Il Reato di femminicidio contrasta con l'art. 3 della Costituzione

vittime di femminicidio
vittime di femminicidio

Il Reato di femminicidio contrasta con l'art. 3 della Costituzione

 

Abstract: Il reato di femminicidio contrasta con la previsione dell'art. 3 della nostra Costituzione perchè distinguere la pena in base al sesso non è ammissibile anche di fronte ad un movente specifico.

The crime of femicide violates Article 3 of our Constitution, since differentiating punishment based on gender is unacceptable, even when faced with a specific motive.

 

In questi tempi non è facile compiere ragionamenti che siano in contro tendenza alla mentalità dei più, alle spinte ideologiche e populiste che fanno da traino al nostro Legislatore.

 Con l'introduzione del reato di femminicidio punibile, a differenza del comune omicidio, con l'ergastolo, si consegna all'intero popolo italiano un messaggio chiaro: uccidere un essere umano donna ha conseguenze giudiziarie più pesanti e gravi di quelle della uccisione di un essere umano uomo.

Alla luce del dettato dell'art. 3, primo comma, della nostra Carta fondamentale è palese invece che l'idea della nuova figura di reato sarebbe da respingere perchè viola il principio di uguaglianza di tutti i cittadini a prescindere dal loro sesso.

Ad essere sinceri la Dottrina ha già espresso le proprie contrarietà a tale nuova previsione normativa anche se, ha basato le sue motivazioni, nello specifico nella inidoneità di questo nuovo reato a combattere il vero o presunto aumento dei femminicidi, a causa della incertezza e difficoltà di prova dei suoi elementi caratterizzanti, rispetto all'omicidio comune e, in generale, nella stigmatizzazione di quello che sembra essere, da parte del Governo, un atteggiamento panpenalista a sfondo populistico.

La violazione dell'art. 3 cost. potrebbe, d'altro canto, essere esclusa soltanto nella ipotesi in cui le motivazioni dell'assassinio fossero tali, per loro natura, da essere concepite soltanto da un uomo nei confronti di una donna ma così non è e ciò emerge chiaramente dalla formulazione del reato che, nel disegno di legge governativo, approvato dal Senato e trasmesso alla Camera dei Deputati, per la definitiva approvazione, recita: “Chiunque cagiona la morte di una donna, quando il fatto è commesso come atto di odio o discriminazione o di prevaricazione o come atto di controllo o possesso o dominio in quanto donna o in realizzazione al rifiuto della donna di instaurare o mantenere un rapporto affettivo o come atto di limitazione delle sue libertà individuali, è punito con la pena dell'aergastolo”.

Leggendo appare ovvio. o così dovrebbe apparire. che chiunque, a prescindere dal suo sesso biologico, potrebbe essere privato della vita per le motivazioni elencate ivi comprese quelle del “controllo o possesso o dominio” che altri pretendano di esercitare in quanto appartenente ad un determinato sesso non necessariamente quello femminile.

Se si ammette infatti che una donna possa essere oggetto “di controllo o possesso o dominio” od anche non si può escludere che, sia pure in casi statisticamente minori, lo stesso possa avvenire per un uomo ad opera di una donna o, nei casi di omosessualità, di un altro uomo.          

La incostituzionalità comunque va ricercata nella causa determinate il femminicio ovvero il “rifiuto della donna di instaurare o mantenere un rapporto affettivo” poiché un rifiuto identico potrebbe provenire da un uomo nei confronti del partner non necessariamente donna. Perchè quindi aggravare il reato se la vittima è donna a parità di causa determinante il reato?

A ciò rispondono che l'obiettivo di tale previsione normativa sarebbe quella di promuovere la rimozione di quella condizione atavica di inferiorità della donna che ancora persiste nella nostra società soprattutto nella tutela dei diritti fondamentali compreso quello della vita; non si rendono conto però che tale ragionamento andrebbe allora applicato in tutte le fattispecie criminose nei quali la vittima sia una donna. Inoltre non si può assegnare alla repressione penale una funzione di contrasto a vere o presunte ingiustizie sociali riscontrabili nei contesti familiari o sociali poiché, così argomentando si contrasterebbe non solo con l'art. 3 cost. ma anche con l'art. 27, primo comma, per il quale la responsabilità penale è personale e non si può, nemmeno in astratto, ipotizzare colpe collettive o sociali e pretendere che il singolo ne sia gravato.

Aggiungono che in tal modo si realizzerebbe una sorta di uguaglianza sostanziale, più importante di quella giuridico – formale, prevista del dettato costituzionale, ma anche questa ultima motivazione appare inaccettabile perchè non è possibile difendere una categoria di persone che si presume svantaggiata a danno di altre.

La corretta lettura dell'art. 3 cost. impone che, ferma restando la uguaglianza giuridico – formale di tutti i cittadini, poi si possa eventualmente aggiungere quella sostanziale a sua integrazione.

Appare quindi inutile, oltre che incostituzionale, gravare il codice penale di una nuova fattispecie di reato ma molto probabilmente il “Femminicidio” sarà trionfalmente riconosciuto e la relativa legge approvata tra gli applausi festanti.