolo 77 Costituzione disciplina una peculiare deroga al principio di separazione dei poteri tra legislativo ed esecutivo, permettendo a quest’ultimo di «adottare provvedimenti provvisori con forza di legge» in «casi straordinari di necessità e d’urgenza», onde evitare che i tempi lunghi di ordinaria legiferazione possano costituire un ostacolo in ipotesi in cui sia (eccezionalmente) necessaria una risposta pronta ed immediata.

Non diciamo nulla di nuovo e di sorprendente, ricordando che il ricorso ai decreti legge ha – ormai e da tempo – valicato i confini dei casi «straordinari», per assurgere al rango di ordinario mezzo di legiferazione: ciononostante, non si smette mai di assistere a ulteriori erosioni del dettato costituzionale e all’assorbimento all’interno dell’area della decretazione d’urgenza di nuove ipotesi.

In verità, si potrebbe avere la tentazione di affermare che i requisiti della straordinarietà e dell’urgenza fossero soddisfatti nella vicenda in esame: d’altronde, il Governo ha fatto appello all’esigenza di procedere a una rapida riorganizzazione dei due Ministeri, al fine di averli operativi nel minor tempo possibile, così da poter assicurare un presidio effettivo delle materie dell’istruzione e dell’università e ricerca scientifica.

Ma si tratterebbe di un’affermazione troppo “frettolosa”, a nostro giudizio. Innanzitutto, perché la storia recente (vedi, in proposito, la ricognizione effettuata da Gianluca De Filio, “La duplicazione dei Ministeri: quando gli equilibri interni alla coalizione giustificano un decreto-legge”, LaCostituzione.info, 13 gennaio 2020) ci mostra che un’analoga situazione di fatto fu risolta in modo diverso: quando il Governo Berlusconi IV decise, nel corso del suo mandato, di procedere allo spacchettamento dell’unico Ministero del Lavoro, delle Politiche Sociali e della Sanità nei due distinti dicasteri del Lavoro e della Sanità, esso non varò un decreto legge, ma attese l’entrata in vigore di una legge ordinaria (la n. 172/2009).

Questa circostanza suggerisce che la “spacchettamento” di un Ministero e le complicazioni in termini di operatività dei nuovi dicasteri non pongono, di default, il problema della necessità e dell’urgenza di un intervento normativo del Governo. Né a differenti conclusioni si giunge valorizzando l’unico elemento di distinzione tra i due casi ora descritti – nel caso a noi più vicino, c’è una vacatio al Ministero “scindendo”, mentre in quello più risalente c’era un Ministro in carica, in attesa della ridefinizione delle sue deleghe: difatti, sarebbe stato sufficiente l’interim del Presidente del Consiglio per il tempo necessario all’approvazione della legge di “spacchettamento” (legge che si sarebbe pure potuta approvare con la celerità dovuta, dato l’accordo politico nella maggioranza che sostiene l’Esecutivo). In altre parole, la necessità dell’urgenza di riorganizzare e rendere operativi i nuovi dicasteri che succedono quello “spacchettato” si presenterà sempre: e se ciò è sufficiente a giustificare il ricorso allo strumento del decreto legge, allora quest’ultimo ha costitutivamente perso il suo carattere di eccezionalità…

Giunti a questo punto, si potrebbe obiettare che la nostra critica finisca non per valutare la necessità e urgenza del decreto legge per provvedere “operativamente” alla separazione, ma per sindacare l’assenza di necessità e urgenza della stessa scelta di “spacchettamento”: e, in questo modo, finirebbe per ridursi a una critica meramente politica, priva di adeguata carica giuridica. Anticipando, dunque, questa obiezione, chiariamo subito che non siamo convinti della sua conclusività. Difatti, come già sottolineato, il Governo ha giustificato il ricorso al decreto legge con la necessità di un (ri)avvio rapido delle attività dei due ministeri in fieri, ma questa è la conseguenza necessaria della scelta politica di «spacchettamento»!

Le scelte politiche non vengono senza “costi”: per cui, anche in questo caso, gli attori politici avrebbero dovuto, prima di adottarla, considerare tutte le conseguenze della loro scelta, inclusa quella di rischiare il rallentamento dell’avvio dell’azione dei due ministeri in attesa della promulgazione della legge ordinaria necessaria. Invece, attraverso il ricorso al decreto legge, il Governo ha aggirato il problema, assicurandosi, per così dire, la botte piena e la moglie ubriaca...

E c’è di più.

Scegliendo di agire in questo modo, il Governo ha aggiunto un ulteriore tassello al progressivo disegno di sua “auto-gestione”, sottraendosi perfino alla conformazione che gli viene dalla volontà del Parlamento espressa in legge ordinaria (per essere più chiari, il Presidente del Consiglio può scegliere i Ministri-persone fisiche, non anche i Ministeri-istituzione: quello è demandato al Parlamento).

In definitiva, dunque, ci sembra di poter affermare che, nel caso dello “spacchettamento” osservato, non solo il ricorso al decreto legge sia stato “incauto”, per l’assenza dei requisiti della necessità e dell’urgenza, ma anche “pericoloso”, per l’essere stato un ulteriore passo sulla via della progressiva alterazione della dialettica costituzionale tra legislativo ed esecutivo: con il primo non più nel ruolo di autorizzazione e controllo, ma di mera ratifica delle decisioni dal secondo già adottate.