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Il colera visto da vicino

Disinfestazione delle strade, Napoli durante l'epidemia di colera, 1973
Disinfestazione delle strade, Napoli durante l'epidemia di colera, 1973

Mi son deciso a scrivere queste brevi note, pur essendomi ben chiara la differenza, se non altro quantitativa in termini di diffusione e di localizzazioni, fra “coronavirus” e “vibrione”. Non di meno mi è anche ben chiaro che, a fronte di eventi con nuclei similari, azioni e reazioni di istituzioni, di comunità scientifiche, di comunità di persone e di singole persone hanno tratti comuni, sicchè anche piccole esperienze possono rivelarsi utili per analizzare/comprendere quelle che si dipanano su scale più grandi, anche di molto maggiori.

Or dunque, correva l’anno 1973, fine agosto.

Se ben ricordo il tutto iniziò con due casi di “gastroenterite acuta” registrati a Torre del Greco.

Nei giorni successivi l’ospedale Cotugno di Napoli, Ente ospedaliero regionale specializzato in malattie infettive, presso il quale io lavoravo da un anno dirigendovi il Servizio provveditorato, economato e tecnico, fu preso d’assalto da persone che accusavano diarrea, vomito e crampi.

Non rammento come o da chi era stata infatti pronunciata la parola “colera”, terribile anche perché evocava paure ancestrali. Un secolo prima per due volte Napoli aveva subito una epidemia di colera che aveva causato migliaia di morti.

Insieme alla paura scattarono l’allerta, i contatti immediati con il Ministero della Sanità, cosi all’epoca si chiamava quello odierno della Salute, la decisione di contumaciare (non tutto l’Ospedale, ma) una Sezione, la non semplice individuazione del personale e dei mezzi di cui dotarla. Il tutto nel cennato contesto di paura, oggettivo ed ampliato a dismisura dal panico che si impossessò dalla città. Chi poteva, scappava; la psicosi raggiunse vette inaudite con scene di vero e proprio terrore.

Come tutti, i primi giorni - segnati da dissensi in campo scientifico fra chi optava per il “colera” e chi invece preferiva parlare di “gastroenteriti acute”- avevo anche io paura. Nondimeno, ero scapolo e vivevo a pensione in una casa al Vomero, feci installare un letto nel mio spazioso ufficio con bagno annesso nella considerazione che avrei potuto meglio gestire le cose, assolvere alle mie funzioni, da una postazione continua interna.

E così fu. Dopo aver curato, fianco a fianco al Vice Direttore Sanitario, l’allestimento materiale della divisione destinata ad ospitare i degenti da isolare, nei giorni a seguire ne raccoglievo le emergenti necessità e mi attivavo alla bisogna. La precarietà del momento aveva anche fatto saltare molte delle procedure ordinarie, tant’è che uno degli impiegati facenti parte del mio Servizio quotidianamente si recava a Piazza Mercato a far spese all’ingrosso.

Beh, già intorno al decimo giorno, di certo a noi che operavamo con funzioni di responsabilità varie all’interno dell’Ospedale, fu chiaro che non eravamo di fronte ad alcuna epidemia di colera. Lo confermavano lo screening dei pazienti ricoverati, i dati del nostro laboratorio analisi, della virologia e dei riscontri/confronti con le istituzioni sanitarie a livello nazionale.

Ma purtroppo, nel frattempo, era anche partita la “Macchina”, quell’Idra onnivora che una volta attivata diventa inarrestabile, insaziabile e riporta alla mia mente uno degli Adagia di Erasmo da Rotterdam: “E poiché guerra genera guerra, da guerra finta nasce guerra vera, da guerra piccina guerra poderosa non di rado suole accadere ciò che nel mito si racconta del mostro di Lerna”.

TV,  stampa, nazionale e internazionale, altri media che, allora come oggi, nel loro doveroso informare, tuttavia inevitabilmente semplificano, non sempre correttamente, e sempre amplificano, fanno da cassa da risonanza, inducono a prendere posizioni, a presenziare, a partecipare anche solo per avere visibilità o maggiore visibilità, ovvero per utilizzare l’evento per fini di parte e/o personali. Nulla di troppo scandaloso, finchè non si varca il Rubicone e si perde di vista l’interesse di Roma, ovvero si scambia il proprio interesse con quello di Roma.

Ed ecco i quotidiani bollettini medici a ridosso del cancello principale dell’Ospedale, l’elencazione del numero degli ammalati (dei contagiati), dei guariti e dei pochi decessi, se è vero come è vero che quelli soli avutisi, persone anziane con fisico molto debilitato, non superarono le dita di una mano o, al massimo, di due mani, nel mentre in città si vociferava che il numero dei decessi venisse occultato e così via con altri perversi frutti di un mix di panico e sfiducia nella classe dirigente, ad ogni livello.

E la Macchina, inarrestabile, funzionò quindi anche per dar voce a tentativi di lucrare rendite politiche sul vibrione e dunque per concedere spazio a “passerelle” con tanto di maschere e tute quasi spaziali.

E ancora l’Idra funzionò per dar risalto alle divisioni, alle accuse, anche allora, e forse comprensibilmente, immancabili, ma pur tuttavia prive di quegli odierni tratti di livore, di acrimonia, quasi di guerra (Erasmo docet), fra fazioni in lotta fra loro, che han trovato nei social un nuovo e molto fertile humus, pronte, spesso ciecamente, a giustificare o ad assolvere a seconda delle appartenenze di campo, di parte, senza seguir ragione, ma solo passioni (non a caso declinate al plurale, mentre la ragione lo è al singolare), ovvero senza tener conto che la gestione di eventi di tal fatta non è affatto agevole poichè - nel rispetto dei principi di precauzione, adeguatezza e proporzionalità, da applicarsi responsabilmente senza protagonismi ed eccessi in un senso o nell’altro ad evitare contrari, e deleteri, ritorni- implica decisioni difficili, dovendosi coniugare la difesa della salute, dei singoli e delle comunità, con altri pur fondamentali diritti quali quelli alla libera circolazione, alla libertà di iniziativa economica, al lavoro, allo studio e dovendo mettere in campo ogni misura possibile per evitare danni irreparabili all’economia.

Sobrietà e serietà quindi si imporrebbero, ed invece..

Al TG 1 delle 20,30 di ieri sera son passate le immagini di una signora che, al confine con la zona rossa di Codogno, ha poggiato a terra una borsa contenente generi destinati a persone che si trovano all'interno della zona, seguite da quelle di un signore (un addetto credo) che, con circospezione, forse con i guanti, non ricordo con chiarezza, ha preso la borsa per portarla a destinazione.

Non commento, ma la scena mi ha fatto tornare alla mente l'immagine di Esther che scende con il cesto dei viveri la valle dei lebbrosi per sfamare mamma e sorella di Ben Hur.

Molte scuole son state chiuse in (più o meno) dichiarata applicazione del principio di precauzione..

Eppure, secondo il “diritto vivente” comunitario e nazionale, del principio di precauzione vien fatta corretta applicazione in presenza di:

- proporzionalità tra le misure prese e livello di protezione ricercato;

- non discriminazione nell'applicazione delle misure;

- coerenza delle misure con quelle già prese in situazioni analoghe o che fanno uso di approcci analoghi;

- esame dei vantaggi e degli oneri risultanti dall'azione o dall'assenza di azione;

- riesame delle misure alla luce dell'evoluzione scientifica.

Il tutto, in una condizione base di esistenza del “rischio potenziale”; rischio che, nella vicenda che ne occupa, all’evidenza non può che esser legato alla già accertata presenza del coronavirus sul territorio e non ad una sua ipotetica possibilità di arrivo.

Del resto, a questa conclusione son pervenuti Governo e Regioni (con l’eccezione delle Marche, la cui ordinanza è in via di impugnazione da parte del Governo) che hanno esclusa la chiusura delle scuole in tutti i territori definiti no cluster, ovvero non direttamente interessati dai focolai.

E dunque, a maggior ragione in presenza di intese Stato/regioni, singole - e per vero ben poco motivate - fughe in avanti, quali quelle avutesi da parte di diversi Sindaci, non dovrebbero essere ammesse.

Ma tant’è..