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Il Consiglio di Stato su affidamento in house e conflitto di giurisdizione

Nota a Consiglio di Stato - Sezione Quinta, Sentenza 13 luglio 2006, n. 4440.
La sentenza n. 4440, depositata il 13 luglio 2006 dalla sezione V del Consiglio di Stato, contiene due interessanti principi. Il primo è legato alla ormai nota questione degli affidamenti in house e il secondo principio di grande interesse è la delimitazione dei confini tra la giurisdizione del giudice amministrativo e quella del giudice civile.

La causa in commento era stata sospesa con ordinanza del 22 aprile 2004 n. 2316, per rimettere gli atti alla Corte di Giustizia per la pronuncia pregiudiziale, ai sensi dell’articolo 234 (1) del Trattato. L’interrogativo rivolto alla Corte di Giustizia verteva sul seguente interrogativo: “…se il possesso dell’intero capitale del soggetto affidatario, nella specie una società per azioni, possa garantire quella situazione di dipendenza organica che normalmente si realizza nell’organizzazione burocratica di una pubblica amministrazione” (2).

Per la Corte di Giustizia l’affidamento diretto è ammesso come eccezione soltanto nel caso in cui l’ente locale eserciti sulla società prescelta il c.d. “controllo analogo” corrispondente a quello svolto sui propri servizi (sentenza del 18 novembre 1999, causa C-107/98 Teckal). Successivamente i giudici comunitari hanno chiarito che la partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata al capitale di una siffatta società comporta il venir meno del “controllo analogo”, deducendone al contrario che soltanto il possesso dell’intero pacchetto azionario da parte dell’ente locale possa dare luogo a un affidamento in house (sentenze dell`11 gennaio 2005, causa 26/03 Stadt Halle). Quindi, con la decisione del 13 ottobre 2005, causa C-458/03 Parking Brixen, la Corte di Giustizia è giunta ad un’ulteriore specificazione, chiarendo che il possesso dell’intero capitale sociale da parte del comune non può considerarsi una garanzia sufficiente qualora il suo oggetto sociale sia stato ampliato ad altri settori, le sue attività siano estese al di fuori dell’ambito territoriale dell’Ente proprietario della società, e via sia una norma statutaria che consenta la cessione di una quota, anche minoritaria, a uno o più soggetti esterni, privati o pubblici. Inoltre, nel citato caso erano stati conferiti ampi poteri al Consiglio di amministrazione, senza che in pratica venisse esercitato alcun controllo gestionale da parte del comune.

La quinta sezione ha ricordato come le pronunce della Corte di giustizia abbiano efficacia diretta nell’ordinamento interno degli stati membri, vincolando il giudice nazionale alla disapplicazione delle norme interne di segno contrario (nella specie una legge regionale ammetteva l’affidamento diretto qualora il comune fosse titolare di un numero di quote sociali maggioritario).

Il Consiglio di Stato ha quindi sottolineato come la presenza di clausole statutarie che ammettano la cessione di quote sociali a soggetti terzi una volta effettuato l’affidamento senza gara pubblica, pur prevedendo che l’ente locale mantenga la maggioranza delle azioni, possa comportare un aggiramento della disciplina comunitaria.

Il secondo importante principio rimarcato dalla presente decisione verte sui confini della giurisdizione. Il ragionamento dei giudici di Palazzo Spada prende le origini dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 6 luglio 2004. La citata decisione ha dichiarato la parziale incostituzionalità degli articoli 33, commi 1, 2 e 34, comma 1 del decreto legislativo n. 80 del 31 marzo 1998 (3). Nella citata sentenza la Corte ha statuito che “la materia dei pubblici servizi può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo”, ciò determina quale criterio di verifica della giurisdizione amministrativa il fatto che nella controversia la pubblica amministrazione abbia il ruolo di autorità o che il giudizio riguardi lo svolgimento della pubblica funzione da parte della stessa.

Come chiarito dalla sentenza del Consiglio di Stato il “…reale oggetto del giudizio, dunque, non è l’esercizio di una pubblica funzione da parte dell’Amministrazione, ma soltanto il rapporto convenzionale intercorrente tra le parti e le relative e reciproche posizioni di diritto soggettivo e di obbligo. La controversia, pertanto, esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo, appartenendo alla cognizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria.” (4).

E’ importante sottolineare come la presente sentenza si posizioni nel solco tracciato dalla Corte di Giustizia che circoscrive l’affidamento in house come una modalità eccezionale di acquisizione di lavori, servizi e forniture, in deroga alle regole generali di trasparenza e concorrenza.



1) Articolo 234. La Corte di giustizia è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a) sull’interpretazione del presente trattato; b) sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni della Comunità e della BCE; c) sull’interpretazione degli statuti degli organismi creati con atto del Consiglio, quando sia previsto dagli statuti stessi. Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad una giurisdizione di uno degli Stati membri, tale giurisdizione può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di giustizia di pronunciarsi sulla questione. Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a una giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno,

tale giurisdizione è tenuta a rivolgersi alla Corte di giustizia.

2) Ordinanza della sezione V del Consiglio di Stato n. 2316/04. Il quesito esatto del rinvio era “…se è compatibile col diritto comunitario, in particolare con la libertà della prestazione di servizi, il divieto di discriminazione e l’obbligo di parità di trattamento, trasparenza e libera concorrenza, di cui agli artt. 12, 45, 46, 49 e 86 del Trattato, l’affidamento diretto, ossia in deroga ai sistemi di scelta del contraente di cui alla Direttiva 92/50 CEE, della gestione di parcheggi pubblici a pagamento, ad una società per azioni, a capitale interamente pubblico, ai sensi dell’art. 44, comma 6, lett. b) della legge della Regione Trentino-Alto Adige 4.1.1993, n. 1, modificato dall’art. 10 della legge regionale del 23.1.1998, n. 10.”.

3) Cosi come sostituito dall’articolo 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205.

4) Punto 7 della sentenza del Consiglio di Stato n. 4440 del 13 luglio 2006.

La sentenza n. 4440, depositata il 13 luglio 2006 dalla sezione V del Consiglio di Stato, contiene due interessanti principi. Il primo è legato alla ormai nota questione degli affidamenti in house e il secondo principio di grande interesse è la delimitazione dei confini tra la giurisdizione del giudice amministrativo e quella del giudice civile.

La causa in commento era stata sospesa con ordinanza del 22 aprile 2004 n. 2316, per rimettere gli atti alla Corte di Giustizia per la pronuncia pregiudiziale, ai sensi dell’articolo 234 (1) del Trattato. L’interrogativo rivolto alla Corte di Giustizia verteva sul seguente interrogativo: “…se il possesso dell’intero capitale del soggetto affidatario, nella specie una società per azioni, possa garantire quella situazione di dipendenza organica che normalmente si realizza nell’organizzazione burocratica di una pubblica amministrazione” (2).

Per la Corte di Giustizia l’affidamento diretto è ammesso come eccezione soltanto nel caso in cui l’ente locale eserciti sulla società prescelta il c.d. “controllo analogo” corrispondente a quello svolto sui propri servizi (sentenza del 18 novembre 1999, causa C-107/98 Teckal). Successivamente i giudici comunitari hanno chiarito che la partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata al capitale di una siffatta società comporta il venir meno del “controllo analogo”, deducendone al contrario che soltanto il possesso dell’intero pacchetto azionario da parte dell’ente locale possa dare luogo a un affidamento in house (sentenze dell`11 gennaio 2005, causa 26/03 Stadt Halle). Quindi, con la decisione del 13 ottobre 2005, causa C-458/03 Parking Brixen, la Corte di Giustizia è giunta ad un’ulteriore specificazione, chiarendo che il possesso dell’intero capitale sociale da parte del comune non può considerarsi una garanzia sufficiente qualora il suo oggetto sociale sia stato ampliato ad altri settori, le sue attività siano estese al di fuori dell’ambito territoriale dell’Ente proprietario della società, e via sia una norma statutaria che consenta la cessione di una quota, anche minoritaria, a uno o più soggetti esterni, privati o pubblici. Inoltre, nel citato caso erano stati conferiti ampi poteri al Consiglio di amministrazione, senza che in pratica venisse esercitato alcun controllo gestionale da parte del comune.

La quinta sezione ha ricordato come le pronunce della Corte di giustizia abbiano efficacia diretta nell’ordinamento interno degli stati membri, vincolando il giudice nazionale alla disapplicazione delle norme interne di segno contrario (nella specie una legge regionale ammetteva l’affidamento diretto qualora il comune fosse titolare di un numero di quote sociali maggioritario).

Il Consiglio di Stato ha quindi sottolineato come la presenza di clausole statutarie che ammettano la cessione di quote sociali a soggetti terzi una volta effettuato l’affidamento senza gara pubblica, pur prevedendo che l’ente locale mantenga la maggioranza delle azioni, possa comportare un aggiramento della disciplina comunitaria.

Il secondo importante principio rimarcato dalla presente decisione verte sui confini della giurisdizione. Il ragionamento dei giudici di Palazzo Spada prende le origini dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 6 luglio 2004. La citata decisione ha dichiarato la parziale incostituzionalità degli articoli 33, commi 1, 2 e 34, comma 1 del decreto legislativo n. 80 del 31 marzo 1998 (3). Nella citata sentenza la Corte ha statuito che “la materia dei pubblici servizi può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo”, ciò determina quale criterio di verifica della giurisdizione amministrativa il fatto che nella controversia la pubblica amministrazione abbia il ruolo di autorità o che il giudizio riguardi lo svolgimento della pubblica funzione da parte della stessa.

Come chiarito dalla sentenza del Consiglio di Stato il “…reale oggetto del giudizio, dunque, non è l’esercizio di una pubblica funzione da parte dell’Amministrazione, ma soltanto il rapporto convenzionale intercorrente tra le parti e le relative e reciproche posizioni di diritto soggettivo e di obbligo. La controversia, pertanto, esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo, appartenendo alla cognizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria.” (4).

E’ importante sottolineare come la presente sentenza si posizioni nel solco tracciato dalla Corte di Giustizia che circoscrive l’affidamento in house come una modalità eccezionale di acquisizione di lavori, servizi e forniture, in deroga alle regole generali di trasparenza e concorrenza.



1) Articolo 234. La Corte di giustizia è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a) sull’interpretazione del presente trattato; b) sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni della Comunità e della BCE; c) sull’interpretazione degli statuti degli organismi creati con atto del Consiglio, quando sia previsto dagli statuti stessi. Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad una giurisdizione di uno degli Stati membri, tale giurisdizione può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di giustizia di pronunciarsi sulla questione. Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a una giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno,

tale giurisdizione è tenuta a rivolgersi alla Corte di giustizia.

2) Ordinanza della sezione V del Consiglio di Stato n. 2316/04. Il quesito esatto del rinvio era “…se è compatibile col diritto comunitario, in particolare con la libertà della prestazione di servizi, il divieto di discriminazione e l’obbligo di parità di trattamento, trasparenza e libera concorrenza, di cui agli artt. 12, 45, 46, 49 e 86 del Trattato, l’affidamento diretto, ossia in deroga ai sistemi di scelta del contraente di cui alla Direttiva 92/50 CEE, della gestione di parcheggi pubblici a pagamento, ad una società per azioni, a capitale interamente pubblico, ai sensi dell’art. 44, comma 6, lett. b) della legge della Regione Trentino-Alto Adige 4.1.1993, n. 1, modificato dall’art. 10 della legge regionale del 23.1.1998, n. 10.”.

3) Cosi come sostituito dall’articolo 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205.

4) Punto 7 della sentenza del Consiglio di Stato n. 4440 del 13 luglio 2006.